PICCOLI SCRITTORI CRESCONO ALL'OMBRA DELL'ULIVO

PICCOLI SCRITTORI CRESCONO ALL'OMBRA DELL'ULIVO PICCOLI SCRITTORI CRESCONO ALL'OMBRA DELL'ULIVO // fenomeno «progressisti con la penna», tra i 40 e i 50 anni L display dell'hi-fi segnalava le tre e mezzo di notte, Giovanni Bosco la guardò con molta tenerezza». Giovanni l'aveva incontrata nel pomeriggio in un negozio. Gli era piaciuta subito e se l'era portata a casa. E lei aveva risposto senza esitare a tutte le sue sollecitazioni. Solo verso l'alba si spegne con un sussurro la piccola, libidinosa Xeros: Giovanni ha staccato i contatti alla goduriosa macchinetta protagonista dell'ultimo scherzoso racconto virtual-erotico, ancora inedito, di Chicco Testa, di cui sta uscendo, proprio in questi giorni, una novella ambientalista sulla rivista «Capital». Ma solo a fine anno ci sarà il vero e proprio debutto letterario del quarantaseienne presidente dell'Enel, ex presidente dell'Acea e, nei momenti di relax dall'impegno pohtico-anuninistrativo, atleta nella palestra delle belle lettere. Con un romanzo epico (ancora incerta la casa editrice), ambientato in Russia, l'ex parlamentare della Quercia attraverserà alcuni decenni di storia europea. A distanza di qual¬ Il RICORDO di Nico Orengo QUALCHE giorno fa a Roma, dove viveva dal 1937, si è spenta Renata Orengo Debenedetti. Di lei come intellettuale, come moglie del grande critico Giacomo Debenedetti rimangono testimonianze negli scritti di Umberto Saba e di Giorgio Caproni oltreché in alcune lettere di Eugenio Montale. Un grazie a Renata Orengo credo glielo si debba: senza la sua tenacia e il suo coraggio si sarebbero infatti perduti, irrimediabilmente perduti, gli scritti postumi dedicati da Giacomo Debenedetti al romanzo e alla poesia del Novecento, a Pascoli, a Verga, a Tommaseo, a Alfieri, a Montaigne. Debenedetti, come racconta il figlio Antonio nel suo «Giacomino», aveva raccomandato di bruciare i quaderni delle sue lezioni universitarie. «Non pubblicate niente di quello che lascerò inedito» aveva raccomandato più volte. Renata, per fortuna della cultura italiana, non ubbidì a quella disposizione e alla scomparsa del marito cominciò a leggere, a decifrare, a copiare le lezioni universitarie di Giacomo. Decine, centinaia di pagine. Poi, a lavoro ultimato, si consultò con il grande Gianfranco Contini, che la rassicurò. Intervennero anche, a sostenerla, gli amici-discepoli come Walter Pedullà, Enzo Siciliano, Mario Lavagetto, Luigi Baldacci e Ottavio Cacchi. E' probabile però che quando Livio Garzanti, altro sostenitore della fortuna postuma di Giacomo Debenedetti, pubblicò «il romanzo dei novecento» con la prefazione di Eugenio Montale, molti abbiano dimenticato o sottovalutato il ruolo di Renata. Oggi che non c'è più, il silenzio avrebbe qualcosa di colpevole. Peggio ancora, apparirebbe un'ingiustizia nei confronti d'una donna generosa oltreché intelligente. Basti che lei cattolica di antica tradizione volle, negli anni delle leggi razziali, condividere fino in fondo con il marito ebreo e antifascista pericoli, difficolta e traversie. Renata, che ha lasciato anche un bel diario della guerra in Val di Chiana, quel Diario dsl Cegliolo edito da Vanni Scheiwiller, e alcune pregevoli traduzioni dal francese, da Cocteau a Renard a Nerval. che mese dall'arrivo sulla scena letteraria di questo «verde» di lungo corso, nel nuovo anno, seguirà «Secondo avviso» (Einaudi), la nuova opera narrativa del quarantaduenne Fabrizio Rondolino, ex giornalista politico dell'«Unità», traduttore dal tedesco, portavoce di Massimo D'Alema. E' il secondo parto letterario di Rondolino, già autore di «Un così bel posto» (Rizzoli). Da qualche settimana è in libreria l'inchiesta «Petrolkimiko» di (Baldini & Castoldi) a cura di Gianfranco Bettin, quarantacmquenne prosindaco di Venezia, militante ambientalista, romanziere e scrittore di inchieste («L'erede. Pietro Maso. Una storia dal vero» e «Sarajevo, Maybe»). La lista degli uomini dell'Ulivo con la penna in mano è in crescita e i romanzieri sbocciano sugli svariati rami della pianticella governativa. Pubblicherà tra breve un nuovo libro il cinquantenne fiorentino Giorgio Van Straten, ex consigliere comunale, che, all'autobiografia di una generazione alle prese con il potere, ha dedicato romanzi come «Generazione» e «Corruzione». Ma se il fenomeno dei progressisti-letterati sembra riguardare più specificamente la generazione dei quaranta-cinquantenni, ha anche le sue eccezioni. Tra breve uscirà l'ultima raccolta di racconti «L'uomo col Panama» (Sellerio) del sessantenne Enrico Micheli, chiamato da Romano Prodi a Palazzo Chigi. Lo scrittore de «H ritorno di Andrea», un lungo passato nelle partecipazioni statali, nonostante le fatiche come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, macina chilometri in letteratura (è uscito alla fine del '96 «La gloria breve»). Pierluigi Celli direttore generale della Rai, cattolico di sinistra in quota Ulivo, è un altro manager che si è votato alla letteratura negli interstizi del suo lavoro e che non ha mancato di dedicare anche alle sue passate avventure nell'azienda pubblica rime micidiah («Sono un tipo / affidabile / e, in più, / malleabile; / so fare anche cWcchiricchì. / Perché non darmi da guidare un Tg?»). Che succede? Voglia di evasione del mondo politico? Insoddisfazione? Oppure, al contrario, sfrenata ambizione, come rimproverano ai politici-letterati gli invidiosi scrittori «comuni mortali», senza poltrona? Desiderio di farsi avanti, approfittando dei vantaggi dell'essere già sotto i riflettori? Oppure ricerca di legittimazione, di egemonia anche culturale, in sintonia con la vecchia tradizione della sinistra? «Da un punto di vista personale, scrivere per me è legato a una dimensione ludica, al bisogno di confrontarsi con qualcosa che non appartiene alla vita quotidiana», osserva Testa. «Più in generale, è vero che a sinistra il versante intellettuale è sempre stato molto valorizzato ma parlerei di un fenomeno specifico che oggi riguarda quelli che hanno quaranta-cinquant'anni: la mia generazione ha letto molto, ha speso tempo sui classici. E se leggi molto ti viene voglia di scrivere. Ma non solo. La mia generazione è stata poi piuttosto prepotente, ha rovesciato i valori dei propri genitori, ha imposto i suoi gusti ai figli. Si è assunta dei rischi, ma sempre mantenendo un certo distacco con la consapevolezza che non bisogna prendersi troppo sul serio». La generazione dei quarantenni non ha intenzione dunque di «mollare»: «Da sempre, fin da quando ero adolescente, ho coltivato due interessi paralleli, la letteratura e la politica», osserva Rondolino. «Da Torino sono arrivato a Roma come responsabile della Fgci nazionale e fin da allora avevo scritto un romanzo giudicato impubblicabile ma ben scritto dal funzionario della Rizzoli che l'aveva scartato. Ha invece trovato un editore la mia seconda fatica letteraria. hidubbiamente dall'avere un ruolo pubblico (anche se io non mi considero proprio un uomo politico e penso che non farò nessuna carriera in questo campo) si ricavano dei vantaggi. Però, per esempio, sono venuto indirettamente a sapere che ben due premi letterari, il Grinzane Cavour e il Campiello, non mi hanno incluso nella Usta dei concorrenti proprio per il mio essere "politico". La società letteraria italiana mi sembra chiusa, impegnata a coltivare il proprio orticello. La responsabilità di questa scarsa apertura? E' anche dell'egemonia culturale della sinistra, che ha creato disastri, ha spesso "sinistrizzato" autori di destra, come Heidegger, ha limitato il pluralismo anche in campo intellettuale e ha prodotto questo tinello asfittico». Dal Transatlantico al tinello oggi il passo è breve ma, osserva Bettin, è vero anche il contrario: «Spesso gli scrittori avvertono la necessità di uscire dalla loro ottica, di sposare delle cause, di schierarsi pubblicamente: penso a un narratore come Stefano Benni che ha sostenuto spesso importanti battaglie d'opinione o a Michele Serra. Lo stesso bisogno di manifestare le proprie idee con strumenti diversi, a volte, appare vitale per chi soggiorna nel Palazzo o per chi, come me, è in un'amministrazione. Si avverte, nel settore in cui si opera, la propria limitazione. Certo, cercare di occupare vari campi a volte sviluppa un ego invadente, ma è anche un sintomo di maturità». Frizzi e lazzi in chiave poetica, e vere e proprie opere letterarie, hanno, da sempre, accompagnato la vita culturale di politici della sinistra, da Antonello Trombadori a Maurizio Ferrara a Pietro Ingrao. Però le «esternazioni» letterarie da parte della vecchia guardia appari¬ vano più occasionali. La cultura la lasciavano agli intellettuali di professione: «Questa distinzione adesso sembra sfumare - osserva Van Straten -. Appartengo a una generazione che alla politica faceva richieste molto alte e che sono rimaste inappagate. Scrivere è stato un modo anche di cercare una via d'uscita all'irrequietezza». Alla malia della letteratura non ha resistito nemmeno Irene Pivetti, ex leghista e oggi uhvista di complemento, che ha il suo bel romanzo nel cassetto. Invece i frutti delle migrazioni nel mondo della fantasia li ha fatti uscire, negli anni, il sottosegretario Micheli che dedica alla scrittura le primissime ore della mattina. Ricavandone non solo soddisfazioni ma anche qualche amarezza. «Gli scrittori di professione temono un'invasione di campo - osserva Micheli -. Ma mi sembra una logica provinciale. In Francia, e non solo in quella nazione, tra scrittori e politici non vi sono mai state rigide separazioni: André Malraux e Frangois Mauriac, ad esempio, si sono spesso cimentati in prima persona con la politica. Da noi questa doppia identità fa correre il rischio di critiche non meritate. Per esempio, quando è uscito il mio ultimo romanzo sono state date interpretazioni grottesche di alcune mie pagine: si è affermato che descrivevo personaggi politici realmente esistenti. Non c'era niente di vero». Arte della penna e arte di governo non sempre vanno a braccetto e qualche volta si prendono a cazzotti. Meglio dunque non prendersi troppo sul serio. Celli ambienta le sue satire aziendali politiche nel Regno di Burlandia e ai suoi personaggi fa recitare: «Ho sempre preso/ il meglio di tutto:/ cambiando fattori non mollo/ il mio frutto./ E' un'arte campare/ e in piedi restare» (da «Graffiti aziendali»). Mirella Serri Micheli, chiamato da Romano Prodi a Palazzo Chigi. Lo scrittore de «H ritorno di Andrea», un lungo passato nelle partecipazioni statali, nonostante le fatiche come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, macina chilometri in letteratura (è uscito alla fine del '96 «La gloria breve»). Pierluigi Celli direttore generale della Rai, cattolico di sinistra in quota Ulivo, è un altro manager che si è votato alla letteratura negli interstizi del suo lavoro e che non ha mancato di dedicare anche alle sue passate avventure nell'azienda za che non bisogna prendersi troppo sul serio». La generazione dei quarantenni non ha intenzione dunque di «mollare»: «Da sempre, fin da quando ero adolescente, ho coltivato due hanno, da sempre, accompagnato la vita culturale di politici della sinistra, da Antonello Trombadori a Maurizio Ferrara a Pietro Ingrao. Però le «esternazioni» letterarie da parte della vecchia guardia appari¬ Un romanzo epico e russo di Chicco Testa, il «Secondo avviso» di Fabrizio Rondolino, portavoce diD'Alema, «Petrolkimiko» diBettin protosindaco di Venezia E Van Straten, Celli, Micheli,,«spalla» di Prodi INCHIESTA

Luoghi citati: Francia, Grinzane Cavour, Panama, Roma, Russia, Sarajevo, Torino, Venezia