SPORCHE VITE VIOLENTE : UN ESORDIO ALLA HIGHSMITH di Gabriella Bosco

SPORCHE VITE VIOLENTE : UN ESORDIO ALLA HIGHSMITH SPORCHE VITE VIOLENTE : UN ESORDIO ALLA HIGHSMITH UNE SALETE' Frédérique Clémencpn Minuit pp. 190 f.f. 79 PARIGI E' un grande albero, una sequoia, nel cortile di uno dei tanti castelli persi nella campagna francese, appartenuti un tempo all'aristocrazia di corte e adesso in mano a gente normale che ama le dimore avite e la distanza. Alla seconda pagina del libro, la sequoia che da secoli ombreggia il castello viene colpita da un fulmine. Resta una lunga cicatrice bruna sul tronco, da cui poco alla volta esala la morte della pianta. Anche gli abitanti del castello a uno a uno muoiono, e a partire dalla seconda pagina il romanzo ci implode in mano. Une solete è la prova d'esordio di Frédérique Clémencon, francese trentunenne timida e schiva, che Minuit, la casa editrice della stella, offre ai lettori con la discrezione consueta. Un manoscritto che molti editori avrebbero voluto ricevere, finalmente un ritorno alla grande scrittura se¬ gnala in prima pagina del ggnala in prima pagina del «Monde des Livres» un critico severo e esigente come Josyane Savigneau, studiosa di Marguerite Yourcenar, da tempo alla ricerca di buona narrativa. E' un libro, anche, da cui guardarsi, dice la Savigneau. Racchiude una violenza sorda e devastante che lei paragona a certe storie di Patricia Highsmith. Superata la seconda pagina non lo si può lasciare, ma a proprio rischio e pericolo. Alla strage di odio parentale sopravvivono, per il momento, Edith e sua madre. Ne sentiamo le voci, che si raccontano reciprocamente ma senza sentirsi l'un l'altra. E' il lavorio di due coscienze a partire da ricordi comuni, elaborati in maniera diversa (evidenti le tracce della lezione di Nathalie Sarraute). Il nonno arrivista morto stecchito in pieno Consiglio comunale, la nonna sempre più magra che rifiuta il cibo e si consuma nella propria cattiveria, il padre che alla propria inettitudine reagisce soffocandosi nel cibo fino a crollare sotto la massa di un corpo esploso. Edith sente nella sua stanza un cattivo odore, che neppure lenzuola mai lavate, finestre sempre chiuse e avanzi irranciditi possono giustificare, e che nessun lavaggio cancella. Ci descrive le piaghe apertesi prima nella pelle della nonna poi in quella del padre, e l'ingozzarsi di lui contro ogni dignità. La saliva acre di cattiva digestione che bagnava le sue guance, bambina, nei baci ipocriti di zie e parenti periodicamente riuniti per lutti e cerimonie funebri. La madre ricorda gli insulti ricevuti dalla futura suocera per esser stata scelta dal figbo, trattata a male parole tutta la vita, isolata in quel castello di falso orgoglio. Tra madre e figlia è un ripetuto lanciarsi schegge di solete, parola che contiene il significato di cosa sporca in senso fisico tanto quanto morale. Ma al racconto delle loro vite fa da contrappunto una terza voce neutra, che a tanto progressivo soffocamento non oppone, lei, disperazione o dolore. Voce beckettiana. «Io non credo alla biografia», dice Frédérique Clémengon. «Con il passare del tempo, noi siamo la storia degli altri. Quello che mi interessava inizialmente era dar vita a un racconto a più voci, lavorare su vari tipi di scrittura in un romanzo. La vicenda è venuta fuori in un secondo tempo». E così pure la violenza del testo? «La violenza nasce dalla chiusura su di sé dei personaggi, dall'incapacità di far partecipi gli altri dei propri sentimenti. Le loro voci sono per questo frammentarie, frammenti senza coerenza, scuciti, in cui però figurano segmenti che ritornano, i ricordi comuni che abitano la coscienza di ciascuno di loro. Il grande dolore annulla le volontà. La terza voce, quella neutra in terza persona chiamata diario di Edith (brevi brani disseminati alla fine di vari capito- li) è l'unica che non contiene violenza alcuna, volutamente piatta. Il diario serve a calmare il dolore del resto del libro, e così il pensiero frammentario. Introdurlo era per me la maniera di mostrare che non c'è salvezza senza questa voce». E' infatti affidata al diario l'ultima parola, quella che riporta la fuga di Edith. Non conosceva, dice Frédérique Clémengon, Il diario di Edith della Highsmith. Pura coincidenza che l'ha molto sorpresa. Altrettanto sorprende il lettore l'apparizione a tratti di un humus da sottobosco, piantine, erbe tenere, fresche, rugiadose, la cui vita nuova vince sul terreno bruciato e l'aridità della sequoia morta. Molto più che nella violenza distruttrice espressa dal libro, è in questa corta verdura la sua forza straordinaria. Gabriella Bosco Frédérique Clémengon, francese trentunenne, esordisce da Minuit con il romanzo «Une saleté»: Francoise Savigneau, biografa della Yourcenar, lo ha segnalato come un «ritorno alla grande scrittura» UNE SALETE' Frédérique Clémencpn Minuit pp. 190 f.f. 79

Persone citate: Francoise Savigneau, Frédérique Clémengon, Highsmith, Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar, Nathalie Sarraute, Patricia Highsmith, Savigneau, Yourcenar

Luoghi citati: Parigi