SALGARI di Dacia Maraini

SALGARI SALGARI Un convegno sabato a Verona e l'archivio di un suo appassionato cultore, Bepi Turcato: 3300 volumi e 250 scatoloni con documenti e testimonianze, dalla figlia di Svevo al padre di Dacia Maraini VERONA AGGIU' nello stanzone di cemento," al secondo piano della Biblioteca civica, c'è il tesoro, scaffali e scaffali colmi di Salgari, scatoloni e libri. Prime e seconde edizioni, riviste, ritagli, autografi, lettere: un paradiso per salgariani e salgarologi ancora tutto da dissodare, messo insieme in decenni di passione da un veneziano mite ed estroso scomparso da poco, Giuseppe Turcato, Bepi per tutti, che avrebbe tanto voluto scrivere lui una biografia, un saggio sul suo amatissimo eroe, ma che non ce l'ha mai fatta, preferendo aiutare altri studiosi. Ora la sua raccolta è approdata qui, ed è una sirena, una meta di pellegrinaggio per filologi, per nostalgici dell'avventura e inquieti d'ogni genere. Salgari si venderà ormai poco nelle librerie, ma il suo nome ribolle, eccita ancora, sprigiona esotismo e follia. Grazie anche a lui, la Biblioteca civica di Verona si va specializzando in letteratura popolare. Ha già le carte di altri due narratori per l'infanzia, Luigi Motta e Olga Visentini. L'intero Fondo Turcato è di 3300 volumi e 250 scatoloni; soltanto una parte, una buona parte, riguarda Salgari. Scintillano le bellissime copertine antiche di Gamba e Della Valle. Scatole impolverate sono una sull'altra. Le apriamo a caso, peschiamo lettere per lo più inedite. Turcato scriveva a mezzo mondo, a intellettuali e artisti: chiedeva se avevano letto Salgari, se aveva influenzato la loro opera. Marino Moretti risponde di no, lui non ha mai letto Salgari, preferiva Cuore e Pinocchio: «Fui un ragazzino poco avventuroso», confessa. Letizia Svevo parla del padre, che le consolò le lacrime quando Salgari si prese a rasoiate la pancia e la gola su una collina torinese, morendo a 49 anni. Spunta l'ampia, maestosa calligrafìa dello scrittore di mare Vittorio G. Rossi, che dalla sua Santa Margherita Ligure prende la palla al balzo e si scaglia contro la nostra letteratura egemone, «paesana, casereccia, ortofrutticola o salottiera», una letteratura «dalle finestre chiuse» fatta e letta da «gente che non ha letto Salgari». Ah, Salgari! Fu lui a svegliare Rossi con il suo «odore nuovo e forte», a dargli lo «spintone» giusto. E Fosco Maraini, l'antropologo, il papà di Dacia, scrive tre paginette dolcissime sulla propria formazione intellettuale, e dice che Salgari lo «convertì» alla parola scritta, perché lui da adolescente portava amore soltanto al selvaggio, al primitivo, e rifiutava ogni lettura: «La parte di Salgari nell'indirizzare la mia vocazione fu sicuramente grande». Per gli studiosi sembra importante la lettera che a uno dei primissimi biografi dell'autore di Sandokan scrisse nel '24 il conte Vittorio Cavazzocca Mazzanti, una lettera finora nota a sprazzi, estratta con fortuna in mezzo a tutte queste carte dal bibliotecario e studioso Claudio Gallo. Il conte prende mi po' in giro il povero Salgari, di cui era amico, ricordando fra l'altro che andava in giro, lui così piccolinò, su alti bicicli («una vera macchietta»); poi precisa - e starebbe qui l'importanza della lettera - che il futuro giornalista e scrittore tornò a Verona nel 1882 dopo le accidentate frequentazioni dell'Istituto nautico di Venezia, dove venne bocciato e non concluse gli studi. Si riduce così a un solo anno il tempo sconosciuto nella sua vita, in cui può aver effettuato le sue tanto vantate scorribande marine. Le avrà mai fatte? Gallo propende per il no, il biografo Silvino Gonzato sostiene invece che Salgari fece mi muco viaggio, come mozzo o turista, a 18 anni, da Venezia a Brindisi e ritorno, sul «trabaccolo Italia Una». Pare che rimase deluso e che soffrì il mal di mare. Gonzato narra poi che Salgari fece il suo primo naufragio a 13 anni su una zatteruccia in un fosso in piena a Negrar, vicino a Verona. Salvatosi a nuoto, ritentò l'impresa in un mastello da bucato, ma andò incontro a mi secondo naufragio. Tutte cose che a Gonzato ha detto il Bepi in persona, il Turcato. Lo vide per quattro mesi di seguito, una o due volte la settimana, in un'osteria vicina all'Harry's Bar. E molte altre cose gli disse il Bepi. Che Salgari veniva pagato come un magistrato d'oggi, sui 90 milioni annui, pari a circa ottomila lire d'allora, e dunque non è vero che fosse tiranneggiato dagli editori: prendeva più di quanto la Zanichelli passava a Carducci (cinquemila lire). Il fatto è che spendeva male i soldi, e la moglie Aida era in manicomio, la figlia era tubercolotica, i tre maschi lo facevano dannare. E indossava un soprabito giallo anche d'estate e lo apriva all'improvviso davanti a fanciulle. Un marito tentò pure di accoltellarlo. «Per carità, sfuma il Salgari esibizionista», raccomandava Turcato a Gonzato. Per lui Salgari era diventato un padre, un parente. Soffriva davanti a certi aspetti non esaltanti. Nei suoi scatoloni dovrebbero annidarsi le conferme a tutte queste vicende. Se ne parlerà dopodomani al convegno «Salgari e altro», fatto proprio per ricordare Giuseppe Turcato e le sue carte, qui nella Bibliote¬ ca. Ci saranno alcune novità. Claudio Gallo ha per esempio rintracciato la demolizione di Salgari perpetrata da Margherita Sarfatti sul Popolo d'Italia nel marzo del '28: i suoi libri «esaltano la rivolta, l'indisciplina e la disobbedienza alle autorità legalmente costituite», e sono libri «anticoloniali, dei quali il protagonista è sempre un indigeno, oppure (ed è ancora più grave) un bianco capo di indigeni, pirati o banditi in rivolta contro i colonizzatori». E verrà donato un autogra¬ fo. E Giovanna Spagarino Viglongo, anima dell'ormai storica casa editrice Viglongo, terrà a battesimo i nuovi Quaderni salgariani e presenterà la ristampa anastatica del Corsaro Nero a cento anni dalla prima edizione. Ci sarà persino chi, come Massimo Tassi, scoprirà nello scrittore pepite da brivido, d'un macabro «tremendamente attuale». Scorre forse all'insegna dell'horror la nuova fortuna di Salgari. Claudio Altarocca