«Killer per un figlio»
«Killer per un figlio» «Killer per un figlio» La psicologa: ha eliminato i testimoni del fallimento Maria Rita Parsi, lei è psicologa della famiglia, può valutare meglio di altri questa tragedia, cercare di capire quale può essere stato il movente di tanta follia.... «Credo che tutto si riconduca al fatto che quella donna non abbia avuto figli, che non abbia potuto averli. Era oppressa dal fatto di non essere madre, e ha voluto eliminare tutti i testimoni del suo insuccesso. Questa è una strage annunciata, perché in casi simili ci sono sempre tanti piccoli avvertimenti della tragedia incombente. Ma come spesso accade, sono stati sottovalutati. La famiglia è una fortezza chiusa, ci sono tensioni che non si vedono dal di fuori e poi esplodono in drammi come questo». Perché sparare alla madre e alla cugina con una bimba di tre anni in braccio? «La madre è l'origine della vita, è da lei che possono essere nati i drammi, e infatti la donna si è chiusa nella sua camera di ragazza, prima di suicidarsi, come a dire: tutto è iniziato qui, nella mia adolescenza. La cugina rappresentava una coetanea che aveva avuto il dono della maternità, che era riuscita dove lei era fallita. E la bambina? L'ha colpita a un occhio, di striscio, non è da escludere che volesse uccidere anche lei: rappresentava ciò che nella sua mente era ormai irraggiungibile». Ma a 35 anni, oggi, si è ancora in tempo per la maternità, esistono cure per l'infertilità, esiste la fecondazione assistita, perché gettare la spugna? «E' vero, oggi si può essere madri anche a sessantanni, ma nella testa di quella donna era ormai entrata l'idea della sconfitta. Non ha resistito alla pressione psicologica, per lei era un insuccesso talmente bruciante da dover essere annullato con la scomparsa fisica sua e di chi vi aveva assistito da vicino. Fatti come questo pongono in rilievo un problema sociale di ampia portata: l'importanza di essere madre oggi, in un mondo dove in donne sempre più competitive (con gli uomini) resiste l'antica invidia del grembo. E' un problema di identità che può essere affrontato in modi differenti. Io ho cinquantanni, non ho figli ma dedico la mia vita ai bambini, anche per ragioni professionali. Penso di conoscerli piuttosto bene eppure mi sento chiedere ancora: come fa a capirli, se non ne ha avuti? Si può immaginare che cosa può aver provato quella poveretta, di fronte a muti "rimproveri" di questo genere. Se le persone interessate non sono forti psicologicamente, si possono anche rischiare tragedie come quella della Lomellina». Un problema sociale, dunque... «Di più, direi una piaga terrificante, dovuta all'indifferenza della società di fronte a donne che non riescono a capire che la maternità biologica non è l'unico tipo di maternità possibile, che ci sono altre vie per non perdere la stima di se stesse. Ne curo tante, di pazienti con questo problema. Ma succede come per le frane: quando i drammi esplodono gli altri se ne accorgono all'ultimo momento». Paolo Potetti
Persone citate: Maria Rita, Paolo Potetti
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