Capo dello Stato eletto col doppio turno di Antonella Rampino
Capo dello Stato eletto col doppio turno Montecitorio conferma la scelta della Bicamerale, ma abbassa il limite di età a 40 anni Capo dello Stato eletto col doppio turno D'Alema invita Rifondazione a votare Nuove tensioni anche nel centrodestra ROMA. Il prossimo presidente della Repubblica potrebbe essere un quarantenne, uno della generazione di Clinton o Blair: è stato abbassato il limite d'età per accedere alla corsa al Quirinale. Montecitorio ha confermato, inoltre, il testo della Bicamerale che prevede un sistema a due turni. Come nel sistema francese, il Capo dello Stato, per essere eletto avrà bisogno della maggioranza assoluta dei voti espressi. Se nessun candidato l'ottiene al primo turno, si va ad un ballottaggio tra i due più votati. Ma se in aula le riforme passano, il dibattito politico resta quello di sempre, e la tensione è alta. Rifondazione, ma soprattutto Forza Italia, notano confluenza nelle votazioni tra An e i Democratici di sinistra. Così, Diliberto minaccia «ripercussioni nella maggioranza», Berlusconi e Fini sono costretti a far la pace per via mediatica, e Cossiga invita Berlusconi a far saltare «l'asse Fini-D'Alema». A mantenere il sangue freddo, anche ieri, era solo il presidente della Bicamerale. In aula, per la seconda volta, ha chiesto a Rifondazione e Lega di tornare a partecipare al voto, rimanendo inascoltato. E poi, conversando con i giornalisti, ha aggiunto di non capire l'atteggiamento di Rifondazione («Speriamo che non sia una tattica»), e si è detto sicuro che il cammino delle riforme andrà avanti, e supererà gli scogli. Quello che è successo, è che in aula c'erano 219 deputati su 630. Numeri da legge ordinaria, mentre si discutono le riforme costituzionali: Violante se ne accorge. Rifondazione, che il giorno precedente aveva abbandonato i lavori per protesta contro le «votazioni blindate dall'asse an-pds», oggi accetta di rientrare, e così pure la Lega. Violante conteggia subito i deputati: il numero legale c'è. I comunisti sono tornati sui propri passi «a vigilare sulle riforme: se dovremo andare con i nostri voti in soccorso dell'Ulivo lo faremo» dice Diliberto. Ma lo scontro politico si è fatto infuocato. A un certo punto, il presidente della Camera Violante e i leghisti si prendono a male parole. Ma, soprattutto, inferocita è Forza Italia, che pure ha lasciato molti posti dei propri banchi vuoti. A mezzogiorno, quando in Transatlantico Fini conversa con Cesare Salvi e Pietro Folena, Giorgio Rebuffa si arrabbia: «Non ci si illuda che per fare le riforme bastino i post-fascisti e i post-comunisti». Come dire: senza Forza Italia le riforme non vanno in porto. Il punto, però, è che uno dei nodi che prossimamente verranno al pettine è quello della giustizia: Forza Italia, come spiegherà poi Pietro Folena, si è irrigidita, e la trattativa sul Csm e sulla terzietà del giudice rischia di andare a farsi benedire, «siamo in attesa di uno spiraglio, dobbiamo capire se c'è volontà politica per sbloccare la trattativa» dice Folena, e il destinatario del messaggio è evidentemente Berlusconi che sarà a Roma solo la prossima settimana. «Rispettate i patti anche sulla giustizia», manda a di- re Pera, l'uomo di Forza Italia impegnato nella trattativa. Ma il problema politico è che, nei fatti, si è stabilita una confluenza di interessi tra An e pds, «un patto sempre più palese», per dirla con Mastella, e che finirà «per uccidere Berlusconi», secondo Buttiglione. Costretto a smentire l'asse tra Botteghe Oscure e via della Scrofa è soprattutto Gianfranco Fini, «è una sciocchezza, le riforme senza Berlusconi non si possono fare». Il problema è in qualche modo legato alla giustizia? «Eh, credo proprio di sì» dice Fini allargando le braccia e alzando, allusivamente, il sopracciglio. Da Palermo, Berlusconi prende atto e si compiace che l'alleato smentisca. E il cerchio, apparentemente, si chiude. Ma lo scontro c'è stato, e nonostante la Camera ieri abbia varato, terminando i lavori con un'ora di anticipo, le modalità di elezione del capo dello Stato, che potrà essere candidato (è il famoso «emendamento Di Pietro») anche da 500 mila cittadini, o da un gruppo parlamentare. Un presidente al quale saranno applicate rigide norme sul conflitto d'interesse, e che non potrà abusare dei mezzi di comunicazione di massa. Lo scontro politico di ieri è l'anticipo di quel che accadrà la prossima settimana, quando non si potrà più evitare di affrontare il tema dei poteri da assegnare al capo dello Stato. Un tema che taglia trasversalmente lo schieramento politico, con i Popolari vicini a Rifondazione, e An più contigua con l'Ulivo che non con Forza Italia. Un tema che spacca anche l'Ulivo, perché contrari al semipresidenzialismo lo sono, ad esempio, anche Occhetto e Novelli. Un tema che suscita anche le ire di Giorgio La Malfa: «Ma come si fa a sommare l'elezione diretta del presidente della Repubblica con quella del capo del governo? E' un inaccettabile ibrido, da cui possono venire solo dei guai». Antonella Rampino Il presidente della Bicamerale Massimo D'Alema
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