Il dittatore tra le ceneri di Giakarta

Il dittatore tra le ceneri di Giakarta Suharto promette la linea dura contro la rivolta: «Stroncherò la criminalità con ogni mezzo» Il dittatore tra le ceneri di Giakarta Rogo in un supermercato durante il saccheggio, 180 morti GIAKARTA DAL NOSTRO INVIATO Mentre comincia a fare buio i fuochi di Giakarta si spengono sotto le raffiche di una tempesta tropicale, una di quelle che fanno tremare le modernissime torri del centro. Nessuno però è certo che quelle fiamme non divamperanno ancora, anzi: le ultime notizie dicono che con la notte l'assalto delle bande comincia a dirigersi casa per casa. La risposta del regime alla più feroce e disperata rivolta degli ultimi trent'anni è durissima: rientrato a precipizio dal viaggio egiziano,^ presidente Suharto annuncia «misure eccezionali». Chissà cosa potrà essere più eccezionale di seicento carri armati lungo le strade di una capitale, di incursori e «marines» che la pattugliano mitra a tracolla, di una pohzia che dopo aver usato i bastoni adesso attraver- sa la città sparando. Sono già 220 le vittime di questa vampata rivoluzionaria, e il simbolo più povero ed atroce di quanto sta accadendo si è rivelato di prima mattina su un marciapiede del quartiere di Klender, nella zona Est della megalopoli. 176 corpi sono allineati fra rifiuti e macerie, coperti alla meglio, ridotti a mummie irriconoscibili. Qui siamo ben lontani da Chinatown, e ciò che rimane di queste membra non fa venire in mente bande di guerriglieri, gruppi di terroristi organizzati. Fra questi manichini fissati in pose quasi pompeiane s'indovina ciò che doveva appartenere a ragazzi, giovani donne, bambini: tutta gente che stava dando l'assalto all'ennesimo supermercato, il Jogja. L'altra sera il fuoco appiccato da altri predatori li ha intrappolati come in un sabba al terzo piano dello shopping center. Non un solo poliziotto, non un vigile del fuoco sono intervenuti: è la gente del quartiere che adesso porta giù i corpi ad uno ad uno e li stende sul selciato, finché i camion dell'esercito vengono a portarseli via. Altri nicendi, altri morti vengono segnalati nella zona del porto, nei quartieri di Kalandar, Matraman, Grogol, Ancis Barat. Ed è questa poi la vera scoperta del viaggio intrapreso attraverso la città: mentre dappertutto continuano a levarsi colonne di fumo ti accorgi che fuori dalle zone centrali la rivolta non ha risparmiato un solo quartiere. Da Nord a Sud di Giakarta, dalle zone quasi borghesi ai «kampong», le fetide baraccopoli che qui chiamano come i più sperduti villaggi di montagna, ciò che si vede è solo una sterminata sequenza di distruzioni. Non esiste più angolo della capitale dove i simboli della ricchezza altrui non siano finiti in cenere. Nella speranza di salvarsi dalla furia della folla, i proprietari di case e negozi espongono il car- tello «Milik pribuni», orgoglio dei nativi: cioè, non siamo cinesi. Supermercati, certo, ma soprattutto banche, concessionarie di auto, negozi di elettronica. C'è ancora gente che si muove in gruppo portando sottobraccio i frutti della razzìa. Altra s'infila sotto serrande contorte cercando quel che è rimasto. Lungo i viali passi file intere di auto date alle fiamme. Ogni tanto, sulle strade ancora semideserte s'incontra qualcuno che ha improvvisato un blocco per segnalare che da quella parte si sta sparando, da quell'altra ci sono scontri. Adesso per esempio - siamo a metà mattinata - un uomo di buona volontà c'impedisce di voltare a sinistra in direzione di Mangadua, quartiere semicentrale. «Stanno dando l'assalto alla stazione - racconta - e pochi minuti fa ho visto passare tre carri armati». Dove rilucevano insegne straordinarie, strane commistioni di americana grandiosità e gusto calligrafico locale, adesso su archi faraonici e bizzarre architettine neoclassiche si aprono occhiaie di frontali distrutti. Può sembrare strano, ma la devastazione del giorno dopo più che un'idea di violenza trasmette quella di un colossale fraintendimento. L'errore commesso da quegli indonesiani (a occhio e croce, 190 milioni di persone) che accettavano l'idea di una finta democrazia in cambio di una vera prospettiva di benessere. Appena rientrato a casa, Suharto ha riimito un Consiglio dei ministri ridotto, in una sorta di conta dei fedelissimi. Per qualche ora la speranza di un ricambio, almeno formale, si era materializzata nelle dichiarazioni di Alwi Dahlan, ministro dell'Informazione. «Ho incontrato il Presidente: mi ha detto che se non ha la fiducia del popolo, per lui dimettersi non sarà un problema». Invece lo è, com'era assolutamente prevedibile. La breve dichiarazione che ha concluso il meeting non lascia spazio a compromessi. Il più ricco e longevo fra gli autocrati del dopoguerra fa sapere che «la criminalità e le violenze saranno stroncate con ogni mezzo. Le riforme chieste dal popolo - continua - saranno attuate secóndo le procedure costituzionali». La linea è dunque quella della reazione, appena alleviata da vaghe promesse: unico provvedimen¬ to popolare, la decisione di abbassare il prezzo della benzina, due mesi fa aumentato del 60%, e di altri generi di prima necessità. Una goccia nel mare della disperazione: valutano che solo negli ultimi tre giorni i prezzi a Giakarta siano aumentati del 400%. Nei prossimi giorni resta da valutare la tenuta dell'esercito, dove pare affiorino dei contrasti. In fondo, mentre il Presidente non c'era i militari hanno consentito che i disordini esplodessero. Gli avvertimenti che continuano a giungere dal resto del mondo, poi, la dicono lunga sulle prospettive che le altre capitali assegnano all'Indonesia di questi giorni. Dopo gli Stati Uniti, anche Giappone e Francia hanno invitato i propri cittadini a lasciare al più presto il Paese. Qui abitavano più di tredicimila giapponesi: alcuni di loro, in attesa di raggiungere un aeroporto sempre più simile a un girone infernale, hanno chiesto di rifugiarsi nell'ambasciata. Gli americani hanno sgomberato con un charter il personale non essenziale della sede diplomatica. E ieri un altro volo speciale ha condotto in salvo i funzionari del Fondo Monetario che a Giakarta seguivano l'andamento dell'economia e le prospettive del megaprestito da poco concesso all'Indonesia. Forse nell'immagine di quei compunti banchieri che a precipizio fuggono dall'eruzione c'è tutta la sintesi dell'Indonesia di og- Giuseppe Zaccaria Al ritorno del leader dall'Egitto compaiono nelle strade 600 mezzi corazzati, incursori e marines, armi spianate Nessun quartiere si è salvato dalla furia della gente. Fuggono anche i funzionari del Fondo Monetario sornacoI G H ne La secon omeda ppo PT ' soriere sprey a in e TUTTO IN FAMIGLIA I ' a; a; r Il figil fcop Proprietario della Bank Ulama insieme con la sorella minore Siti fiutami; gestisce il progetto nazionale dell'auto Timor della PT; ha creato e controlla il gruppo Humpuss PT Humpuss Intermoda Transportasi); control ava il monopolio commerciale di chiodi di garofani (è la materia base delle sigarette indonesiane, al posto del tabacco); possiede la compagnia Owns Goro. Il secondo figlio. Controllava la Banca Andromeda (25% della azioni); Proprietario del gruppo PT Bimantra quotato in Borsa a Giakarta; Tesoriere del partito Golkar; Azioni nella società Osprey Maritime, con sede a Singapore, diventata in questi anni una delle più importanti flotte petrolifere in Asia; Detiene il 75% del diandra Asri, stabilimento petrolchimico. BAM Detiene i pedaggi dell'autostrada PT Citra Magra Nusaphala; proprietaria della Banca Yama; vice presidente del partito Golkar al governo; Ministro della Previdenza sociale; ha fondato il gruppo Citra Lamtoro Gung; detiene il 30% delle azioni della Banca Centrale dell'Asia con il fratello Sigit. SITI MUTAMI ENDANG ANDYININGSIH E' la figlia più giovane E' comproprietaria delle azioni nella Bank Utama con il fratello Kutomo La seconda figlia. Controlla l'8% della banca industriale. SIG1T HARJOJUDANTO FIGLI E LE FIGLIE Un carro armato nel centro della capitale indonesiana: al suo ritorno dall'Egitto, il presidente Suharto (nella foto piccola) ha ordinato di reprimere la rivolta Il figlio maggiore; Con il fratello Bambang controlla il settore petrolchimico. SITI HARDIYANTI RUKMANA (TUTUT) SITI HEDIATI HARIJADI PRABOWO HUTOMO (TOMMY) MANDALA PUTRA

Persone citate: Bambang, Barat, Dahlan, Giuseppe Zaccaria, Milik, Suharto