«Napoleon», un uomo solo di Gabriele Romagnoli

«Napoleon», un uomo solo «Napoleon», un uomo solo Una vita nel nome delpadre e del Padrino NEW YORK B L prete aveva bevuto di primo B mattino e non si ricordava più con che nome doveva battezzare il marmocchio. «Come il padre», gli suggerì qualcuno. Lui barcollò dall'altare della chiesa di Hoboken, sulle rive dell'Hudson e andò a informarsi. Sbagliò persona: invece che al padre, Martin, chiese al padrino del bimbo. «Lei come si chiama?». «Francis», rispose quello. Il sacerdote, rinfrancato, fece il suo dovere: «Io ti battezzo, Francis Sinatra, in nome del padre...». In nome del padrino, a essere precisi. Cosa poteva esserci di più simbolico nella prima apparizione pubblica dell'uomo che non sarebbe mai più tornato dietro le quinte? Il prete è comunque incolpevole: anche se avesse bevuto meno vodka e l'avesse battezzato Martin, come doveva, non ne avrebbe cambiato il destino. Marty Sinatra, come Frank Sinatra, sarebbe stato comunque «Il bastardo», «L'Adorabile Mina Anti-Uomo», «Napoleone», «L'Intoccabile», «Il canarino», «The Night Fighter». Poiché l'essenza di un uomo non è nel nome che gli danno quando non sanno cosa sarà, ma nei soprannomi che gli affibbiano quando lo hanno conosciuto, è attraverso questi che può essere ricostruita la storia di Frank Sinatra e la fascinazione, un misto di attrazione e repulsione, che lo ha legato all'America. Il Bastardo. Era l'affettuoso nomignolo dato¬ gli da sua madre, la gentile Dolly, professione: mammana. In un Paese di mammoni, il piccolo Frank crebbe con il mito della mamma-mammana. Da lei imparò il linguaggio «leggero», la «sobrietà» nelle apparizioni e la dismisura nelle ambizioni. Lei lo portava sulla riva del fiume (con poco sforzo: abitavano a River Road), con il vestito tre pezzi gessato e il braccialetto d'oro, gli indicava New York e gli spiegava: «Devi fottertela». Lui la prese alla lettera. Nessuno dei due pensava che, qualche decina d'anni dopo, quella strada sarebbe stata ribattezzata Sinatra Drive e che gli avrebbero consegnato le chiavi della città. Il «Bastardo» adorava la mammana. Dirà, sessanta anni più tardi, parlando con il suo biografo in una camera d'albergo a Montecarlo: «Ho sempre amato la stessa donna: lei». Per fortuna sua, esistevano in circolazione un'infinità di copie. Dolly (nonostante la teorica somiglianza) mise il veto a tutte le fidanzate di Frank, si oppose a tutte le mogli, a tutte le scelte. Lo voleva ingegnere. Si ritrovò per figlio «La Voce» più famosa del mondo. «Bastardo», gli disse. «L'adorabile mina anti-uomo». Strano ma vero, il soprannome non glielo mise una donna, ma un uomo: Peter Lawford, il suo migliore amico (finché non cominciò a uscire con Ava Gardner dopo il loro divorzio). Ma è un soprannome che sottoscrissero tutte. Le faceva esplodere. Ava, l'unica che potesse reggere la scena accanto a lui, disse, con la finezza e l'efficacia che le erano proprie: «Con Frank non ci sono mai problemi a letto. I problemi cominciano sulla strada per il bidet». Lungo quel fatidico percorso inciamparono le storie con Lauren Bacali, Shirley MacLaine, Mia Farrow e tutte le altre. Esplodevano loro, esplodeva lui o esplodeva qualcos'altro. Ava Gardner raccontò che una notte, in un albergo di New York, la chiamò dalla suite di fianco alla sua. Litigarono al telefono. Lui disse: «Non ce la faccio più». Lei udì uno sparo. Corse nell'altra stanza. Lo trovò riverso sul letto. Lo girò. «Hello», disse Frank. Aveva sparato al materasso. Due giorni dopo incideva per lei: «I'm a fool to Want you», sono un pazzo a volerti, a volere un amore che non può essere vero. Eppure si sposarono. Si lasciarono dopo undici mesi, quando lui la chiamò dal letto di un'altra. Lei esplose. Lui, no. Perché era «L'Intoccabile». Il soprannome glielo mise Tony Curtis. «Non nel senso mafioso - spiegò lui era il padrino di se stesso. Un padrino per la famiglia e gli amici». Un marine che arriva in soccorso di chi è in pericolo, armato di soldi e popolarità. Ma anche uno che detta le regole, per chi gli sta a fianco. Uno che sa di contare e a cui tutti lo ricordano. «Napoleon» è il nome in codice che gli misero i Servizi segreti quando dovevano proteggerlo durante un incontro con uno dei presidenti americani che ha preso sottobraccio, portato al mare, ospitato alla sua tavola. Da Roosevelt a Clinton: una passione per tutti. Nel caso di Kennedy e Repgan, anche per le rispettive signore. Ricambiata caldamente da Nancy, dicono. Gelidamente, al solito, da Jacqueline. «Napoleon» aveva perfino il telefono rosso per comunicare con il leader sovietico installato nel suo ranch, in caso di visite ùnprowise di Jfk. «Napoleon», a un certo punto della vita, aveva tutto e la gente andava in giro con l'adesivo: «E' il mondo di Sinatra, noi ci limitiamo a viverci». «Napoleoni) ammise che solo uno era più grande di lui: l'uomo che lo soprannominò «Il canarino». Quell'uomo era Sam Giancana, padrino vero, boss mafioso. Frank lo adorava. Gli regalò uno zaffiro a forma di stella e si lamentò perché Sam non lo portava abbastanza spesso. Con tutto il rispetto che aveva per Kennedy e quelli che sarebbero venuti dopo, disse: «Dovessi scegliere, meglio capo di Cosa Nostra che presidente degli Stati Uniti». Sam approvò. C'è una famosa, compromettente, foto di gruppo di Frank con i «ragazzi» come li chiamava lui. Da sinistra: Paul Castellano, Gregory De Palma, Frank, Thomas Marson, Carlo Gambino, Jrnimy Fratianno, Salvatore Spatola, Joe Gambino, Richard Fusco. Sorridono. Frank ha appena cantato. Loro hanno appena macellato. «Cosa volete da me? diceva Frank - Ho lavorato nei night fin da ragazzo. Non ci ho mai incontrato premi Nobel. Se San Francesco d'Assisi avesse lavorato nei night avrebbe conosciuto gli stessi ragazzi». Una bella foto anche per lui: San Francesco e i Lupi. Il canarino cantava per loro; faceva anche altro, probabilmente, ma hanno investigato per anni senza provare nulla. A qualcosa doveva pur servire l'amicizia con i Presidenti. Per lui anche «i ragazzi» erano solo amici. Amici che lo aiutavano a combattere la notte. «The Night Fighter» aveva paura del buio e della solitudine. Diceva: «Loners are losers», i solitari sono perdenti. Che in America è perfino vero. Diceva: «Quando sono solo, la notte è un buco nero che mi inghiotte». L'ultima notte da solo la passò nel 1940. Poi, più. Le donne, «i ragazzi», la «benzina» intesa come Jack Daniel's, le sigarette (esibite anche sul palco per mostrare che sfidava «la voce»), qualunque cosa, qualunque persona. «Ti stai ammazzando» gli dicevano. «Se muoio, sarà alla mia maniera», rispose. «My way», ci fece anche ima canzone, alla fine, che detestava. Forse perché era una delle ultime. Forse perché era perfino bella. Aveva tranquillizzato l'America nei Quaranta, dopo la guerra, con «The song is you»; l'aveva elettrizzata nel boom dei Cinquanta con «Come fly with me»; aveva cavalcato l'otthnismo kennediano dei Sessanta con «The best is yet to come»; era scomparso nei Settanta e ora tornava alla sua maniera, «My way», a combattere la notte che avanzava, la fine delle cose e delle persone, l'ultùna nota prima del silenzio in cui anche «Napoleon», «l'Intoccabile» è, per sempre, un solitario senza voce. Gabriele Romagnoli

Luoghi citati: America, Assisi, Montecarlo, Nancy, New York, Stati Uniti