Il cantante che ha sfidato il tempo

Il cantante che ha sfidato il tempo Il cantante che ha sfidato il tempo LE CANZONI DI UNA VITA ON c'è morte più crudele, forse, ma forse anche liberatoria, della morte di un vecchio grande cantante. Perché un grande attore, un pianista, un pittore, loro possono sempre reinventare la propria aite, piegandola indifferente ai segni del tempo. Ma la voce di un cantante è uno strumento che il tempo consuma inesorabile. E se un artista muore quando quella sua capacità d'immutabile reinvenzione creativa si è spenta, ieri la morte fisica di Frank Sinatra ha soltanto suggellato un percorso che il tempo aveva già chiuso. Eppure Sinatra è stato grande non soltanto per la qualità del suo stile interpretativo, che sapeva integrare con una misura assolutamente originale ritmo e melodia, le scansioni modernizzanti della rivoluzione jazzista con i modi espressivi della tradizione musicale americana, Porter e Gershwin, Count Basie e Nelson Biddle. E' stato un grande anche perché aveva saputo vincere la legge del tempo al di là di ogni credibile limite, e ancora a 78 anni, nel 1994, aveva inciso un album di canzoni, «Duets II», capace di sorprendere per la residua bellezza della voce. Da «Stranger in the night» a«My Way» Grande, straordinario, Sinatra. Quando stava su un palcoscenico, soltanto la canzone di chiusura era cambiata, che un tempo era stata la morbida «My Way» e ora invece aveva il ritmo brillante di «New York New York». Ma, per il resto, era davvero come se il tempo si fosse fermato e ancora in questi ultimi anni incantava il suo pubblico come sempre aveva fatto nel mezzo secolo di canzoni che gli stava alle spalle. E che canzoni: «I've Got You Under My Skin» di Cole Porter, «The Lady Is A Tramp», di Rodgers e Hart, «Ali Alone», di Irving Berlin, «The Best Is Yet To Come», di Coleman e Leigh. E poi «Night And Day», «The Song Is You», «September Song», «I Have Dreamed». Fece i suoi primi esercizi canori con un gruppetto che senza molte fantasie si chiamava «The Hoboken Four», ma presto scelse la strada del solista. Il suo modello erano le sfumature confidenziali che Bing Crosby dettava alla musica, e Harry James, che per primo ne scoprì il talento e lo ingaggiò nella propria Big Band, disse in un giorno del '39: «Questo Sinatra somiglia a un topo bagnato, ha un nome che lui soltan¬ to conosce, eppure, guardalo, si considera già il più grande cantante del mondo». La presunzione di Sinatra era pari soltanto al suo talento, e non ci mise molto tempo a trovare un conferma: Tommy Dorsey lo strappò all'orchestra di James a suon di dollari, e insieme incisero i più celebri successi di quegli anni, «The One I Love», «I'il Never Smile Again», «The Blue Of Evening», «How About You». Il suo primo disco d'oro è del '43, presto diventarono una pila alta come una torre. Erano gli anni della guerra, i ragazzi stavano tutti al fronte e Sinatra interpretava felicemente il sogno che tutte le ragazze sognavano in quel tempo senza uomini in città. La fine della guerra spinse però nell'ombra una voce e un volto che si erano identificati troppo con le ristrettezze dei Quaranta. Fu un brutto periodo, nessun impresario lo chiamava. Sembrava finita. Lo salvò «Da qui all'eternità», che nel '53 lo rilanciò nel grande giro. Sinatra ritrovò un contratto con la Capitol ma, soprattutto, trovò gli arrangiamenti stralucidi dell'ex-trombonista di Dorsey, Nelson Biddle: ne vennero le incisioni forse più belle di esordi come cantante A destra una foto recente con Liza Minnelli prendere con scat, sospensioni, e pause ritmiche, il fraseggio tipico dei 4/4. Sinatra fu un gran padrino delle notti d'America. Al «Sands» di Las Vegas, e poi al «Caesar's Palace», fu spesso attrazione principale, con gli amici Dean Martin & Sammy Davis jr. Tornarono a riunirsi, nel «Rat Pack», ancora nella primavera dell'88. Ricordo il loro debutto a Oakland, in California: tre icone imprigionate in una nostalgia scanzonata e sbuffante, molto malinconica. La prima volta che Sinatra annunciò il proprio ritiro fu nel '70. E per molti anni, la manfrina continuò a solleticare lo showbusiness. Ma alla fine, nell'ultimo concerto del '94, dovettero farlo smettere a forza, dopo che aveva avuto un collasso sul palcoscenico, in un teatro della Virginia. «Duets», con Liza Minnelli, Bono, Aretha Franklin, aveva scalato le hit d'ogni parte del mondo appena un anno prima; ma ora era proprio finita. Straricco, orgoglioso, insopportabilmente egocentrico, Mr. Sinatra ora stava soltanto sopravvivendo alla propria leggenda. Lui, Frank, la Voce, era già morto, quella notte, sulle tavole di legno di un palcoscenico della Virginia. Marinella Venegoni «THE VOICE» nell'intera carriera. L'abilità tecnica di Sinatra era stupefacente: il fascino che su di lui esercitava il trombone di Dorsey lo aveva spinto a studiare con grande cura l'emissione del fiato, e a servirsi con un controllo preciso ed efficace soprattutto dell'uso della respirazione circolare; la frequentazone poi dei grandi interpreti del jazz influenzò felicemente la dinamica dell'emissione vocale, spingendolo a ri¬

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