Il «Mecenate» è Dow Lovett

Il «Mecenate» è Dow Lovett Scelto dagli Amici della Scala Il «Mecenate» è Dow Lovett «ji MILANO \ ASCE un nuovo premio, \\ il Premio Mecenate, ed è 1 un segno dei tempi, che _ ! I prediligono ormai nettamente il dare dei privati nel sostegno dell'arte e della cultura. Lo Stato annaspa e declina, non solo non ha più denari ma non è neppure più tanto convinto che faccia bene a imporsi come primattore. E il premio lo danno, non a caso, gli Amici della Scala, che sono a loro volta tanti mecenati riuniti in associazione; e sono loro stessi, con altri amici, a fare appunto i mecenati premiando un altro mecenate. Un bel girotondo. Donano poesie di Zanzotto, prose di Santucci, musiche di Malipiero, opere di Dorazio e Vedova, tante altre cose preziose. L'importante è festeggiare, diffondere l'idea e la pratica del mecenatismo, «che è una passione, una tensione amorosa, ha qualcosa di paterno o di materno», come dice l'ispiratrice del premio, la scrittrice Anna Crespi Morbio, presidente degli Amici. «Bisogna aiutare i mecenati a rivelarsi a se stessi», sostiene. E il mecenatismo è diverso dalla sponsorizzazione, perché uno sponsor di solito s'aspetta un ritorno di notorietà e di credito; il mecenate invece ama restare spesso nell'ombra. Come il primo premiato, un americano sui settantanni che viene dalla Florida e da una famiglia di pionieri, l'harvardiano Lawrence Dow Lovett, presidente di lungo corso di SaveVenice, l'organizzazione internazionale che vuole contribuire a preservare il patrimonio veneziano. Riceve il premio domani pomeriggio proprio a Ve nezia, e proprio in quella Scuola Grande di San Rocco restaurata grazie alla sua SaveVenice. Lovett è un uomo ricco che s'è ritirato dagli affari, navi da carico e per crociere. Dà un'occhiata alla Borsa ogni tanto e questo gli basta. La sua vocazione vera, la sua attività, è godere. L'ha sempre saputo, e appena se l'è potuto permettere ci si dedica completamente. Nulla per lui vale come il piacere estetico. Se ne sta sei o sette mesi all'anno nella sua casa sul Canal Grande, s'affaccia dalla terrazza sul mercatino di verdure là sotto, ascolta le chiacchiere in veneziano, guarda il ponte di Rialto a sinistra, Ca' Pesaro e il casinò a destra, il sole che gli sfolgora davanti, ed è felice. «E' una specie d'estasi confida -. Provo un sentimento di gratitudine per tanta bellezza e m'inchino a Dio. Mio fratello dice che sono pazzo, che avrei dovuto continuare gli affari per fare ancora più soldi, ma io sono sempre stato condizionato, ho ancora oggi nelle orecchie la voce suprema, la voce totale e commovente della cantante Kirsten Flagstad. La sentii che avevo cinque anni. Da allora ho suonato il piano, ho dato concerti, eseguo ancora per me Debussy e Mozart, e ricordo le voci della Callas, della Pagliughi, di Di Stefano alla Scala negli Anni 50... La Scala è un po' in decadenza, certo, ma oggi lo è tutto il canto». Lovett ha una lunga carriera, come mecenate. Prima di approdare a SaveVenice, ha dato molto all'Opera del Metropolitan. Dice: «Le più importanti influenze su di me sono venute dal mio amore per la musica e dalla tradizione americana, che dice questo: quelli che hanno avuto la fortuna di avere successo hanno il dovere di dividerlo con gli altri e di dar loro tempo, esperienza, soldi. E' quel che cerco di fare». Prova forse anche una sorta di frustrazione nel suo prodigarsi per Venezia? Pensa che gli italiani facciano abbastanza? «Ne provo molta, tanto che direi ai politici: "Sveglia! Fate presto! Dov'è la promessa barriera contro l'acqua alta?". Sono amico del bravo sindaco Cacciari: non mi rivolgo a lui». Che cosa direbbe ai ricchi italiani? «Date di più all'arte». Loro sostengono che danno già, con le tasse. «Gli auguro di provare la gratificazione segreta e forte che provo io». Claudio Altarocca

Luoghi citati: Florida, Milano, Rialto, Venezia