Cesar, mago delle lamiere

Cesar, mago delle lamiere m Milano, in 120 opere l'avventura dello scultore francese 1 Cesar, mago delle lamiere Con lui i rottami diventano capolavori HMILANO A detto una volta: «D'altronde, a rifletterci, non sono mai arrivato a nien 1 te, altrimenti mi sarei fermato. E' per questo che continuo, alla mia età». Continua davvero la sua eterna ricerca alchemica, Cesar, nato a Marsiglia il 1° gennaio del '21, figlio di italiani. A Milano, per l'apertura oggi di questa sua spettacolare ed emozionante retrospettiva (120 opere), ad ogni domanda si mette sull'attenti, un po' ironicamente un po' no, come un milite dell'arte moderna: e per rispondere, decorosamente, s'infila in una giacca sfoderata da Cacciatore delle Alpi. Piccolo, scattante, gli ocelli d'acciaio, la faccia incisa alla Courbet, i vecchi baffoni a manubrio da chansonnier che gli hanno invaso il volto trasformandosi in un bianco cespuglio di barba, lisciandosi i baffi come un oste dell'Ottocento, questo profeta della modernità getta subito le mani avanti, le mani incallite della sua caparbietà di ruvido «ferrivecchi». «Non c'è nulla da spiegare. Devo dire qualcosa? Io so fare, non parlare. A quello ci pensa già l'amico Restany, da quanti anni lo conosco, guardate che barba bianca gli è venuta. Non c'è teoria. Io vado per le città, vedo un rottame, mi piego e lo raccolgo». Come faceva Braque con i collages. 0 il suo adorato Picasso che raccattò un manubrio di bicicletta e ne fece un toro. «E' come fare l'amore, un'avventura. Non sai mica spiegare cosa capita, tu vedi una bella fanciulla, provi ad accarezzare di qui di là e aspetti che cosa succede se la "materia" reagisce». Ed intanto disegna nell'aria rotondità voluttuose. L'adoratore di una materia «straordinariamente intelligente» (Restany) capace di fare di una scatoletta di sardine ritrovata una magnifica natura morta, il Mago delle Lamiere, come altri ha scritto, un po' più reclamisticamente «il più grande scultóre del'secolo, così come il più grande pittore fu Picas so», sostiene ancora Restany, il santone del Nouveau Réalisme. Un'esagerazione? Lasciamolo dire al poeta Reverdy: «Rendiamo a Cesar quel che è di Cesar. / Egli è lo scultore del secolo / perché è il più grande, / Dalle ferraglie alle resine plastiche, dagli imballaggi di auto alle montagne di schiuma / egli avrà il dominio della sua epoca / da vero poeta della mutazione industriale. / Nel Regno dei ciechi meccanici / egli avrà incarnato lo stupore dell'essere». «Non sono mica stato il primo a usare il ferro - dice -. Ci sono stati Gonzales, Picasso, anche degli italiani»; ma lui lo fa con un genio speciale, una poesia senza confronti. Tutto a causa del destino: figlio di genitori toscani di Pietrabuona, «se fossi rimasto in provincia di Lucca sarei diventato uno sbozzatore perché non sapevo che cosa fosse l'interpretazione. Essere creatore non ne avevo idea». E' bambino, non a tutti capita di abitare sopra Giacometti («passavo per la scala che tagliava il suo atelier»), intravede uno strano gioco di materie attraverso i vetri rotti e dentro ci sono Picasso, Cocteau, Boris Vian o Sartre. Quello poi non guida e quando non va a prostitute, lui se lo riporta spesso a casa: è ancora un adolescente, ma pronto ad imparare. «Teneva aperta la porta anche di notte, era acceso, delle volte mi guardava e mi faceva un segno». Un segno del destino, perché poi per caso incontra anche lo «sbozzatore» Brancusi, «dolcissimo» e poi Picasso che lo apprezza e Germanie Richier che gli chiede di posare. Tutti hanno la porta aperta e lui sbircia dentro, come attraverso le sue compatte Compressioni. No, non è la Richier la mia maestra, ha detto una volta, io sono allievo di Pompei. Ed in effetti c'è tutto un aspetto di Cesar (quelle colate liquide, dripping poliespanso di panna che scivola dalle mensole come una linguata morbosa ed ironica insieme, immaginario fantascientifico di scatenamento della lussuria materica senza freni) che deriva da quell'impressione cadaverica e di lava trionfante di una visita ai luoghi vulcanici. E difatti sarebbe un errore limitare questo Rodili del pattume industriale alla sua immagine più riconoscibile, quasi un'icona del contemporaneo: quella dello scultore delle automobili compresse (appiattirlo insomma alla stregua di un Arman, che rischia ormai la scolastica del tubetto spremuto o del violino spezzato). Questa bella mostra che proviene, con varianti, dal Jeu de Pomme (e che reinserisce comunque Milano nel giusto circuito delle rassegne internazionali) vive appunto di questa sua doppiezza «cardiaca», tra compressione ed espansione: menhir di reperti (jeans o cestini) masticate dalle macchine o liberazione distesa della materia «come una polenta» da distribuire quale cibo degli occhi. E sono geniali i suoi Autoritratti inchiavardati o gli Omaggi a Morandi, spremute meravigliose di bricchi in smalto che spandono sulla tela un miracolato De Staèl di lapilli infuriati. Marco Vallora Cesar, Retrospettiva Milano, Palazzo Reale. Tutti i giorni, tranne lunedì, dalle 9.30 alle 18.30 Sino al 12 luglio. Catalogo Mazzotta Santone del Nouveau Réalisme, trasforma in poesia resine plastiche, imballaggi d'auto Figlio di immigrati toscani, da ragazzo ha avuto per «insegnanti» Giacometti e Picasso, Sartre Boris Vian e Cocteau Qui accanto, «Autoritratto quadrettato» realizzato con bronzo saldato, del 1996; a sinistra Cesar e «Il pollice-inox» del 1965 e Culturi — ■- - ^ ^ m 1 e i grati zzo o egnanti» etti o, an au Qui accanto, «Autoritratto quadrettato» realizzato con bronzo saldato, del 1996; a sinistra Cesar e «Il pollice-inox» del 1965 SanRéain pimb

Luoghi citati: Lucca, Marsiglia, Milano, Pompei