Nel Mar Ligure, la danza della sporcizia. Colpe pubbliche per un suicidio di Au. Min

Nel Mar Ligure, la danza della sporcizia. Colpe pubbliche per un suicidio LETTERE AL GIORNALE Nel Mar Ligure, la danza della sporcizia. Colpe pubbliche per un suicidio Un bagnante che non si rassegna Mi riferisco al rapporto del ministero della Sanità sullo stato del mare italiano. L'indagine si riferisce al grave mquinamento da colibatteri, ma ritengo altrettanto grave l'inquinamento macroscopico superficiale da idrocarburi, detersivi, residui solidi di scarichi fognari ecc. Da cinquantanni frequento la Liguria, ed in particolare la riviera di Levante. Un tempo il mare qui era uno splendore sia lungo le spiagge che sugli scogli. Da molti anni non è più così. Lungo costa la superficie è quasi ovunque chiazzata da schiume giallastre, bolle, polverina bianca hi sospensione, iridi scenze degli idrocarburi ed ha un odore sgradevole (i sacchetti di nylon in fondo sono i più puliti e meno spiacevoli). Per fare il bagno in un tratto «pulito» bisogna valutare ogni giorno il gioco delle correnti, la direzione del vento ecc. I Comuni sono pochissimo sensibili al problema, aiutati in questo dalla <(buona bocca» dei bagnanti che sguazzano sereni anche in mezzo all'acqua torbida. Non senti indignazione da parte dei bagnanti: sono soddisfatti così o rassegnati. Pare che lo stato del mare sia come lo stato del tempo meteorologico: quando è brutto non c'è niente da fare, quando è bello grandi esclamazioni di gioia. I Comuni poi attribuiscono sempre la colpa dell'inquinamento ai Comuni limitrofi. Ad imitazione di quanto fatto più seriamente in Costa Azzurra, alcuni Comuni impiegano d'estate dei battelli cosiddetti «ecologici», con risultati pratici assolutamente ridicoli (forse qualche risultato psicologico). Il loro compito consiste nel raccogliere con una grossa rete posta a prua (come il becco di un pellicano) le plastiche o quant'altro di solido incontrano nel loro giro casuale. In caso di chiazze di idrocarburi possono gettare solventi. Di aspirazione e filtraggio delle zone di acqua visibilmente inquinate, almeno davanti alle spiagge più frequentate, non se ne parla. Ovviamente tali battelli, dotati di mo- tori diesel, inquinano l'aria ed anche il mare, visto lo scarico laterale dell'acqua di raffreddamento. In corrispondenza dei paesi si nota spesso lo scarico in mare di alcuni rigagnoli, le cui acque torbide hanno spesso il caratteristico odore di scarico bianco dei lavandini. Il mare si dimostra spesso «collaborativo» con l'uomo addensando sotto costa, grazie alle correnti od al moto ondoso, dense chiazze o strisce di schiuma giallastra che potrebbero essere facilmente aspirate da un natante attrezzato o addirittura dalla costa. Ma nulla viene fatto e poco dopo tale massa inquinante viene nuovamente dispersa. Lungo la costa si assiste quotidianamente alla «danza della sporcizia»: di notte la brezza di terra la sospinge al largo, di giorno la brezza di mare la spinge a terra. Non mi rassegno a questo degrado sperando che l'azione di Legambiente sullo stato del mare sia nel futuro sempre più incisiva. Luigi Force, Torino il disinteresse delle istituzioni In merito alla lettera di Franca Demarchi pubblicata il 7 maggio, concernente il suicidio della guardia giurata di Lecce, riteniamo opportuno osservare che, se le istituzioni (Regione Puglia, Comuni e Usi) avessero rispettato le leggi vigenti, non avrebbero richiesto al fratello o agli altri parenti nessun contributo economico. Infatti, se la sorella del suicida era malata di mente (come hanno riferito alcuni giornali), la degenza doveva essere a totale carico dell'Usi in base alla legge 23 dicembre 1978 n. 833. In tal senso si è anche pronunciata la Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 10150 del 1996. Se invece, come risulta da altre fonti, la sorella era colpita da handicap intellettivo, l'obbligo di assistenza spettava, fin dal secolo scorso e compete tuttora, al Comune di residenza. In ogni caso la responsabilità spettava alle istituzioni e dimostra, ancora una volta, il loro grave disinteresse e la loro deplorevole consuetudine di scaricare sui familiari competenze che spettano solo a loro. Carlo Pessano U.T.I.M. Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali Caffè, le delizie «della torbida bevanda» Dopo tre secoli dalla pubblicazione riecco il Trattatello sul caffè di Luigi Ferdinando Marsili, di cui ha dato notizia Mirella Appiotti (La Stampa, 11 maggio) dandogli l'opportunità di dire due parole sulla nostra tazza di caffè. Originario dell'Etiopia, il caffè deriva il suo nome dalla voce turca khavè, fatto conoscere per primo in Europa dal medico e botanico Prospero Alpini (1553-1617), avendone avuto cognizione durante la sua permanenza in Egitto. Al rapido estendersi delle coltivazioni del caffè nel mondo conseguì la rapida diffusione deU'uso dell'aromatica bevanda segnatamente in Europa, dove a Costantinopoli, nel 1554, i mercanti turchi Hakim di Aleppo e Gema di Damasco aprirono le prime botteghe di caffè, chiamate «scuole delle persone colte», antesignane dei Caffè letterari. Ma il poeta e medico Francesco Redi, cui piaceva immensamente (di sangue amabile dell'uva», dissentiva al punto di tonare: «Berrei prima il veleno / che un bicchier che fosse pieno / dell'amaro e rio caffè», ma dovette ricredersi: per placare i suoi bruciori di stomaco, l'autore di Bacco in Toscana ingeriva durante il giorno più di una tazza della «torbida bevanda», per lui, ma una «delizia» per un napoletano verace come Benedetto Croce, il quale avrà un vero culto per «a tazza 'e caffè». Angelo Giumento, Palermo Aboliamo l'odio dal nostro vocabolario Se potessi - per gioco o per follia esaminare le parole che mi piacerebbe estromettere dai vocabolari e di conseguenza dalla coscienza individuale e collettiva, caccerei via la parola «odio» con i suoi sinonimi. L'«odio» colpisce intimamente tutte le persone, con la differenza che alcune gli spalancano la porta della coscienza e ne restano rozzamente affascinate, altre invece soffrono quella viscida e spettrale presenza e cercano con la forza dell'umiltà di sconfiggere il brutto sentimento di contrarietà, di antipatia per le persone e gli animali, l'avversione verso la vita e il mondo. Penso che le gravi conseguenze provocate dall'«odio» resisteranno tenacemente a qualsiasi piccolo o grande tentativo di dissolverne o anche solo mitigarne le pericolose ripercussioni sulla vita di tutti noi. Però, chissà! Cominciare a parlarne può forse servire a qualcosa di buono. Fabio Sicari Bergamo I corvi, una minaccia nei parchi e giardini Un merlo maschio lotta disperatamente in giardino contro un corvo per difendere i suoi piccoli accovacciati nel nido, ma cede al nemico che con beccate potenti distrugge la nidiata. Un episodio per molti insignificante, ma casi simili accadono spesso in primavera (periodo delle nidiate) al sorgere dell'alba e al calar del sole.. In tali momenti comincia un intenso gracchiare di corvi svolazzanti sui tetti, nei giardini e sui viali pronti a colpire i nidi, soprattutto delle specie di uccelli di taglia inferiore a quella corvina. Questa, a causa della rottura di equilibri naturali, si riproduce in eccesso, invadendo nuovi habitat. Temo che i corvi, oltre ad arrecare i soliti danni ai seminativi agricoli, saranno una delle cause maggiori dell'estinzione di molte specie di uccelli da sempre abitatori di giardini e viali. Giovanni Massunino Un argomento mai trattato Leggo su La Stampa di ieri in un interessante articolo di Augusto Minzolini un'affermazione a me attribuita fra virgolette, che non ho mai pronunciato, non avendo parlato né ieri né nei giorni precedenti con Minzolini, né con altri giornalisti degli argomenti di cui trattava l'articolo. Pietro Folena, Roma La persona che ha parlato con l'on. Folena e mi ha riferito la sua affermazione non è tipo da capire fischi per fiaschi. [au. min]