Va in scena la rivolta della Sardegna giacobina

Va in scena la rivolta della Sardegna giacobina la memoria. Sassari oggi rievoca i moti del 1796 contro i piemontesi Va in scena la rivolta della Sardegna giacobina ESASSARI NTRA in Sassari a cavallo. E nei volti in strada, nel popolo riconosce ciò che ha I segnato il suo viaggio da Cagliari: ha di fronte le vittime di un sistema feudale che deve finire. L'hanno mandato a stroncare le ribellioni, a ristabilire l'ordine. Invece, Gian Maria Angioy, magistrato della Reale Udienza, alternos del viceré, con pieni poteri, in quel febbraio 1796 decide di mettersi alla guida degli sfruttati e ripetere a ritroso il viaggio. Non fu una conversione quella di Angioy, piuttosto la svolta concreta di teorie già radicate in lui, influenzate dai giacobini francesi. Ma fu, senz'altro, un momento fondamentale nella storia sarda. Se la cacciata dei piemontesi nel '94 fu sa die de sa Sardigna per Cagliari, molti vedono «il giorno della Sardegna» sassarese proprio nella vicenda dell'altemos. E i'alternos rientra questa sera in città, attraverso una colossale rievocazione organizzata da Regione, Comune e Compagnia Teatro Sassari. Trecento attori e comparse diretti dal regista Giampiero Cubeddu reciteranno nelle vie un testo (1796, Alternos, appunto) del giovane scrittore Michele Pio Ledda. Un'avventura dalle grandi speranze, quella di Angioy, eppure fallita: sulla via per Cagliari, le sue «truppe» si sfaldarono, l'anelito antiassolutista e antifeudale abortì, la repressione guidata da Giuseppe Valentino, feroce funzionario inviato dai piemontesi, fu spietata, al limite della foiba sadica. Perché, allora, quell'episodio è innalzato a un ruolo, almeno simbolico, alto come quello della rivolta di Cagliari di tre anni prima? «Perché è il momento della presa di coscienza da parte di un uomo del potere, che diviene figura emblematica per la nascita dell'autonomia», risponde Giampiero Cubeddu. Ma per quale ragione la Reale Udienza invia questo docente, imprenditore agricolo, industriale, magistrato quando già ne conosce le idee avanzate? Di certo l'ala moderata della Reale Udienza pensava d'allontanarlo, senza immaginare un voltafaccia. Voltafaccia che si inseriva nei venti in arrivo dalla Francia e dalla Liguria. Spiega lo storico Federico Trancioni: «C'è un volume, la Storta de' torbidi occorsi nel Regno di Sardegna, opera della parte a lui avversa, che rivela come Angioy fosse fin dal '94 una figura di spicco di queste nuove tendenze». Tendenze dal solido legame con i giacobini al di là del mare. Tran¬ cioni ricorda una lettere di Filippo Buonarroti a Onorato Cortese, cognato di Angioy, spedita da Oneglia: «Liberta, uguaglianza, virtù periscano tutti i tiranni». E' in quel clima che alcuni personaggi si soprannominano «Pétion sassarese», «Mirabeau sardo». Ed è con questa cultura in corpo che Giovanni Maria Angioy arriva a Sassari, non folgorato lungo la via, ma sempre più portato all'agire concreto. Nasce così la truppa di centinaia di uomini in marcia verso Cagliari, per imporre con un atto di forza la fine del feudalesimo. Ma è un disastro. Perché? Risponde Trancioni: «Lui non era certo un capo multare. Quella tempra l'avevano piuttosto i due uomini che lo affiancavano, l'avvocato Gioachino Mundula e il notaio Francesco Cilocco, ma Mundula era rimasto a Sassari». L'alternos finisce all'esilio in Francia, sugli altri si abbattono reazione e repressione, con i «ribelli» portati fuori dal carcere, torturati, impiccati, decapitati. Tutto ciò questa sera si ripeterà nelle strade, nelle piazze, dal Tea- tro Civico (allora Palazzo di Città) in Duomo e negli altri luoghi storici. Angioy (l'attore Gian Paolo Poddighe) è accolto dai popolani mentre il coro intona il Te Deum e quando, nella seconda parte, riflette sui quattro mesi precedenti, le immagini girate dalle telecamere poco prima, proiettano la folla degli spettatori intorno a lui, come i loro antenati all'arrivo. La violenta repressione chiude la recita, ma non la Storia, perché, dice Trancioni, «questi tre anni sono un continuum del quale la vicenda di Angioy è il momento culminante. Ma è da quell'insieme che viene la Sardegna libera. C'è un significato progressivo, che fin da allora smentisce il luogo comune di una terra arcaica e in ritardo». Marco Neirotti La repressione fu dura, ma l'episodio diventò il simbolo dell'indipendentismo Il condottiero era un magistrato della Reale Udienza. Mise in pratica le idee «francesi» che amava Perché un potente «alternos» del viceré decise di guidare la truppa stracciona dei miserabili? A destra un ritratto di Angioy imprenditore agricolo, industriale e magistrato dalle idee troppo avanzate e sospette In aito il suo ingresso a Sassari