SINDONE ritratto del pellegrino

SINDONE ritratto del pellegrino Devoto, dubbioso, commosso: vent'anni dopo l'ultima ostensione, un sociologo indaga sul «popolo di Dio» SINDONE ritratto del pellegrino TORINO E' chi scoppia a piangere e a pregare, chi si butginocchio e ta in chiede perdono, chi è alla ricerca del posto migliore per scrutare il telo. Un bambino con voce candida avverte il babbo che quel lenzuolo è giallo, non bianco come quelli di casa. Non mancano i delusi che si chiedono se è tutto qui, mentre alcuni non riescono a mettere a fuoco la figura. Altri invece non si staccherebbero da quel volto che trasmette loro un'emozione intensa. C'è persino chi si interroga se quello è il telo originale o una copia. Sfila senza sosta la gente nel Duomo di Torino. L'icona dell'uomo dei dolori attira a sé persone di ogni età e ceto sociale, in prevalenza italiani e residenti nel Centro-Nord, ma non pochi sono gli stranieri e i gruppi da ogni parte del mondo. In 20 giorni lo storico sudario ha richiamato a Torino quasi un milione di visitatori «prenotati» e 500.000 non prenotati che hanno dovuto accontentarsi di guardare la Sindone a distanza. Di questo passo le previsioni di più di 3 milioni di visitatori saranno ampiamente rispettate. Per una volta tanto, Torino è invasa da pullman, da auto con targhe le più diverse, da gruppi di pellegrini che - dietro cartelli guida sfilano veloci per le vie del centro e si preparano o si congedano da questo singolare «rendez vous». Sono passati 20 anni dall'ultima ostensione, un tempo troppo lungo per non contribuire a dar risalto all'avvenimento. Già allora la Sindone aveva richiamato a Torino circa 3 milioni di visitatori, nel ristretto arco di 43 giorni. Era il 1978, un anno emblematico per la storia del nostro Paese, non soltanto perché è stato l'anno dei tre Papi (Montini, Luciani, Wojtyla), ma anche perché si era al culmine della stagione del terrorismo politico, col rapimento e l'assassinio di Aldo Moro. Il clima sociale poteva scoraggiare una larga partecipazione di popolo alla Sindone. Così non è stato; anzi, alcuni osservatori hanno interpretato l'adesione di massa all'evento come una risposta del Paese a quegli anni bui e senza prospettive. Per altri, invece, il richiamo dell'iniziativa era specificamente religioso, anche in rapporto ad un simbolo che - per comprensibili problemi di conservazione - viene esposto molto raramente e che presenta vari richiami alla passione di un uomo che la tradizione identifica nel Gesù di Nazareth. Chi scrive ha condotto 20 anni fa un'approfondita indagine sui pellegrini-visitatori di quella ostensione. Sono stati intervistati 2200 pellegrini alla loro uscita dal Duomo di Torino e 400 autisti di pullman. Il tutto ha dato vita al libro, ormai introvabile, «Il volto di Dio», pubblicato nel 1981 da «De Donato», con una bella introduzione di Gian Enrico Rusconi. Quali gli elementi di continuità e di diversità tra quella ostensione e l'attuale? L'ostensione della Sindone costituisce un evento particolare nel panorama delle visite ai luoghi santi, nella pratica dei pellegrinaggi? Qual è oggi il richiamo di questo singolare simbolo religioso? Prevale il turismo e la curiosità o un'esperienza religiosa e spirituale? A differenza dei luoghi sacri per eccellenza - come Lourdes, Fatima, ecc. - l'ostensione della Sindone avviene in una città operosa, che non sospende la sua attività ordinaria in rapporto all'evento. I visitatori e i pellegrini si immergono dunque in una realtà dinamica e profana, sfilano un po' spaesati sotto i portici di via Po e di Piazza Castello, tra i banchi di Porta Palazzo, tra i gruppi di extracomunitari e le loro mercanzie. All'uscita dal Duomo alcuni fanno una puntata al Museo Egizio, altri si spingono alla Consolata e aìl'Ausiliatrice. Poi ritornano sui pullman e pongono termine a una visita incentrata su un richiamo troppo serio per mescolarlo con altre attrazioni. Ieri come oggi, inoltre, appare del tutto singolare l'oggetto della visita. Il popolo di Dio si nutre di molte immagini, reliquie, simboli. In questo cosmo sacro, la Sindone si presenta come un simbolo non quotidiano, poco ricorrente nell'immaginario collettivo. Anche perché il sudario resta per molti anni nascosto all'attenzione della gente e un simbolo deposto e velato cade nell'oblio. Proprio il nascondimento ordinario è alla base del forte potere evocativo che questo telo suscita quando viene esposto alla pietà popolare. Che cosa spinge dunque tanti pellegrini e visitatori? «C'è una forza interna a questo telo» - notava Gian Enrico Rusconi commentando l'indagine di 20 anni fa - «che colpisce la gente, la interpella, non la lascia indifferente; è il richiamo del sacro». La cosa non riguarda solo la devozione popolare, non la si può leggere soltanto come residuo di una cultura marginale. Anche le donne e gli uomini del nostro tempo, intrisi di una cultura razionalistica, figli di un clima freddo, hanno bisogno di segni visibili per scaldare la propria fede. Ieri come oggi, molti rimangono scossi di fronte alla Sindone. «Mi si sono ingarbugliati tutti i sentimenti», «ho provato paura e sgomento, quasi una sofferenza fisica», «più la guardavo e più sentivo fede, viene a mancare il distacco tra cielo e terra», «ho detto dentro dì me: "credo"», «sensazione di avere qualcosa di vivo davanti», «adesso so che il mio Salvatore è vivo», «mi sono sentita piccola e peccatrice di franta a tale grandezza», «mi sembrava che il corpo martoriato di Cristo non fosse solo il suo, ma quello di ogni uomo sulla terra», «mi ha colpito il contrasto, tra i segni delle spine e il volto sereno e buono». I più coinvolti sono i fedeli che non mettono in dubbio l'autenticità evangelica della Sindone. Tra questi la reazione diffusa è che «per ine la Sindone è il sudario di Cristo», con quel «per me» che si situa al di la delle prove del carbonio 14, che esprime l'esigenza di riscontri concreti della propria fede. Chi nutre dubbi non può fare a meno di notare la corrispondenza tra quei segni di passione e i racconti dei vangeli. Chi non vi crede, rimane comunque colpito dal dramma di un uomo sofferente, da quell'immagine densa di mistero. Altri sono spinti dalla curiosità per un documento unico al mondo o dal richiamo esercitato dai mass media, in un'epoca in cui non si può mancare ai più importanti appuntamenti «culturali». Si impone comunque la riflessione e il raccoglimento. Anche le scolaresche comprendono che la visita alla Sindone è ben diversa da una gita fuori porta, e si aprono al silenzio e al mistero man mano che si avvicinano al luogo dell'incontro. Non mancano i disincantati e i delusi: chi si attendeva che il volto della Sindone fosse posizionato in verticale; quanti trovano l'immagine troppo evanescente, per cui «queste cose, come le partite di calcio, è meglio vederle in tv»; quelli a cui dà fastidio che di fronte al telo la gente sia invitata a pregare; quelli che vedono solo mia massa credulona e incline alla suggestione; chi ritiene che la gente sia come San Tommaso, che vuol vedere per credere; calanti non accettano che si parli della «santa» Sindone; quelli per cui il fenomeno è perlopiù turistico e commerciale. L'ostensione, tuttavia, ha anche una portata turistica e economica, più rilevante di quanto ammesso dagli operatori nostrani. Quella di 20 anni fa è stata un affare da 100 miliardi, tenendo conto del bilancio spese dei visitatori. Parte di questi soldi sono stati spesi fuori Torino, per i viaggi e i soggiorni altrove. Ma stime attendibili hanno accertato che almeno 30-40 miliardi sono allora rifluiti in città. Aggiornando i costi, dunque, anche l'attuale ostensione rappresenta un indubbio vantaggio economico per la città. Rispetto a 20 anni fa, il fenomeno Sindone gode oggi di una maggior considerazione pubblica, soprattutto tra i laici. In campo religioso, invece, il dissenso cova sotto la cenere. Alcuni gruppi cattolici vorrebbero una chiesa meno incline alle grandi manifestazioni. In campo evangelico la critica è forte, verso un'iniziativa in cui il culto delle reliquie rischia di prevalere rispetto alla fede nel Risorto. Ai tempi della precedente ostensione un pastore valdese ammoniva che «solo una chiesa che ha perso il senso della presenza di Gesù vivente può tornare al sepolcro a cercare i segni di un Signore morto». Ma a queste posizioni critiche, altri rispondono che vi sarà pure qualche importante ragione sociale e religiosa per cui la gente accorre alla Sindone e che tutto il fenomeno non può essere letto come indice di ignoranza o di religiosità regressiva. Reazioni diverse e ricorrenti, ieri come oggi. Ma nell'attuale ostensione non sono pochi i fattori di novità. Questa è l'ostensione dell'informatica, della prenotazione computerizzata, della prelettura multimediale. Vent'anni fa l'organizzazione era più provinciale, tutto era scandito sulla pazienza. Nei weekend la gente stava in coda per 5-6 ore, sotto il sole accecante di fine agosto e dei primi di settembre. Poi di colpo enti-ava nella penombra del Duomo, con l'unico contrasto rappresentato dalla Sindone sotto i fari dei riilettori. Poi di nuovo fuori, sul sagrato del Duomo, sotto il sole impietoso. Un contrasto di luci e ombre che ben rifletteva l'alternanza di emozioni individuali e collettive provate dalla gente nella visita. Oggi il gradimento dei visitatori è generalizzate, con molti complimenti a Torino, alla sua amministrazione, a quanti si sono impegnati in un'impresa resa più ardua dall'incendio che ha devastato la cappella della Sindone. «E' da più di un anno che siamo sotto pressione», ci dice don Giuseppe Ghiberti, docente di Sacra Scrittura al seminario di Torino e alla Cattolica di Milano, che coordina i! Comitato organizzatore. Proprio la sua testimonianza avverte come quella della Sindone sia un'esperienza individuale, che può richiamale ogni persona alle radici della propria umanità: «L'immagine è impressionante, non ti stanchi mai di guardarla. A chi la vede per la prima volta e per poco tempo viene il fiato corto. Io, che ho la fortuna di contemplarla a ogni inizio di giornata, sono sempre più pervaso dal senso di sofferenza ma anche di pace che quel volto emana». Franco Garelli Un'immagine di sofferenza ma anche di pace, che si contempla senza stancarsi: «Mentre la guardavo mi veniva il fiato corto» Fra turismo, fede, curiosità e Internet: così cambiano i fedeli che sfilano davanti all'«icona del dolore» Monsignor Giovanni Saldarini all'interno del Duomo. Sopra, l'ostensione nel '78. Sotto il titolo, da sinistra, il Duomo oggi e un'immagine dei pellegrini. La copertina del ed allegato a «Specchio» con il «Quarto concerto per pianoforte e orchestra» di Beethoven e il «Secondo concerto» di Chopin : •

Luoghi citati: Milano, Torino