Quattro amici e un clan

Quattro amici e un clan Quattro amici e un clan Un'alleanza criminale nella Genova delle bische GENOVA DAL NOSTRO INVIATO «Si ricorda quella canzone di Bruno Lauzi, "Eravamo quattro amici al bar"...». I quattro al bar, spiegano i carabinieri con la metafora delle canzonette, erano Donato Bilancia, Mario Rossi, Cesare Chiti e Gaetano Gardini. Del primo si conosce bene l'ultimo anno di vita, grazie all'etichetta di serial killer che probabilmente non riuscirà più a togliersi di dosso. Del secondo, detto Marietto, si ricordano le audaci rapine e le sparatorie per strada, e la fine in galera. Vivo, però, perché se non fosse stato per la protezione del carcere, forse Marietto sarebbe stato ucciso da chi gli aveva preso il posto, negli anni Settanta. E cioè i siciliani, sbarcati in massa a Genova da Riesi, confusi tra la folla di gente perbene richiamata al Nord dal lavoro offerto dall'Italsider. Gente disposta a tutto - i mafiosi di Riesi pur di conquistare il giro delle scommesse, del traffico di droga, del riciclaggio di denaro, strappato in un paio di anni a quella vecchia malavita genovese che, al massimo, faceva la guerra ai marsigliesi, senza sapere che il peggio doveva ancora arrivare. Il terzo è Cesare Chiti, detto «il boia delle carceri». Condannato all'ergastolo per l'omicidio di un carabiniere, qualche anno fa rinunciò alla fama di duro e fece uno sciopero della fame, a Palmi: protestava perché gli erano state revocate semilibertà e permessi di uscita, diceva di essere «un uomo cambiato», rispetto ai vecchi tempi di Genova. Il quarto è morto: Gardini Gaetano, boss del Totonero ucciso in un ristorante di Genova nel '90. Un delitto chiave, in tutta questa storia, come fondamentale - per capire il ruolo di Bilancia nella criminalità organizzata che ha come base Genova - è quello di Maurizio Parenti e la moglie Carla Scotto, uccisi - a Genova - nell'ottobre scorso. Da chi? Dalla mafia, certo, per un ordine arrivato dalla Sicilia. Ma cominciamo da Gardini, lamico del bar» e di scorribande di Bilancia, assieme al «boia» e al rapinatore impavido Rossi. Per la sua morte la corte d'assise d'appello ha condannato all'ergastolo (31 dicembre 1997) i fratelli Davide, Alessandro e Nunzio Emmanuello, famiglia siciliana di Riesi. E Salvatore Fiandaca, capodecìna di Genova, che nell'ambito dello stesso processo aveva preso un secondo ergastolo per il delitto di Angelo Stuppia, «ordinato» in Sicilia da Giuseppe «Piddu» Madonia, eseguito a Genova con il consenso della famiglia Fiandaca. Un omicidio «necessario» motivò la Corte - perché questo Stuppia aveva voluto mettersi in proprio, e assieme a Salvatore Poggio (poi pentitosi) aveva creato la Stidda, organizzazione in contrasto con i nisseni facenti capo a Madonia. Riggio stesso aveva cercato di fare uccidere il boss Madonia, ma la risposta era stata immediata, e Stuppia ucciso dal braccio armato del clan, ovvero gli Emmanuello. Tanto per capire il peso della morte di Stuppia, bisogna ricordare che dopo il delitto a Riesi ci fu la «risposta»: tre morti e due feriti, nel novembre del '90, strage definita dagli investigatori siciliani come «espressione della faida esistente tra i siciliani emigrati a Genova». Difficile da capire? No, nella logica del controllo di un territorio Genova - troppo importante per non essere conteso da più parti. Uno scenario di lotte tra cosche, e di lotte all'interno delle cosche, che rimbalza tra Sud e Nord senza che peraltro a Genova vi sia data eccessiva importanza, visto che fino a due anni il procuratore generale nella relazione inaugurale dell'anno giudiziario - puntualmente diceva «la mafia a Genova non esiste». Poi ha smesso, e solo l'anno scorso anche qui è scattato ufficialmente, e finalmente, l'allarme mafia. E qui mafia vuoi dire Fiandaca.il capodecìna Salvatore, il fratello Gaetano (anche lui all'ergastolo per il maxiprocesso in cui è stato condannato Madonia). E Pietro, coinvolto in modo marginale nelle faccende dei fratelli (ma tenuto d'occhio dai carabinieri per il giro delle bische clandestine), ma amico fratemo della coppia Parenti, quelli ammazzati a fine ottobre. Pianse al loro funerale (a cui forse partecipò anche Bilancia, amico della coppia, ora sospettato pesantemente di averli uccisi). Ma forse Pietro sapeva che quelle due morti ordinate in Sicilia, avevano un qualche assenso genovese. Lui però non ci poteva fare niente, contro quell'ordine era impotente. E quando, dopo l'omicidio, qualcuno in aula chiese ai Fiandaca (28 ottobre '97) se era vero che erano stati loro, Gaetano convocò una specie di conferenza stampa e disse: «Sono stati dei balordi, forse dei tossicomani. Non certo professionisti che volevano lanciare un messaggio a noi. Conoscevo Parenti, era un vero signore. Tra noi c'era amicizia ma nessun rapporto di lavoro». E «Piddu» Madonia, inawicinabile in aula data la sorveglianza a cui era sottoposto, mandò a dire «Non c'è alcuna guerra a Genova, come affermano i giornali»..Con la promessa di querelare chiunque sostenesse il collegamento tra la sua famiglia e il doppio delitto di piazza Cavour. Ma se non era guerra tra clan, come ha voluto dire il boss, allora poteva essere un «riassestamento» degli equilibri genovesi, e in questo ambito Bilancia - segnalato alle udienze del processone, non si sa se per prendere ordini, osservare, controllare, riferire - sì, aveva un ruolo, e non era un ruolo da niente. [bru.gio.]