Albania, il ritorno del kalashnikov di Vincenzo Tessandori

Albania, il ritorno del kalashnikov Sei morti in un giorno di sparatorie, a Durazzo bimba uccisa da una granata Albania, il ritorno del kalashnikov In cella il re delle finanziarie TIRANA. Il re è in galera: evviva il re! E ora che è in carcere c'è il rischio di un nuovo terremoto, stavolta con epicentro Tirana e prospettive catastrofiche. Perché esiste la possibilità che, prima o poi, crolli pure il suo regno, la finanziaria Vefa, la più grande fabbrica d'illusioni, qui in Albania e questo riattizzi l'incendio che, un anno e mezzo fa, lacerò il paese. Segnati: a Tirana, in pieno centro, la polizia ha messo le mani su Artan Basha, detto «Oqja», uno accusato di aver assassinato, tre anni fa, Bujar Kaloshi, direttore delle carceri. «Oqja» indossava una maglia antiproiettile: ucciso con 4 colpi in testa; a Durazzo, bomba a mano contro una casa: è morta Lediana Kucaj, 2 anni, feriti il padre e 0 fratello; al Sud, a Valona, di giorno, 5 morti in sparatorie diverse; ad Argirocastro, ordigni contro i ponti di Derviqan e Goraxin. Vehbi Alimucaj, il re, è un uomo di 48 anni, corpulento, testa leonina e criniera grigia, ai polsi un cronometro d'oro del peso di un lingotto e un bracciale di platino grosso come quelli delle manette; eppoi il portasigarette d'oro, l'accendino d'oro, la stilografica d'oro; e in tasca una pistola Derringer, di quelle a due colpi, con canne sovrapposte: inutile quando gli agenti della Direzione di polizia e del «commissariato numero 1» si sono presentati al cancello della sua villa, ai piedi del monte Dajti; come i 200 guardaspalle. Negli anni in cui a Tirana c'era ancora un muro più alto di quello di Berlino e l'Albania pareva un'isola, il futuro signor Vefa, che è originario di Valona, faceva il militare: sergente furiere. «Ma io ero ricco di famiglia, per questo ho potuto mettermi m affari». La gente ricorda ancora che il giorno in cui il partito democratico, quello di Sali Berisha, trionfò alle elezioni, sul palco dei vincitori accanto alle bandiere albanese e americana garrivano pure quelle bianche e azzurre della finanziaria Vefa. Lui ama presentarsi così: «Sono un economista». E di economie doveva averne fatte parecchie considerato che, con enfasi, era solito ripetere: «Il mio capitale è talmente grande che neppure conosco la cifra». In sei anni ha messo insieme un impero che snocciola contando sulle dita, dal mignolo al pollice: fra i 5 e i 7 milioni di dollari di argent de poche, catena di supermercati, canale televisivo, una fabbrica di salami, un traghetto, cinque elicotteri, tre aerei. Per mesi uno di quei jet, un bireattore «BE 40», è rimasto sulla pista di Caselle: ora è ad Atene, sotto sequestro. Agli sportelli della Vefa si erano rivolti, forse, in 300 mila. Otto per cento garantito, naturalmente mensile, ridotto al tre, quando la situazione era precipitata. Poi era stato bloccato tutto e la società era finita sotto una specie di campana di vetro: c'era da capire quale fosse la situazione reale, se in qualche modo si potesse evitare il fallimento e, con quello, una nuova sommossa nell'Albania già inquieta per mille motivi, Kosovo compreso. Certo, non aveva contribuito ad alleggerire l'atmosfera la notizia che nei giorni della rivolta, quando anche Tirana pareva destinata a diventare preda degli insorti e gli stranieri fuggivano, pure il signor Vefa aveva chiesto il visto per gli Stati Uniti. Negato. Ora lui è nel carcere di Tirana: ce lo hanno accompagnato con un corteo di 25 auto. L'accusa è: falso in bilancio. Sorte simile, la sua, a quella di Sudja Kademi, detta la zingara, la titolare della prima finanziaria crollata nel gennaio del '97, quella che, come per un effetto domino, si era trascinata dietro le altre «piramidi»: Giallica, Xhaferri, Populli. E, con loro, l'Eldorado albanese. Dopo la fine del sogno e le sommosse di piazza, la Vefa era rimasta come il solo punto fermo. Ma non rassicurante. Così appariva indispensabile capire quali fossero le condizioni della holding e il viaggio nei suoi misteri è stato fatto dalla Deloitte and Touch e ora tocca alla Coopers & Lybrands che per il disturbo avrebbe ricevuto dal Fondo monetario 600 mila dollari. Le dimensioni del buco, perché naturalmente di questo si tratta, sarebbero di 358 milioni di dollari. L'impero di Alimuchaj conta di 214 proprietà, calcolano che se sarà possibile venderle, i disperati creditori potrebbero recuperare dal 10 al 15 per cento. Lui, il re, finito davanti ai giudici, ha ripetuto che se non lo lasciano lavorare le cose non potranno essere sistemate. «Sono stato aiutato dagli americani», ha ripetuto, facendo intravedere chissà quali misteri. E ha vantato amicizie con una certa società Red e alcune banche Usa. Non lo hanno creduto, tantopiù che l'ambasciata americana è stata tempestiva nel prendere le distanze. Per questo il re rimarrà «a tempo indeterminato» in una cella del carcere 313. Vincenzo Tessandori L'arresto del proprietario della Vefa potrebbe innescare una nuova catena di crack e violenze Tornano le violenze in Albania, sette morti in un giorno

Persone citate: Artan Basha, Bujar Kaloshi, Sali Berisha, Touch, Xhaferri