«E io condanno il mondo ipocrita» di Fabio Galvano
«E io condanno il mondo ipocrita» «E io condanno il mondo ipocrita» Ghosh: le due misure delle potenze atomiche INTERVISTA L'AUTORE DI «ESTREMI ORIENTI» LLONDRA A verità - osserva Amitav Ghosh - è che l'atomica indiana non solo serve fini di politica internazionale, cioè come avvertimento alla Cina e al Pakistan, ma soprattutto risponde alle esigenze interne del primo ministro Vajpayee e del suo Bharatiya Janata Party. Il nazionalismo è una potente arma; e non mi sorprenderebbe se in tempi brevi il primo ministro decidesse, sull'onda dell'entusiasmo popolare che lo ha avvolto negli ultimi giorni, di andare alle urne, per trasformare in una salda maggioranza il suo governo di minoranza». Ghosh è figura di spicco nella nuova generazione di scrittori indiani in lingua inglese aperti al mondo: 42 anni, vive e lavora a New York, ma è ben noto anche ai lettori italiani, soprattutto per opere come «Le linee d'ombra» - una struggente introspezione tra realtà e memoria - e il più recente «Estremi Orienti», entrambi editi da Einaudi. Quella bomba non la ferisce, come pacifista dichiarato e avversario del nucleare? «Assolutamente; e ne provo molto dolore. Trovo profondamente destabilizzante il desiderio indiano di entrare nel club nucleare. Ma lo capisco. E soprattutto mi vanno di traverso i venti d'ipocrisia che si sono levati da più parti del mondo», Perché ipocrisia? «Perché le vere contraddizioni non sono in India, ma nella politica nucleare internazionale. E' logica e coerente l'obiezione del governo di Delhi ai trattati di non proliferazione e per l'interdizione degli esperimenti, inutili se anche chi ha già il nucleare non imbocca la via del disarmo e della denuclearizzazione. Ma gli Stati Uniti e le altre potenze atomiche sono sordi, anche se la logica suggerisce una certa inconsistenza - ipocrisia, appunto - nel pretendere regole diverse per sé e per l'India. Tuttavia con questo comportamento Washington dà nuovo fiato al movimento antinucleare: paradossalmente l'atomica indiana potrebbe portare a un riesame di molte cose anche in America». Ma a costo di un'immagine, per l'India, di Stato-canagua? «In un mondo che fosse perfetto, forse. Ma proprio a ridosso dell'India ci sono due Paesi - la Cina e la Russia - che rifiutano la denuclearizzazione. E un terzo, il Pakistan, che si avvale della tecnologia cinese per arrivare allo stesso traguardo raggiunto dall'India. Non mi si fraintenda: non ritengo che Mosca o Pechino intendano aggredirci do¬ mani; ma la loro presenza armata, in quella parte del mondo, è una realtà che Delhi non può ignorare». Vajpayee ha fatto bene, allora? «Non dico questo. L'India è un Paese con tremendi problemi economici, tutti degni di essere affrontati prima di spendere una sola rupia nel programma nucleare. Quello che dico è che nessuno può realisticamente affermare che la posizione dell'India, facendo le scelte che ha fatto, sia immorale». Lo stesso Clinton, in una sorta d'esame di coscienza, ha riconosciuto che non sempre le aspirazioni globali dell'India sono state rispettate. «E' proprio questo il punto. L'India, con oltre un miliardo di abitanti, è la più grossa democrazia al mondo. Quando è chiamata a operare per la pace nel mondo non si tira mai indietro: tant'è che è forse la maggior fornitrice di "caschi blu" delle Nazioni Unite. Ha quindi diritto, come se non più di altri Paesi della sua stazza, di svolgere un ruolo mondiale. Invece è sempre dimenticata, sminuita, marginalizzata. E non c'è via d'uscita se non c'è un impegno da parte di tutti per riconoscere il ruolo dell'India». Anche a costo di una nuova guerra fredda, questa volta nel subcontinente asiatico? «Non è una cosa molto nuova, perché la guerra fredda, in quella parte del mondo, c'è già. E non solo fredda: l'India ha già avuto tre con¬ flitti con il Pakistan e uno con la Cina. E poi che sorpresa e sorpresa: tutti sapevano che l'India disponeva del know-how nucleare, come tutti sappiamo che ne dispone il Pakistan. Certo, ci troviamo di fronte a una forma di escalation: tale, appunto, perché il mondo in cui viviamo non è perfetto». E la popolazione indiana sembra d'accordo. «E' compatta dietro Vajpayee. Il nazionalismo, in India, è una cosa molto popolare. Ma lo è, suppongo, anche in molti altri Paesi: provate a chiedere agli americani di rinunciare alle loro bombe, al loro esercito, ai loro missili, e vedrete la sollevazione. In India se ne era già accorta la stessa Indirà Gandhi, e sono con¬ vinto che il primo esperimento nucleare indiano, quello del 1974 che poi non ebbe seguiti, fu proprio concepito per un teatro politico interno». Ora Vajpayee, lei dice, con le cinque bombe di Pokhran si gioca il futuro politico? «Sarebbe assurdo se non tentasse. Perché ogni critica dall'Occidente, ogni sanzione americana o giapponese non fa che accrescere la compattezza indiana e portare dalla sua anche chi, alle ultime elezioni, aveva avuto paura di dare il suo voto a un partito induista e aveva votato per il Congress Party della tradizione gandhiana». Fabio Galvano
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