Cina, i miracoli del denaro di Fernando Mezzetti

Cina, i miracoli del denaro Una ricerca della Fondazione Agnelli esplora l'anima di un Paese che cambia Cina, i miracoli del denaro Una nuova rivoluzione nel silenzio dell'Occidente L TORINO A Cina è vicina», proclamava oltre trent'anni fa il film di Marco Bellocchio che con la Cina nulla ave¬ va a che fare, ma che divenne luogo comune mentre da quel Paese lontano e chiuso arrivava l'onda lunga della rivoluzione culturale. Si sapeva poco e non se ne capiva nulla, ma ci si entusiasmava molto di quella ignota Cina del Grande Timoniere. Di quella odierna, così aperta rispetto all'altra, non si vuol sapere nulla. Una congiura del silenzio nella pubblicistica italiana ricaccia in lontananza un Paese che mai nella sua storia è stato così vicino, per la scomparsa delle distanze e per la modernizzazione e lo sviluppo in cui è lanciato, con l'avvicinamento ad altre culture e l'assimilazione almeno apparente di alcuni loro aspetti. In questo atteggiamento c'è il fatto che la Cina del dopo-Mao, e ora quella del dopo-Deng, ha cessato gradualmente di essere comunista aprendosi all'economia di mercato in un crescente sviluppo economico e sociale. Resta un regime autoritario, ma con la legittimità dei risultati per le sue moltitu(lini. La Cina odierna non piace a sinistra per aver avuto successo nell'abbandonare Marx, Lenin e Mao; imbarazza la destra, che per rapporti economici chiude gli occhi sui diritti umani. La liberazione dalla fame e dalla miseria di un quinto dell'umanità passa sotto silenzio. L'indifferenza viene squarciata dalla Fondazione Agnelli, con la ricerca «Il Tao della Cina oggi Dinamiche culturali, politiche, istituzionali» di Sergio Picozzi, un sacerdote del Pime dal '69 a Hong Kong, e che dall'84 al '91 ha lavorato a Pechino. L'opera è stata presentata ieri con un convegno cui hanno partecipato, oltre a Sergio Ticozzi, Marcello Patini direttore della Fondazione, Fu Hualing dell'Università di Hong Kong, Renzo Cavalieri dell'Università di Pavia, Stefania Stafutti dell'Università di Torino e Guido Samarani dell'Università di Venezia. Già mesi fa il Grinzane Cavour aveva riportato l'attenzione sulla Cina col convegno sulla sua letteratura contemporanea. Con la ri¬ cerca di Picozzi la Fondazione Agnelli va oltre: un quadro organico di che cosa e come è cambiato, del faticoso affermarsi di un quadro giuridico, cioè di «governo della legge», non più «di persone»; il rifiorire delle religioni nella caduta dell'ideologia e delle istanze ideali del regime; le riforme dell'istruzione pubblica, con i nuovi orientamenti e ideali educativi e il sorgere della scuola privata; la situazione culturale, tra il nulla di quella ufficiale, il confuso fervore di quella non ufficiale ma tollerata, il «mercato della cultura» e il rapporto con le correnti occidentali; la caduta del ruolo degli intellettuali; la trasformazione delle campagne, col benessere di larghi strati contadini e il triste fenomeno migratorio di centinaia di milioni alla ricerca di lavoro nelle città in crescita; l'emergere di classi medie urbane. Il Tao richiamato nel titolo è da intendersi come Via, direzione delle trasformazioni già avvenute e ancora da fare. Sotteso e sovrastante, un regime senza legittimazione democratica ma che vanta legittimità di risultati; nel cui interno agenti del cambiamento sono, a differenza che in Unione Sovietica, non appassionati intellettuali, ma artigiani, imprenditori, commercianti, che avendo la libertà di fare da sé si sottraggono alla dipendenza dal potere politico per la sopravvivenza. La ricerca di Ticozzi dà un'accurata analisi di tutto questo, con una certa impronta di sociologismo. Affronta il quadro storico del cambiamento, ripetendolo a ogni capitolo, ogni volta purtroppo rivelando punti deboli su questo aspetto. Come si può ridurre la campagna di Deng Xiaoping nel '78 su «cercare la verità nei fatti» a un «controbilanciamento» di Hua Guofeng, successore di Mao, secondo il quale bisognava eseguire «qualsiasi istruzione di Mao»? Altro che «controbilanciare»: fu scontro decisivo per liberare il Paese dalla gabbia maoista, e infatti fu «liberazione del pensiero». E come si può liquidare in poche righe e in nota la conclusione dell'assalto a Mao, cioè lo storico documento ufficiale del 1981, nel quale gli si rende onore per la vittoria della rivoluzione, ma lo si condanna senza appello per tutto ciò che ha fatto dal '49 fino alla morte nel '76? E sfugge all'analisi del pur attento Ticozzi la sostanza del decisivo scontro di vertice nella primavera del '92: quando additando la scomparsa dell'Urss i conservatori andarono all'attacco di Deng per bloccarne le riforme; un assalto al quale il gran vecchio rispose rifugiandosi a Sud, proclamando che per non fare la fine dell'Urss bisognava avanzare più decisamente su di essa. Due capitoli di storia decisivi e densi di pathos, il primo più volte richiamato senza approfondimento, il secondo accennato senza capirlo. Ma ciò nulla toglie alla validità dello sforzo di ricerca, al pregio dell' analisi in tanti altri campi, che può stimolare ulteriori iniziative sulla Cina. Fernando Mezzetti