il BELLO l'ultima crociata

il BELLO l'ultima crociata Dall'armonia classica alla «bellezza totale» del paesaggio italiano: intellettuali a convegno con il Fai a Viterbo il BELLO l'ultima crociata NMILANO ON il solito lamento sull'Italia che s'infanga, frana e muore, e sporca —lo distrugge i segni, le glorie del suo passato, della sua arte, non solo città e paesi, singoli monumenti, statue, affreschi, palazzi e chiese, ma pure la stessa terra e gli stessi alberi, il paesaggio insomma con i suoi splendori. Una bruttura che si gonfia, s'espande, mortifica e ammazza ogni bellezza. Né lamento né invettiva: il Fai, il Fondo per l'Ambiente Italiano, dedica il suo nuovo convegno non allo sfascio o alla tutela dei beni artistici e naturali, alla conservazione o al rilancio di questa o quella istituzione, ma a un tema a prima vista remoto e aulico, oggi assai poco frequentato se non dimenticato, e cioè «Il Bello», con tanto d'imperiosa maiuscola antica. Questa parola, questo concetto, il Bello poderoso e vago, risulterà però assai più .agibile se lo si bagna nelle cose, nei muri, nei marmi, nei boschi che ci circondano, e se lo si lava da ogni residuo scolastico, di dottrina astratta. La sfida del Fai è proprio qui: ricominciare a maneggiare una parola, risuscitarla, renderla se possibile odierna e quotidiana, spendibile, ispiratrice. Senza timori reverenziali ma con disinvoltura sana, avveduta. Si scopre allora che il bello, con o senza maiuscola, è alla radice di ogni politica dei Beni culturali, e che un'educazione estetica rinnovata e diffusa può diventare educazione, comportamento civile comune ai più. Così ragionano, o sperano, al Fai. Per questo hanno chiamato a discutere critici come Federico Zeri, filosofi come Remo Bodei e Ugo Volli, sociologi come Alessandro Cavalli, geografi come Franco Farinelli, e operatori, persone che stanno in prima linea, al ministero, a cominciare dal ministro Walter Veltroni, e nelle soprintendenze. L'appuntamento è domani e dopodomani fra i castagneti nel cuore della Tuscia, a San Martino al Cimino, nel magnifico salone cistercense di Palazzo Doria Pamphili. Di fianco al palazzo, l'abbazia, e tutt'at- torno il borgo secentesco. Un luogo magico, non molto conosciuto, ma appunto qui sta un ulteriore avviso, come dire: impariamo a conoscere e a valorizzare anche l'Italia che non sta in copertina, che non richiama le sempre più prevedibili masse turistiche. Già, ma che cosa s'intende oggi per bello? E' come una moneta usurata, con le lettere limate dal tempo, illeggibili, secondo Remo Bodei, che però vuol dimostrare che quella parola-moneta, nonostante ogni apparenza contraria, ha ancora corso, ha uno spessore, un senso. A un patto, però: che si evitino due scogli opposti. Il primo è credere che il bello sia una cosa soltanto, abbia un solo significato: cadremmo nel dogmatismo. Il secondo è scivolare, disperdersi nei belli infiniti, tanti quanti sono coloro che lo pensano: saremmo invischiati, paralizzati in un relativismo a oltranza, sterile. No, la soluzione è muoversi lungo un crinale, avere la consapevolezza che il bello è un concetto complesso, articolato, difficile ma reale, consistente. Si tratta di saper comprendere e distinguere: la stessa parola critica, del resto, non viene dal verbo greco scegliere? A una tale consapevolezza della pluralità insita nel bello, si perviene ripercorrendo i momenti fondamentali della sua storia. E' quel che fa Bodei. Bastano due tappe, sempre utili da riconsiderare. Una è la più antica e durevole, quella classica, greca, definibile per comodità come pitagorica: ha un fondamento matematico, e dunque è misura, è armonia, proporzione, simmetria. Si affida ai due sensi nobili, la vista e l'udito, che quasi distanziano la cosa, l'oggetto d'arte: la bellezza è oggettiva. Tutt'altra musica dal tardo Cinquecento in poi, dal Barocco, quando si rompe il cosmo, corre e fa ombra l'ala di Copernico, e l'uomo, come diceva Pascal, si sente confinato in una sentina, in uno sgabuzzino dell'universo, senza più superbie e consolazioni. La bellezza classica s'incrina, si fa sproporzione, disarmonia, sentimento d'inadeguatezza; obbedisce a un ordine non manifesto ma nascosto, da rivelare. Non è più oggettiva, ma soggettiva, dipendendo dal gusto, dalle papille individuali. E' adesso che sorge l'idea di un'educazione del gusto, del bello. Un processo che, attraverso varie fasi, giunge fino all'oggi. «Il convegno del Fai conclude Bodei - si fa per questo: per rilanciare il bello come patrimonio, come storia, per avvertire la strada, il respiro che ci ha preceduto e che ci forma, e da cui si può ripartire». Il discorso di Bodei non privilegia dunque nessuna estetica. E' uno sguardo che assume il passato nella sua interezza, un po come avveniva in pochissimi viaggiatori di ieri, per esempio Stendhal, che amò tutta l'Italia, senza preferire questa o quella categoria estetica, come invece faceva un Ruskin, che vedeva soltanto lo stile primitivo, medievale, o come facevano i romantici alla Byron o alla Chateaubriand, che identificavano il Bel Paese nella bellezza in rovina, cariata, moribonda. Oggi siamo tutti inevitabilmente ecumenici, postmoderni. Ma la conservazione della bellezza trascorsa non vuol dire ingessarsi, fare dell'Italia un unico museo, anche se questo sarebbe pur sempre un bel risultato. Significa invece abbracciare la progettualità, l'innovazione: è l'idea dell'estetologo Mario Perniola. Per lui il bello è energia, shock, scatto in avanti, e i Paesi che meglio conservano i segni del passato sono nello stesso tempo, non a caso, i più creativi, quelli che più dialogano e intervengono con l'arte contemporanea. Il bello insomma non si esaurisce nella tutela e nella conservazione, ma sprigiona futuro, azione. Il bello attuale e quello futuro sono però in molti a non chiamarlo più bello, e costoro dicono che il bello è finito, che non si può più fare per mille ragioni. Alcuni - ricorda Perniola - lo chiamano arte: ma arte priva d'aureola, fuori dai cieli idealistici o neoclassici, arte ricondotta al suo fondamento etimologico di tecnica. Ciò che non può mancare - per Bodei - è la consapevolezza, la conoscenza. Terreno controverso, arduo. E la tutela del patrimonio artistico, la politica della bellezza, rimane in primo piano. Al convegno del Fai ne parlerà una sorta di soave calvinista della conservazione, lo storico dell'arte Andrea Emiliani, appena andato in pensione da soprintendente di Bologna: lui non s'è mai mosso dalla linea fondamentale in questo campo, quella che inizia con la famosa lettera «Sulle antichità di Roma» che Raffaello e Baldesar Castiglione mandarono a Leone X. Il Papa gli diede retta, e varò le prime leggi di tutela per lo Stato pontificio, poi copiate dai Borboni, dagli Austriaci, dai Savoia, e su su «arrivano praticamente fino a oggi». Ma attenzione: per Emiliani il bello non è soltanto quello rinserrato nei musei, ma anche quello che respira con i luoghi che lo vedono nascere, con i muri, le stanze, le vie, il cielo, l'intero paesaggio. E' il paesaggio che racchiude la bellezza totale, secondo un'idea sorta nelle prigioni di Parigi nel 1796, dove languiva l'archeologo monarchico Honoré Quatremère. Ed è il paesaggio a subire colpi feroci, oggi più che mai. Le soprintendenze lottano, fanno quel che possono, annullano progetti edilizi nefasti: nel '96, su 130 mila, ne sono stati cancellati 2060, l'I,6%. L'anno scorso ancora di più. Cifre fornite da Giuseppe Proietti, dei Beni culturali, presente al convegno. L'obiettivo del Fai, il nostro National Trust, fiore all'occhiello della Gran Bretagna, è rinverdire in definitiva questo benedetto concetto di Bello, discutendolo, aggiornandolo, facendolo soprattutto scorrere laddove può dare i frutti migliori, a scuola. E' un tasto amaro. Il presidente del Fai, Giulia Maria Mozzoni Crespi, non manda giù l'assenza del ministro della Pubblica istruzione: «A Berlinguer interessa soltanto la politica, quel che ha imparato in gioventù - afferma polemica -. Ma alla fine faremo una mozione rivolta proprio a lui, lo staneremo. Gli chiederemo di rinnovare e ampliare l'insegnamento della storia dell'arte, da troppo tempo ridotta a povera cosa. E farò una denuncia pubblica su un attentato all'arte italiana». Che cosa riguardi questa denuncia, la Crespi non l'anticipa. Ma le sue parole, e questo convegno, mirano a smuovere le acque, a non fare affidamento soltanto sulla buona volontà di Veltroni e sulle sue leggi. Neanche le buone leggi bastano. Occorre che siano gli stessi italiani, dai comuni cittadini agli amministratori del più piccolo Comune e delle Regioni, a essere coinvolti e consapevoli. Il Bello, o come diavolo lo si voglia chiamare, ha deciso d'essere rispettato. Claudio Altarocca Remo Bodei: «Conservazione e conoscenza del passato non vuol dire fare del Paese un museo». Perniola', «l'educazione estetica significa energia, shock, scatto in avanti» Giulia Maria Crespi: «Così denuncerò l'attentato all'arte italiana, staneremo anche Berlinguer, che non verrà alla tavola rotonda: a lui interessa solo la politica» Piazza del Campo a Siena. Sotto, il critico d'arte Federico Zeri Sotto, il filosofo Remo Bodei Giulia Mozzoni Crespi

Luoghi citati: Bologna, Gran Bretagna, Italia, Parigi, Roma, Siena, Viterbo