«Il nostro fiuto e Bill Gates ci hanno portati dal killer»

«Il nostro fiuto e Bill Gates ci hanno portati dal killer» INTERVISTA «Il nostro fiuto e Bill Gates ci hanno portati dal killer» IL COMANDANTE GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Lui sa come sono andate le cose. E adesso se ne sta chiuso nella sua fortezza, che è un vero forte, pietroni squadrati, ponte levatoio, garitte ora disabitate, avamposto contro i vecchi e i nuovi nemici, sottopassaggi e sotterranei, ovvero l'attuale sede del comando provinciale dei carabinieri di Genova. Nel fondo di questo forte San Giuliano, affacciato sul mare, succedono le cose. Nucleo operativo, il cuore che pulsa. Il comandante si chiama Filippo Ricciarelli, 37 anni, entrato a 16 anni alla Nunziatella, poi Accademia di Modena, poi a Torino alla Cernaia, poi comandante di compagnia a Sampierdarena, poi a Genova da maggiore, nel cuore che pulsa. Con la faccia stanca, un paio di pantaloni che avrebbero bisogno di una stirata e una Lacoste arancione squillante. Allora, maggiore, come avete fatto a prendere Bilancia? «Ci siamo arrivati, ci sono arrivati tutti gli uomini che hanno lavorato pancia a terra su questa inchiesta, a partire dai marescialli, i comandanti di stazioni anche piccolissime, quelli che hanno fatto pedinamenti veramente estenuanti. Più i tecnici del Centro investigazioni scientifiche di Parma. Più Bill Gates». Bill Gates cosa c'entra? «C'entra con il programma Word '97, che abbiamo utilizzato per riuscire a capirci qualcosa in tutto il materiale che abbiamo raccolto. E, mi creda, alla fine non sapevamo più dove mettere tutte queste cose. Siamo arrivati ad avere 30 mila dati, e a quel punto ci siamo decisi a usare un supporto informatico, un data base relazionabile senza il quale non potevamo forse andare avanti». Un'indagine solo tecnologica, di ricerche di Dna e incroci di banche dati? «No, perché io credo che su una storia di questo genere ci sia bisogno anche di fiuto. Noi l'abbiamo avuto». Ci spieghi che cosa è il fiuto. «E' stato che a forza di camminare, di girare per la città, di parlare con le persone, ti capita di cogliere improvvisamente una relazione tra un certo fatto e, ad esempio, una certa persona. Arrivi in una piazza e dici: "Ma guarda, la casa è qui... vicino a...", e capisci un fatto. Vo gho dire che senza cuore, senza passione, a certi livelli di impegno, su un'indagine come questa, non ci arrivi proprio. Una delle sere passate, con Bilancia ancora libero, mi è capitato di seguire un frammento di programma televisivo in cui si intervistavano a proposito di questo caso alcuni esperti dell'Fbi. Ho spento subito, e ho pensato: ma qui non ci sarà nessun Fbi che lo prende, queste non sono cose da XFiles. Infatti ci siamo arrivati soprattutto con un lavoio sul territorio che è stato immenso, pesante, e anche angoscioso». Quando è stato il momento della massima tensione? «E' stato il giorno in cui, via via che le ore passavano, qui al comando ricevevamo una telefonata dopo l'altra - dal Cis, dalla stazione minuscola che pure ha messo a disposizione tutti gli uomini, dai colleghi che stavano lavorando sulle banche dati - e tutte queste risposte erano "positivo". "Positivo", "Positivo", e alla fine abbiamo capito che c'eravamo. Tutto filava, tutto quadrava sul nome di Bilancia. E allora c'era l'esigenza di intervenire subito, e bene. Sono andato in procura, dal sostituto procuratore Zucca, un magistrato che ha dato la massima fiducia al no- stro lavoro. Gli ho detto tutto. E la cosa è passata al gip». E poi? «Il gip ha detto che ci dava la misura cautelare. Cioè era fatta, potevamo andare a prenderlo. Ammetto che non abbiamo aspettato il timbro "per copia conforme". Ho chiamato subito i miei e ho detto "Portatelo in caserma"». E loro sono partiti. «Esatto. Un tenente e quattro uomini, perché avevamo bisogno di un gruppo di copertura. Sapevamo dove si trovava, cioè in ospedale, e avevamo paura che fosse armato. In una delle tante riprese che abbiamo fatto avevamo notato un rigonfiamento sotto la maglietta. Temevamo una reazione improvvisa, in mezzo alla gente di un pronto soccorso. Avevamo paura di una strage, perché noi prima di sparare ci pensiamo 500 volte, lui no, ed è uno che sa sparare bene... E se ammazzava quattro persone, per poi magari suicidarsi? Di chi sarebbe stata la colpa? Nostra. Quindi abbiamo fatto un lavoro tranquillo: lui non se ne è neanche accorto. L'hanno preso e lui non ha capito niente, in un attimo era già chiuso in macchina, e solo in macchina gli hanno detto di essere carabinieri. In cinque minuti era qui». E che ha fatto? «Niente. Non ha detto una parola, si è letto l'ordinanza di custodia». E voi? Lei, maggiore? «Un silenzio e un brusco calo di pressione collettivo, nel senso che ci siamo guardati in faccia ed eravamo abbastanza afflosciati, come sempre dopo le grandi tensioni. Una sensazione di grandissima liberazione, ecco, così ho sentito». [bru. gio.] fili Avevamo raccolto trentamila dati una delle chiavi ce l'ha data un supporto informatico Girando per la città siamo riusciti a cogliere le relazioni fra un certo fatto e la persona l| J| Il momento di massima tensione è stato quando tutte le risposte alle indagini erano positive L'abbiamo preso in ospedale ma avevamo paura di una strage è uno che sa sparare bene p SJj Filippo Ricciarelli, maggiore dei carabinieri Maria Angela Rubino

Persone citate: Bilancia, Bill Gates, Filippo Ricciarelli, Maria Angela, Zucca

Luoghi citati: Cis, Genova, Modena, Parma, Torino