Crollano le Borse d'Asia di Ugo Bertone
Crollano le Borse d'Asia Crollano le Borse d'Asia In picchiata la rupia e i titoli delle holding di casa Suharto MILANO. L'onda della crisi rischia di nuovo di travolgere le Borse asiatiche. Ieri, mentre la City di Giakarta veniva investita dalle manifestazioni studentesche e dalla violenta reazione delle forze dell'ordine, sul listino indonesiano si abbattevano gli ordini di vendita in arrivo dai dealers di Hong Kong, su mandato, si diceva, delle grandi case di investimento americane: tra i titoli più venduti, quelli che fanno capo alle varie holding possedute dalla famiglia di Suharto, la cui sorte sembra segnata, secondo i mercati. Al termine di una giornata terribile, il listino era arretrato del 6,61%, mentre la rupia mdonesiana è precipitata ai Livelli minimi: ce ne vogliono 10.600 per un dollaro, ovvero il 450% in più del luglio '97, prima dello scoppio della tempesta. All'origine delle vendite la crisi politica ma anche la convinzione che la terapia del Fondo Monetario non darà frutti, almeno nei prossimi mesi: l'Iif di Washington (Institute of International Finance, controllate dalle principali banche d'affari americane) calcola che nel '98 il Pil indonesiano possa calare di un disastroso 12,5%. L'agonia di Giakarta ha provocato pesanti vendite in tutta l'area del Far East. La più colpita è stata la vicina Singapore (4,86%), seguita da Hong Kong (3,78) alle prese con inediti problemi di disoccupazione, dalla Malaysia (-3,66) e dalla Cina (3,30) da cui arrivano nuovi segnali di rallentamento dell'attività economica che hanno ridato fiato alla possibilità di una svalutazione della moneta. Fanno eccezione la Corea del Sud, dove, al contrario, appare qualche se¬ gnale confortante almeno nel mondo finanziario, e la Borsa di Tokyo, in pratica invariata. Ma i dati economici Ln arrivo dal Giappone fanno intendere che il rilancio dell'economia è ancora di là da venire. A marzo le esportazioni hanno segnato il passo, nonostante lo yen debole, ma l'import è addirittura crollato del 10,9%. Per ora, quindi, il rilancio dei consumi è lontano (anche se il governo scommette che da luglio la domanda ripartirà) e il colosso giapponese resta inchiodato nelle sue difficoltà, incapace di soccorrere con i suoi crediti l'Asia alle prese con l'austerità dettata dal Fondo. A questo punto la questione del Far East è destinata a balzare in testa all'agenda dei lavori del G8 di Birmingham del prossimo weekend, che dovrà affrontare il tema della stabilizzazione dei mercati finanziari, per evitare che l'incendio si propaghi a Wall Street e all'Europa, dove, per la verità, la seconda ondata della crisi asiatica non sta provocando alcuna emozione: i capitali in fuga da Giacarta, Singapore oi Bangkok, anzi, stanno contribuendo a far lievitare i listini dei Paesi occidentali. A completare la giornata nera, infine, la secca discesa della Borsa di Bombay (-4,11%), una delle piazze finanziarie mondiali più in evidenza nel '97. In questo caso la crisi del Far East, però, non c'entra. A provocare la caduta per il secondo giorno consecutivo è stata la prospettiva delle sanzioni economiche imposte da Clinton dopo gli esperimenti nucleari indiani, misure destinate a pesare sull'export. Ugo Bertone
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