Netanyahu; ritiro a rate di Franco Pantarelli

Netanyahu; ritiro a rate Il primo ministro oggi a Washington insiste sul no al tredici per cento Netanyahu; ritiro a rate «Maggiori garanzie da Arafat» NEW YORK DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Benjamin Netanyahu arriva oggi a Washington e nessuno sa con certezza che cosa porta: forse l'idea di cedere ai palestinesi il 10 per cento del territorio che ancora Israele occupa; o forse il 9 per cento, come ancora ieri la destra della sua coalizione di governo, capitanata dal «falco» Ariel Sharon, gli intimava; o forse addirittura la voglia di scatenare contro T amministrazione Clinton i numerosi amici su cui può contare nella capitale americana. L'unica cosa di cui ieri gli uomini del Dipartimento si dicevano sicuri è che il primo ministro israeliano è preparato a un netto «no» alla cessione del 13 per cento del territorio, che è la porzione prevista dagli accordi di Oslo, che è stata già accettata da Yasser Arafat e sulla quale hanno insistito gli americani nelle ultime due settimane. Anzi, Washington aveva dato a Netanyahu una specie di scadenza (l'il maggio, cioè l'altro ieri) per decidere su quel 13 per cento. Ma quando lui ha ignorato quella data l'amministrazione ha negato di averla mai fissata ed ha incitato Netanyahu a Washington, a discutere con Madeleine Albright. In che termini? Anche su questo ieri c'era una certa incertezza. In mattinata, mentre si aspettava che la Albright si incontrasse al «Press Club» di Washington con gli esponenti della lobby israeliana, c'erano voci secondo cui la signora avrebbe approfittato di quell'incontro per «sparare» su Netanyahu, rivelando pubblicamente tutte le sue contraddizioni nel corso di queste ultime settimane. Poi però gli stessi uomini del Dipar¬ gtimento di Stato avevano detto che la signora non avrebbe puntato «nessun dito accusatore». E infatti così è stato. Dall'incontro con lei, i dirigenti delle sette maggiori organizzazioni di ebrei americani sono usciti «rassicurati», ha detto il loro presidente, Mei Salberg, e con l'impressione che la Albright sia «molto speranzosa di concludere positivamente» l'incontro con Netanyahu. Su quali basi il segretario di Stato basasse le sue speranze, e in che modo li avesse rassicurati, gli esponenti ebrei americani non lo hanno detto, ma nei giorni scorsi, quando la tensione fra Washington e Tel Aviv si percepiva molto nettamente (aumentata oltretutto dalle parole di Hillary in favore della creazione di uno Stato palestinese), le loro organizzazioni avevano rivolto vari appelli all' amministrazione affinché chiarisse la propria posizione. E l'osservazione principale era stata che «il fissaggio di specifiche percentuali di territorio ha creato l'impressione di un abbandono di posizioni preventivamente enunciate ed ha complicato il negoziato». La conclusione, quindi, parrebbe che la signora Albright è a questo punto pronta a recedere da quel numero magico, il 13 per cento, e in questo pare che lo stesso Netanyahu, secondo quanto dicono i giornali israeliani, avrebbe in valigia il modo per salvare la faccia. La sua proposta, a quanto pare, è che il territorio riconsegnato ai palestinesi non superi il 10 per cento di quello occupato (salvo poi vedersela con Sharon al ritorno a Tel Aviv), mentre il restante 3 per cento verrà ceduto solo dopo che non meglio specificate garanzie di sicurezza saranno sta- te fornite. Questa era comunque l'idea che circolava ieri pomeriggio, quando all'incontro con Netanyahu mancavano ancora 18 ore. Un tempo più che sufficiente, come questa tormentata storia insegna, a sconvolgere tutto. Franco Pantarelli E la Albright ha rassicurato gli ebrei americani: non daremo alcun ultimatum ad Israele Il premier israeliano Netanyhau oggi impegnato in un delicato vertice con la Albright