«Blindare Ia concertazione»

«Blindare Ia concertazione» INTERVISTA IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA «Blindare Ia concertazione» Fossa: non rinuncerò a criticare Prodi ROMA UE anni sulla poltrona di presidente della Confindustria. E due ancora da passare. Giorgio Fossa è a metà del cammino in testa all'associazione degli industriali. Sta lavorando alla relazione che svolgerà giovedì 21 all'assemblea e nella sua mente la speranza di poter lavorare per lo sviluppo si intreccia con il ricordo dei momenti inquieti vissuti. Per una singolare combinazione, il destino di Fossa, eletto il 23 maggio 1996, è parallelo a quello di Romano Prodi, il presidente del Consiglio in carica da sei giorni prima. I rapporti con lui sono stati un'altalena di scontri e accordi. Spiega il presidente della Confindustria: «Tutti sono pronti a salire sul carro del vincitore, ma la Confindustria non è né salita sul carro né scesa perché non abbiamo remore a dire quando siamo d'accordo con il governo e quando non lo siamo. Del resto il mio dovere è pungolare Prodi, per l'interesse dello sviluppo delle imprese che sempre più coincide con quello del Paese». Quindi, con questa intervista alla vigilia dell'assemblea, Fossa si riserva di dare battaglia se occorre e di applaudire quando è il caso. Presidente, se pensa ai due anni passati, può dire che li immaginava come sono stati? «No». Perché? «Quando mi sono insediato avevo chiaro che la situazione economica nazionale, ma anche quella internazionale, era difficile. Tuttavia speravo che si uscisse prima dalla crisi e non dalla seconda metà del 1997». Comunque c'è la ripresa. «Le imprese italiane hanno migliorato le posizioni ma hanno dovuto limare molto i margini e nella media europea hanno risultati e dividendi più bassi». Come ha pesato la congiuntura sulla Confindustria? «Siamo stati costretti a lavorare di più sulla quotidianità. Per centrare l'obiettivo, che noi abbiamo sostenuto con determinazione, di partecipare sin dall'inizio all'Euro abbiamo subito manovre correttive che hanno gravato indubbiamente troppo sulle imprese». E come spiega gli alti e bassi nei rapporti con Prodi? «In una situazione di bipolarismo, o di primi passi del bipolarismo, il ruolo delle parti sociali è cambiato. E può rischiare di essere interpretato come un ruolo di opposizione, mentre invece è corretto parlare di funzione critica. Prendiamo l'Euro: se non ne avessimo valutato in modo severo alcune azioni a nostro avviso sbagliate o troppo poco coraggiose, il governo forse non avrebbe centrato l'obiettivo. Così come non potevamo non protestare duro quando l'aggiustamento dei conti pubblici è stato realizzato sulle spalle delle imprese con il prelievo sul trattamento di fine rapporto anziché con tagli strutturali di spesa». Ricorda che nel dicembre 1996 ipotizzò che Prodi sarebbe stato spazzato via? «Dissi che il governo sarebbe stato spazzato via se non avesse mantenuto gli impegni. Se fossimo nella stessa situazione ripeterei l'affermazione. La feci dopo che nel settembre 1996 firmammo il patto per il lavoro da cui scaturì il "pacchetto Treu": il governo non lo sostenne in Parlamento. La concertazione, il confronto tra governo, sindacati e Confindustria, non vuol dire che bisogna essere sempre d'accordo, ma quanto concordato va rispettato». Ma, francamente, è dispiaciuto che il governo non sia stato spazzato via? «Non tocca a me, ma al Paese, valutarlo. Devo però dare atto che è stato raggiunto l'obiettivo dell'Euro. Ora bisogna pensare allo sviluppo per il quale si poteva lavorare insieme al risanamento dei conti pubblici. Si è fatto un discreto risanamento, troppo poco per lo sviluppo». Lo sa che Prodi è convinto che lo sviluppo sia la conseguenza del risanamento? «Questo è ovvio. Ma in realtà era possibile scommettere sullo sviluppo contemporaneamente al risanamento. Non è necessario prevedere due fasi diverse. Se ci fosse stato maggiore coraggio e fossero state adottate alcune scelte impopolari tagliando di più la spesa, potevamo ridurre di più il deficit pubblico e costituire una riserva per alimentare lo sviluppo». Riserva vuol dire avere soldi per aiutare le imprese? «Nessun aiuto, solo un aiuto indiretto. Per esempio, se si realizzano le infrastrutture necessarie, le ùn¬ prese, certo, hanno un grosso beneficio ma è il Paese tutto a guadagnarci». Dopo due anni di altalena nei rapporti con Prodi cosa promette per i prossimi due? «Le promesse le fa il governo. Noi faremo il possibile per restare competitivi anche se continuiamo a dovere fronteggiare carenze della pubblica amministrazione o delle infrastrutture, cioè difficoltà esterne ai cancelli delle fabbriche. Ci regoleremo nei prossimi due anni come nei due passati». Ovvero? «Nessuna posizione pregiudiziale, continueremo a valutare il governo e la classe politica caso per caso, provvedimento per provvedimen¬ to. Naturalmente ci aspettiamo che non ci siano neanche atteggiamenti o scelte pregiudiziali nei nostri confronti, come il disegno di legge per la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore». Quindi dialogo possibile? «Non è che non ci sia stato dialogo. Fra l'altro apprezzo molto un ministro come Bersani che è il nostro punto di riferimento. O come Bassanini con il quale collaboriamo. E' normale che su singoli casi ci siano momenti di contrasto con il mondo politico ma questo è la prova che la Confindustria è apartitica e autonoma». Il dialogo riparte dai problemi legati allo sviluppo? «Il Paese ha bisogno di crescere, bisogna concentrarsi sulle aree deboli, quindi soprattutto sul Sud. Per primi abbiamo sollecitato l'attenzione su quattro tematiche, oggi ampiamente condivise: rioccupazione del territorio da parte dello Stato, infrastrutture, pressione fiscale, costo del lavoro». Cosa fare subito? «Aumentare e poi estendere a tutte le aree deboli i patti territoriali e i contratti d'area sui quali punta il presidente del Consiglio e che sono strumenti per dare flessibilità al mondo del lavoro e attirare investimenti. Con i contratti d'area si fa inoltre qualcosa che dovrebbe essere da Paese normale: si accelerano le procedure». Ma, come prova la tragedia di Sarno, nel Mezzogiorno ci sono anche aspetti anormali. «E' facile alimentare le polemiche nel momento del dramma. Dramma che purtroppo poteva essere prevenuto. In uno dei nostri documenti accolti dal ministro dei Lavori pubblici Costa segnalavamo l'urgenza di intervenùe per il rischio idrogeologico proprio nelle aree della Campania travolte dal fango. E ora purtroppo non ci resta che attivarci con tutte le nostre associazioni e con i sindacati per offrire un contributo alle zone colpite». Per il Mezzogiorno c'è dialogo con i sindacati? «Sì, anche se i sindacati sono per la limitazione dei contratti d'area e noi per la generalizzazione. L'importante è proseguire con la concertazione». Vuol dire che dopo le minacce di rottura si sta rivedendo la concertazione alla base dell'accordo per la politica dei redditi del 1993? «Nessuna minaccia. La concertazione è stata violata dal governo varando d'autorità il disegno di legge sulle 35 ore. Poi con Prodi ci siamo accordati per sottoporgli nuove regole della concertazione definite con i sindacati avendo verificato che un metodo così importante per il Paese ha bisogno di paletti». Per esempio? «La concertazione può essere limitata a un numero di temi, però ci deve essere chiarezza fra le parti. Meno rispettosi sono stati iìnora i governi succedutisi. Ecco perché bisogna blindare la concertazione». Cioè? «Il governo deve impegnarsi a nome della maggioranza che l'appoggia (consultandola nelle forme ritenute idonee) a sostenere fino in fondo in Parlamento il frutto della concertazione, gli accordi con sindacati e imprenditori. Non può accadere, come per il patto sul lavoro, un completo stravolgimento o la mancata attuazione». E le altre regole? «Le stiamo discutendo con i sindacati e mi sembra in un clima costruttivo. Dopo il confronto con le altre organizzazioni imprenditoria li, come la Confcommercio e la Confartigianato, con i sindacati speriamo di presentare presto a Prodi i risultati del nostro lavoro. E contiamo che il governo li condivida: è la terza gamba, fondamentale, del tavolo. Possiamo valorizzare un patrimonio che ci viene invidiato». In che modo? «Sul piano politico la concertazione con le nuove regole è una delle poche cose che possiamo esportare in Europa. Può essere un contributo che possiamo dare ai partner quando ci siederemo intorno al tavolo per costruire la nuova Europa e ridare competitività al vecchio Continente». Roberto Ippolito Pur di riuscire a centrare fin dall'inizio l'obiettivo dell'ingresso nella moneta comune abbiamo sopportato manovre correttive che indubbiamente hanno gravato in maniera pesante sulle spalle delleimprese■■ Per crescere il Paese deve concentrarsi sulle aree deboli quindi in particolare sul Mezzogiorno E per farlo bisogna estendere fin da ora ipatti territoriali e i contratti d'area che contribuiscono ad attirare gli investimenti ejéj Con i sindacati stiamo discutendo le nuove regole in un clima che potrei definire costruttivo E' un patrimonio che i nostri partner ci invidiano e che può essere esportato anche nel resto dell'Europa^^ «Adesso il governo deve impegnarsi a sostenere gli accordi raggiunti» Qui sopra il presidente del Consiglio Prodi a sinistra il presidente della Confindustria Giorgio Fossa A sinistra il ministro delle Finanze Vincenzo Visco

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