Caso Gelli, aria di crisi sulla Quercia

Caso Gelli, aria di crisi sulla Quercia Doppio dibattito parlamentare, gli esponenti del partito prendono le distanze dai ministri Caso Gelli, aria di crisi sulla Quercia Salvi attacca Flick e Napolitano, D'Menta media ROMA. Cesare Salvi, capogruppo ds, prendendo spunto dal «caso Geni» attacca con inusitata durezza il ministro dell'Interno Giorgio Napolitano, del suo stesso partito, scatenando un putiferio tale (con ventilata minaccia di dimissioni del titolare del Viminale) che alla fine il segretario di entrambi, Massimo D'Alema, è costretto a metterci in qualche modo una toppa. Ma quali sono le origini di questo pasticciaccio diessino che ha una coda musicale in serata, a Ferrara, quando si ritrovano tutti e tre al teatro comunale dove ci sono i Berliner diretti da Abbado? Per scoprirlo occorre fare alcuni passi indietro nel tempo. La parola d'ordine dalemiana da qualche settimana in qua è sempre la stessa: smarcarsi dall'esecutivo, non difenderlo quando sbaglia, trattare quello presieduto da Prodi come un «governo amico», e costringere quei ministri diessini ormai più vicini alle istituzioni che al partito a prendere posizione con Botteghe Oscure. Ormai la frase ricorrente, nelle riunioni con segretario, è questa: «Stiamo al governo, ma contavamo di più quando il pei era all'opposizione». Ieri, perciò, con il Guardasigilli Flick e Napolitano, nel corso del doppio dibattito parlamentare su Gelli (ce n'è stato uno al Senato e un altro alla Camera) il copione dalemiano doveva ripetersi come al solito. L'input era chiaro: criticare i due, naturalmente per la sparizione del Venerabile, in realtà anche perché l'uno rappresenta Prodi, e l'altro, ogni volta che si apre un contenzioso con l'esecutivo, dichiara di essere «super partes». Ma è accaduto che Salvi è andato oltre. A Palazzo Madama Napolitano spiegava così la vicenda Gelli: «Da parte della pubblica sicurezza - diceva - non c'è stata nessuna colpevole omissione. Non avevano titolo per attuare misure di sorveglianza. Se il Parlamento ritenesse che colpe ce ne siano state, se ne dovrebbero trarre le conseguenze in sede di Governo, innanzitutto da parte mia». E il presidente dei senatori diessini, dopo aver ascoltato sia questo intervento che quello di Flick (che assicurava la volontà dell'esecutivo di «accertare tutte le responsabilità») si è detto «totalmente insoddisfatto» delle risposte del governo, accusando i due di non aver individuato i colpevoli, di aver minimizzato la vicenda, e di non aver svolto opera di prevenzione. Il che, viste le premesse di Napolitano, equivaleva quasi a un benservito al ministro. Dato che al dibattito era presente pure Prodi, perché non coinvolgere anche lui? Rivolgendosi al presidente del Consiglio, Salvi ha voluto sottolineare che «in Europa si entra anche facendo funzionare la politica e lo Stato secondo il principio di responsabilità». Apriti cielo. Il Polo inzuppava subito il pane invitando i due mi¬ nistri alle dimissioni. E Napolitano diventava furente. Già. Sono settimane e settimane che il titolare del Viminale litiga con il suo partito sull'organizzazione dei servizi segreti e dell'Arma dei carabinieri. Sono mesi che il rapporto tra lui e D'Alema è pessimo, cioè da quando, nel corso della crisi di governo, il ministro dell'Interno si è schierato con Scalfaro contro le elezioni anticipate che invece Botteghe Oscure chiedeva a gran voce. Morale della favola, Napolitano faceva sapere al segretario che così non andava. Secondo «boatos» di Palazzo Madama il ministro dell'Interno, in un burrascoso colloquio telefonico, aveva minacciato le proprie dimissioni. Vero o falso? Poco importa, quel che conta in questa storia è che D'Alema era costretto a diffondere un comunicato per esprimere «piena fiducia» a Napolitano e a Flick. Non solo, alla Camera, al responsabile Giustizia Pietro Folena, dopo l'exploit del collega senatore, non restava altro da fare che condire le sue critiche («fatti del genere non devono più ripetersi») con attestati di stima al Guardasigilli e al ministro dell'Interno. E il presidente del gruppo ds a Palazzo Madama? Avvisato da Botteghe Oscure dell'arrivo di quella nota di D'Alema, metteva in moto i suoi uomini. Lo scopo? Ottenere che una sua successiva precisazione («Non ho sfiduciato i ministri») uscisse sulle agenzie di stampa prima del comunicato del segretario, onde evitare di fare la figura del Salvi sconfessato. Qualcuno teorizzava un gioco delle parti tra il capogruppo e il segretario. Ma il «cui prodest» non si vede, giacché il leader della Quercia è stato anzi costretto, con quella dichiarazione, a rafforzare Napolitano e Flick. Ed è questa la ragione che faceva dire a Prodi: «Non c'è nessun problema nella maggioranza». La stessa che induceva il rifondatore Franco Giordano a ironizzare così: «D'Alema ha provato a imitarci e a fare la politica delle "mani libere", ma alla fine si è incartato». Maria Teresa Meli Prodi tranquillizza «Nessun problema per la maggioranza» Folena: fatti di questo genere non dovranno più ripetersi

Luoghi citati: Europa, Ferrara, Roma