Il summit dei poveri «Aumentiamo il petrolio» di Ibrahim Refat

Il summit dei poveri «Aumentiamo il petrolio» IIG15 non vuole pagare i costi della globalizzazione economica Il summit dei poveri «Aumentiamo il petrolio» IL CAIRO NOSTRO SERVIZIO Dei summit del G-15, il gruppo dei quindici Paesi in via di sviluppo che rappresentano un terzo dell'umanità, certamente quello aperto ieri al Cairo passerà alla storia come il più tormentato nella sua breve e movimentata storia. Nato nel 1989 - periodo di travolgente ottimismo per gli esiti della liberalizzazione sull'economia del Terzo Mondo - dalla costola del movimento dei Paesi Non Allineati che allora raggruppavano 77 nazioni, il club dei Paesi in via di sviluppo ora dovrà fare i conti con una crisi economica senza precedenti che ha investito tutto il Sud-Est asiatico e rischia di travolgere il resto dell'Asia. «Il che potrebbe determinare un esito disastroso per tutti i Paesi del Terzo Mondo», ha ammonito ieri nel suo intervento il presidente indonesiano Suharto. A tormentare ulteriormente i leader dei quindici Paesi venuti dall'Asia, Africa e America del Sud c'è la questione del ribasso del prezzo del petrolio che li ha indotti a operare tagli drastici ai bilanci. Non a caso ieri il presidente algerino Liamin Zeroual, parlando a nome dell'A¬ frica, ha chiesto l'aumento dei prezzi delle materie prime - petrolio incluso - come contropartita per i sacrifici sopportati dal Terzo Mondo. In altre parole, si chiede ai G-7, cioè ai Paesi industrializzati di assumersi la loro responsabilità e che a pagare i costi della globalizzazione e della liberalizzazione economica non siano soltanto i poveri. Il presidente Mubarak è stato il primo a sottolineare la necessità di ascoltare la voce dei Paesi in via di sviluppo al momento del varo di una economia su scala planetaria. Il Rais ha quindi chiesto che «il processo di liberalizzazione dei mercati deve avvenire in modo graduale e compatibile con i bisogni di ciascun Paese». E che vengano posti dei limiti alla fuga dei capitali stranieri. Porre freno alla globalizzazione selvaggia della economia del Terzo Mondo, crescere il ruolo dei Paesi in via di sviluppo nei processi relativi allo sviluppo della loro economia sono due richieste condivise da quasi tutti i leader che partecipano a questa riunione: dal presidente egiziano a quello peruviano Fuyimori. Quest'ultimo è stato il più duro nei confronti della «gesta» del capitale straniero nel Terzo Mondo con esiti devastanti per le economie deboli. «La globalizzazione - ha detto Fuyimori che parlava a nome dell'America del Sud - non può esserci imposta e tantomeno noi non dobbiamo assistervi passivamente, deve essere invece un processo sentito al fine di accelerare la nostra crescita economica». Più o meno gridavano le stesse cose i manifestanti radunati a Bangkok per protestare contro la politica del Fondo monetario internazionale nel loro Paese. A Giakarta, mentre il presidente Suharto era impegnato a leggere al Cairo il suo discorso nel quale annunciava nuovi sacrifici per disancorare l'Indonesia dalle sacche della recessione, gli oppositori chiedevano le sue dimissioni. Difficilmente sarà accolta in patria la richiesta del settantaseienne patriarca che chiedeva di nuovo lacrime e sangue al suo popolo «pei1 ritornare ad un ritmo di crescita al 4 per cento impedendo così di vanificare vent'anni di sacrifici». In realtà senza le riforme nemmeno i Paesi industrializzati saranno disposti a cogliere le richieste di Suharto per il salvataggio della lira indonesiana. Ibrahim Refat Il presidente indonesiano Suharto è stato tra i protagonisti del GI5 al Cairo La crisi che ha investito i Paesi asiatici è stata uno dei temi caldi del vertice

Persone citate: Mubarak, Suharto, Zeroual