LE ARMI DELL'APOCALISSE di Aldo Rizzo

LE ARMI DELL'APOCALISSE DALLA PHÌMA PAGINA LE ARMI DELL'APOCALISSE sperimentato con successo il lancio di un missile ad ampia gittata, una coincidenza certo non casuale. Il Paese è l'India, quella che viene definita la più grande o la più popolosa democrazia sulla Terra, e anche la nazione-chiave, con la Cina e il Giappone, di un'Asia indicata dai futurologi come il continente cruciale del XXI secolo. Un Paese immenso (quasi un miliardo di uomini) e ancora povero, alle prese con problemi di sviluppo e di sottosviluppo, che tuttavia cerca una scorciatoia verso la potenza e l'affermazione nazionale, e crede di averla trovata nell'arma atomica. Con ciò stesso l'India rilancia il tema nucleare (delle armi dell'Apocalisse) in un mondo che credeva o s'illudeva di averlo superato, con la fine della Guerra fredda. Sono passati vari governi, si sono succeduti vari leader, alcuni purtroppo in modi tragici, ma l'illusione o l'ossessione atomica non è mutata in India. Nello stesso deserto del Rajasthan dove sono stati compiuti i tre esperimenti annunciati dal premier Vajpayee, esplose la prima bomba indiana, il 16 maggio 1974. Il primo ministro, allora, era Indirà Gandhi, che ne diede l'annuncio quasi casualmente, due giorni dopo, all'aeroporto di New Delhi dove aspettava il presidente del Senegal, Leopold Senghor. Disse una frase che fece subito il giro del mondo per il suo candore, o per il suo cinismo: abbiamo fatto esplodere «a peaceful nuclear device», un ordigno nucleare pacifico. Da allora l'India non fece più esperimenti, ma si è sempre saputo della sua acquisita capacità atomica, anche in senso militare. Ora un lontano successore di Indirà, il nazionalista indù Behari Vajpayee (che ha vinto di poco le ultime elezioni, contro il Partito del Congresso che fu del Mahatma, di Nehru, di Indirà, e adesso di Sonia Gandhi), non ha più tante remore di linguaggio, dice apertamente che «eserciteremo 1 * tutte le opzioni, inclusa quella nucleare, per garantire la nostra sicurezza e sovranità». E non è neppure una novità, semmai una conferma di quanto il premier aveva detto subito dopo le elezioni di marzo. I demoni dell'India, i suoi nemici reali o potenziali, sono la Cina e il Pakistan. La Cina per ragioni di geopolitica continentale, segnate da una guerra per il Tibet, il Pakistan per ragioni di controllo del «subcontinente», di quello che era ii cuore dell'impero britannico e che nel 1947, contro la volontà del Mahatma Gandhi e dello stesso viceré Mountbatten, fu diviso tra indù e musulmani, tra India e Pakistan. Quest'ultimo è il vero demone indiano, una rivalità che non accenna a placarsi nonostante colloqui e mediazioni, per importante che sia la vertenza sul Kashmir, quelle grandi montagne e vallate contese da entrambi i Paesi. Le conclusioni sono due. La prima è che i cosiddetti conflitti regionali non sono finiti col crollo dell'Urss e dei suoi giochi di potenza (dei quali l'India era una grande pedina, in funzione anticinese e antiamericana). Nel deserto politico del postcomunismo c'è spazio per tutte le follie. E la Bosnia sarebbe ricordata come un conflitto leggero, rispetto a quello che potrebbe essere uno scontro nucleare indo-pakistano (già, perché il Pakistan, fin dall'«esplosione pacifica» indiana del 1974, non è rimasto a guardare, e non parliamo della Cina, che i suoi esperimenti li ha fatti fin quando ha voluto). La seconda conclusione, più ampia, è che il mondo nucleare è tutt'altro che spento. Anche tra quelli che furono i protagonisti massimi della Guerra fredda, a giudicare dalle migliaia di testate ancora a disposizione di America e Russia. E se poi s'innescano le sfide regionali... Aldo Rizzo

Persone citate: Gandhi, Leopold Senghor, Mahatma Gandhi, Mountbatten, Nehru, Sonia Gandhi