Bernini, la furia di marmo
Bernini, la furia di marmo Bernini, la furia di marmo Il giovane che sfidò Michelangelo PROMA ROVIAMO ad immaginare una storia dell'arte che ci racconti come il gotico I sia nato in casa di Simone Martini o il romanticismo nell'atelier di Delacroix: che sorrisi di compatimento, di ironia. Invece questo, paradossalmente, si può tentare per il barocco romano: individuando nella Villa Borghese, nata appositamente come casino di capolavori invece che di caccia, vero proto-museo, la culla miracolosa dove il Lanfranco (venuto dagli incanti pastosi della parmigianità correggesca) e l'enfant prodige Gian Lorenzo Bernini (sgusciato già magister dall'austera bottega paterna) tennero a battesimo negli Anni Venti del Seicento un nuovo, ibrido movimento, che si conviene chiamare barocco. L'idea di questa atipica e preziosissima mostra che si aprirà venerdì, curata da Anna Coliva e da Sebastian Schutze della Biblioteca Herziana è proprio quella che i capolavori del Cavalier Bernini, dispersi e passibili di spostamento (dal Metropolitan alla Von Thyssen, da Berlino al Louvre) tornino come Maometto alla benedetta collina di questo scrigno formidabile di tesori, sotto gli occhi fiammeggianti dell'Olimpo affrescato da Lanfranco. Ove degli Dei disinibiti, in una celeste scampagnata ammiccante, paiono spogliarsi delle paludose palandrane imposte loro dal burbero inverno della Controriforma. Dunque la mostra è anche un omaggio alla figura straordinaria di Scipione Borghese, Cardinal Nepote che regnando Paolo V, si permette di deporre ogni ambizione di potere per dar libero sfogo, fin quasi morboso, alla sua smania collezionistica. «Poco bene o poco male si può temere da lui»: un inutile, lo considerano i diplomatici, anche perché lui ha tempo soltanto per perseguitare d'amore gli artisti. Incarcera sfrontatamente il Cavalier d'Arpino per potergli carpire le tele del suo allievo Caravaggio. Minaccia come un pretore d'assalto il timido Domenichino perché non consegni la sua Diana al rivale Aldobrandini. Scatena a Perugia una guerriglia sottraendo nottetempo la Deposizione Baglio ni di Raffaello e terrorizza a tal punto l'amato Guido Reni, deciso a fuggire a Venezia, determinando così la sua vita e il corso della storia dell'arte. Col Cavaliere si mostra più comprensivo: ma nelle stanze del casino par di udire i suoi passi spietati che esigono dal già frenetico Gian Lorenzo un nuovo capolavoro: «Più marmo, più marmo!». Lo conosce da ragazzino, la mitologia vuole che a tredici anni sbozzasse già meraviglie e il Papa-zio gli profetizzasse: «Sarai il nuovo Michelangelo». E lui ne è tanto convinto, che la mamma deve scrivere al Papa perché interceda: che non sia così arrogante! Lo ha preso in parola: non soltanto rifa il David, dopo Donatello e Verrocchio per sfidare quel dinosauro di Michelangelo, ma gli presta le proprie fattezze, ne fa un autoritratto di pietra, di furia: e la leggenda vuole che a reggergli lo specchio ci fosse in ginocchio (come Carlo V con Tiziano) Maffeo Barberini, che sarebbe poi divenuto Papa a sua volta. Tutt'e due coalizzati contro il reggente papa Gregorio che non li ama abbastanza e loro lo atterrano, come un patetico, simbolico Golia. (Bernini «passa» nel marmo le sue sfuriate. Contro il Papa ostile progetta La Verità: verrà il Tempo e si vedrà chi ha ragione. Ma il Papa muore, l'ira sfuma e la scultura, eccola, rimane incompiuta). Golia nel suo David non compare: eppure è il vero fulcro drammatico, assente della scultura, implicato rivoluzionariamente fuori dell'opera, conglobando un'energia del vuoto che esplode nello spazio (D'Ors diceva che il principio «del classico era lo sguardo. L'eone del barocco è una matrice». Un bing bang di plasma che si espande nell'aria, che coinvolge il theatrum mundi e noi spettatori). Effettivamente Golia siamo noi, testimoni convogliati verso quella smorfia di tensione e di sprezzo. Ed è intelligente questa scelta di riverberare polifonicamente i molti autoritratti dipinti del Bernini: gli occhi contagiati dall'orgoglio creativo, il pizzo ribaldo, spadaccino. E che differenza col David di Battistello alla parete, paggio-narciso in passeggiata. 0 con quello di Caravaggio, che invece si identifica con Golia: cristologico sacchetto di miseria da redimere. Ha ragione Wittkover: la novità rispetto alla scultura manierista, penitenzialmente rinserrata nel proprio solipsismo malato, si ha con questa imposizione di prospettiva unica: che non accetta più una visione plurima, spezzata. Con una problematica che raggiungerà sin Medardo Rosso, Bernini impone, quasi un predicatore barocco, un'unica inquadratura: e se solo ti sposti di qualche millimetro, se osi aggirare l'effetto «speciale» tutto crolla, s'affloscia: come spiare Fregoli tra le quinte. Assorbendo l'edonismo spavaldo di Scipione, nelle sue sculture-gesto egli canta il culmine, lo spasmo: il Ratto, l'Inseguimento, il Lancio. Pensa classico, ma predica barocco: la forma gli sfugge, si espande. Ed è illuminante vedere, quasi una scommessa, staccarsi dalla Fuga di Troia di Barocci la «pittura» scolpita di Bernini: pittorialista, egli è capace di modulare dal minore delle carni vizze di Anchise al biancore tonico, eroico di Enea culturista. E Proserpina ghermita da Plutone (nel suo gesto di ripulsa) è tutto uno schizzare di panna rappresa, stupefatta nello schiocco latteo del corpo che si ribella. E nella spinta battagliera, le dita vogliose del Dio affondano nella pasta sensuosa delle carni già rubensiane, mentre lagrime di yoghurt solcano il volto risentito di lei. Wittkower dice «frenesia controllata», vagamente la stessa formula che Stendhal usa per Rossini. Vuol pinzare l'istante fatale del movimento: braccare il transeunte, proprio come Giacometti. La Dafne rincorsa è come un'onda di marmo che si scontra con Apollo: e ne nasce uno schiaffo metamorfico di foghe-capelli, altro che Mucha. Fluttuare molle di materia: fare del marmo acqua. Non ha fretta di tornare al ritratto del Re, a Parigi: fa fermare un quarto d'ora la carrozza e guarda rapito il fluire della Senna: «Io sono molto amico delle acque». Marco Vallerà Bernini scultore. La nascita del Barocco in casa Borghese Roma, Galleria Borghese Tutti i giorni (tranne lunedi) dalle ore 9 alle 22 Sino al 20 settembre
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