RIGONISTERN

RIGONISTERN Oggi a Padova laurea honoris causa allo scrittore. La sua «lectio» sul nostro rapporto con la natura RIGONISTERN Così abbiamo salvato i boschi dalla guerra /\ PADOVA ! 1 UESTA mattina l'Università di Padova conferisce cinque I I lauree honoris causa. Destinatari del prestigioso riconosci■ I mento sono due studiosi stranieri di fama internazionale -VJcome l'economista indiano Amartya Sen e il politologo \, francese Paul Ricoeur, che saranno nominati dal magnifico rettore Giovanni Marchesini dottori in Scienze politiche; meno noto Michael Ira Pesner, onorato del titolo in Psicologia. Docente a Harvard, Sen nel 1990 è stato insignito del Premio Agnelli. Italiani gli altri due laureati honoris causa dell'ateneo patavino: Guido Vannucchi, vicedirettore generale della Rai, con una specifica esperienza nella pianificazione tecnologica, e Mario Rigoni Stern, l'amato scrittore del Sergente nella neve e di Storia di Tònle. Al primo sarà conferita la laurea in Ingegneria delle telecomunicazioni, al secondo in Scienze forestali e ambientali. La cerimonia è in programma alle 10 nell'aula magna «Galileo Galilei». Pubblichiamo la prima parte della lectio che Rigoni Stern terrà, sul mondo dei boschi nell'Altipiano di Asiago, dove vive. ERO ragazzo quando spalancai gli occhi sulla natura, e tutto avvenne con tanta spontaneità, come qualche volta mi accade di vedere in alcuni ragazzi di oggi.1 Allora, sulla nostra'terra dell'Altipiano, era da poco passata la Grande Guerra; le case dei paesi e delle contrade erano macerie di macerie. I prati, i pascoli, i seminativi erano intersecati da centinaia di chilometri di trincee e camminamenti, coperti da grovigli di reticolati, scolvolti da milioni di buche di granate, avvelenati dai gas. I boschi, i nostri boschi di proprietà collettiva che coprivano una superficie di quasi ventitremila ettari, e dei quali andavamo orgogliosi per la loro bellezza e per la ricchezza che sapevano dare, erano stati completamente distrutti sul 35% del soprassuolo; il 50% era stato seriamente danneggiato e solo il rimanente 15% era rimasto come si trovava all'inizio del 1915. Si può affermare che sull'Altipiano non c'era angolo dove la guerra non avesse lasciato il suo segno. Su quanto era rimasto, nel 1921, l'infestazione del bostrico colpì i due terzi della superficie boschiva e si dovette procedere a radicale bonifica raccogliendo e bruciando alberi divelti o abbattuti e al taglio di circa trecentomila alberi intaccati e di altri novantamila da usare come esca. L'Ips typographus aveva trovato una condizione favorevolissima per poter esplodere in tutta la sua virulenza; proprio come la febbre spagnola fece tra le popolazioni civili. Molte volte, mi pare di capire, il degrado del regno vegetale accompagna il degrado del regno animale, e troppe volte la causa è pur sempre l'uomo. Il ricordo del bostrico, che negli Anni Venti aveva colpito i nostri boschi, è rimasto vivo tra la gente dell'Altipiano, tanto che fino a poco tempo fa si era usi dire: «Ho preso il bostrico», quando si veniva colpiti dall'influenza o da una bronchite. L'immagine di quel paesaggio innaturale era l'immagine stessa della guerra, ma gli occhi del bambino che ero cercavano i fiori sui prati, le fragole nelle radure, i nidi degli uccelli dietro le tavole di pietra che ancora restavano in piedi a segnare i confini tra strade campestri e prati. Le cose degli eserciti, oggetti a noi strani e affascinanti, diventavano strumenti di giuoco; non ci accorgevamo dei tronconi rudi e secchi degli alberi, delle ferite della terra: crescevamo come la prima vegetazione che stava ritornando, finché una brava maestra un giorno d'ottobre invitò ognuno dei quarantacinque scolari a portare in aula un ramo o una fronda d'albero che un botanico ci avrebbe spiegato. Forse per noi fu una lezione difficile con tutti quei nomi in latino, e poi non sapevamo cosa fosse la sistematica; conoscevamo la dulcamara, la radice dolce di una felce, le bacche del sorbo, il crespino, il ginepro, le fragole, i mirtilli, i lamponi, le acetoselle, le pastinache, il cumino; qualcuno di noi mangiava anche i piccoli tuberi dei crochi che andavamo a ricercare tra la terra smossa dalle talpe. Queste bacche, radici, drupe, foghe o fusti avevano un nome nostro, antico, che non c'era sui libri. Era l'istinto dei primitivi che ci vietava di raccogliere la belladonna, l'uva di volpe, la cicuta. In quel giorno d'autunno del 1929 imparammo parole difficili come Gimnosperme e Angiosperme, Conifere e Latifoglie; insomma che il regno vegetale era immenso e si suddivideva in classi, ordini, famiglie, generi e specie. Fu da allora, forse, che guardammo con altro occhio quello che nasceva dalla terra, dove anche il regno animale ci affascinava. Intanto nei boschi distrutti si era dato inizio alla ricostituzione. Nei luoghi più adatti la Forestale incominciò la formazione di vivai; gli «orti», dove veniva coltivato l'abete rosso per il rimboschimento. Le sementi venivano dalla Val di Fiemme; la scelta del seme era dovuta al pregio degli alberi di provenien- za, che davano un legname da opera di alta qualità. I vivai erano stati scelti a diverse altitudini e orientati con il corso del sole in modo di avere alberelli pronti al trapianto dal primo sciogliersi delle nevi e continuare poi il lavoro durante l'estate nelle località più alte o con esposizione Nord e Nord-Est. Finito il lavoro del trapianto le squadre di operai locali dava¬ no mano a scavare le buche da utilizzare la primavera successiva. Qui merita ricordare come scavando le buche per mettere a dimora i piccoli pecci, molte volte uscissero dalla terra smossa bombe, pallette di piombo, cartucce, corone di rame e resti di soldati che erano venuti a combattere da ogni Paese d'Europa. Il metallo discoperto veniva dagli operai venduto a completamento della bassa paga giornaliera, i resti dei soldati portati nei cimiteri militari che erano numerosi e sparsi un po' dovunque. Questo intenso lavoro di rimboschimento era stato spinto con l'intenzione di fare presto ma forse, più ancora, per alleviare la disoccupazione che, dopo la ricostruzione dei paesi, pesava molto sugli abitanti e costringeva molti a emigrare oltre le Alpi e oltre gli oceani. Ma da questa fretta di far rinascere i boschi, da questo desiderio di qualità degli alberi, nacquero gl'avi problemi che con il passare degli anni via via si presentarono. L'abete rosso uniformemente impiantato su aree abbastanza ampie che la guerra aveva denudato e, in un certo senso, anche concimato, cresceva sì con sviluppo annuale generoso ma, come oggi i Forestali sanno, era anche molto fragile nel proprio equilibrio. Finché le grandi nevicate li coprivano, i giovani pecci non crearono problemi, ma poi, quando cominciarono a raggiungere l'altezza di qualche metro, la pesante neve primaverile li schiantava aprendo dei varchi nel fitto del novellarne. Forse anche allora si poteva prevedere questo; certo è che, a considerare questo errore, non si capisce perché nel rimboschimento di quel dopoguerra non si pensò anche al faggio, all'abete bianco, al larice e a latifoglie adatte al terreno e al clima dell'Altipiano, che avrebbero permesso la nascita d'una foresta più 'naturale'. Dove, invece, i boschi erano stati più o meno danneggiati e si era intervenuti senza rimboschimenti pesanti ma con più attenzioni colturali (taglio degli alberi decapitati dal tiro delle artiglierie, lotta al bostrico, bonifica del terreno dai residuati di guerra), la rinnovazione naturale non tardò a farsi notare. Ricordo, sono esperienze personali, che per uso domestico di legna non era considerata infrazione il taglio di saliconi, sorbi, citisi o altre specie nel sottobosco, mentre era molto grave prelevare un abete rosso che pure presentava qualche difetto [...]. Nella primavera del 1945 ritornai nella mia terra dopo trentanove mesi di guerra e venti di Lager. Lo spirito e il fisico erano logorati e stremati: più niente mi dava emozione e forza per vivere. Fu andando per boschi e montagne che lentamente ripresi salute per il corpo e curiosità per la mente. Natura e poesia mi guarirono dal male del reduce e del sopravvissuto, e con occhi nuovi e stupiti ripresi a guardare la vita. Il bosco. Cattedrale del creato: le luci che filtrano dall'alto, i fruscii, i suoni, gli odori, i colori sono mezzi per far diventare preghiera le tue sensazioni da offrire senza parole a un dio che non si sa. Forse da qui sono nati per la prima volta nell'uomo l'idea, il pensiero, la riflessione. Mario Rigoni Stern Sull'Altipiano era da poco passato il conflitto del'15-'18, le case erano macerie di macerie, iprati, ipascoli e i seminativi erano intersecati da chilometri di trincee S l' Lo scrittore Mario Rigoni Stern autore di libri molto ' amati in cui ha spesso raccontato il mondo dei boschi del suo altipiano (fotografia grande) Sopra l'economista e filosofo indiano Amartya Sen Sopra il vicedirettore della Rai Guido Vannucchi RN Sdidedieec

Luoghi citati: Asiago, Europa, Padova