Quindici il numero della camorra

Quindici il numero della camorra Quindici il numero della camorra Un passato di sangue e di sindaci-hoss UNA SCIA m CRIMINI aSALERNO UINDICI? Per me è solo un numero, non un paese!». Sandro Pertini, il vecchio Presidente, quel pomeriggio dell'aprile 1984 l'aveva presa proprio male. «Mi spiace per i suoi abitanti perbene, certamente ce ne sono, ma fino a quando non risolvono questi problemi di criminalità organizzata, fino a quando mi eleggono sindaco un camorrista al soldo di quel Cutolo, per me Quindici resta sul pallottoliere, non sulla carta della geografia politica!». Furibondo, il vecchio Presidente aveva liquidato sindaco, giunta e consiglio comunale di Quindici. Mai successo prima, in Italia. Decreto di scioglimento «per gravi motivi di ordine pubblico». Il sindaco, don Raffaele Pasquale, 45 anni allora, faccia squadrata e soppracciglie spesse, era già latitante, otto mandati di cattura ad inseguirlo. «Don Rafè o' sindaco, don Rafè o'boss. Amato, riverito, temuto. Ovviamente votato». Nel settembre '84 Quindici era un paese di Camorra. Dopo il decreto di Pertini si votava per il consi- glio comunale, e ben due tentativi erano andati a vuoto: si presentava solo la «Lista Torre», quella dei Graziano & Cumparielli suoi. A settembre, invece, si erano candidati pure De e Pei. Per i democristiani capolista era Umberto Santaniello, 50 anni, professore di latino al liceo di Avellino, un anno e mezzo in carcere per tentato omicidio. Per i comunisti Ottaviano Siniscalchi, 32 anni, professore di latino e greco a Vipiteno, Alto Adige, dove si era trasferito con la famiglia da nove anni: «Così mi sento più tranquillo, a Quindici l'unica efficienza, l'uni- ca macchina che funziona, è quella della Camorra». Il secondo in lista lavorava a Milano, il terzo insegnava a Bolzano. «A morte il Pei!», era inciso sui platani di via Roma, lato destro. «Viva i Graziano!», lato sinistro. Camorra e famiglia Graziano. L'efficienza, sì. Dopo il terremoto dell'80 a Quindici erano arrivati 4 miliardi. E questo paese era stato il primo a portare a termine la ricostruzione governando allegramente su appalti, licenze e abusivismo edilizio. Ai Cava, l'altra famiglia di Camorra, ma della rivale «Nuova Famiglia», il monopolio dei Graziano non andava bene. E allora è andata come di solito va da queste parti, un massacro. Fiore Graziano, l'ex sindaco, una domenica pomeriggio era seduto nella tribunetta dello stadio, guardava la partita. Nell'intervallo don Fiore diventa uno colapasta, ammazzato con cento colpi. Si torna a votare e Raffaele prende il posto del fratello Fiore. La sera dell'elezione un corteo di macchine strombazzanti e putipù va a festeggiare sotto la finestra di don Raffaele «o'sindaco», detenuto nel carcere di Avellino. In queste giornate di fango e lutti, per i quindicesi, questi frammenti di 14 anni fa possono risultare sgraditi, sgradevoli, magari offensivi. Ma è che i Graziano il loro potere se l'erano costruito sulla tragedia del terremoto e sulla manna dei miliardi per la ricostruzione. Nell'84 Quindici era un cantiere, con villette nuove in puro stile Brianza, mancavano solo i Sette Nani in giardino. In Municipio gli uomini del sindaco boss firmavano licenze e spiegavano che «la casa è un diritto, se è tutto a posto possono costruirla dove vogliono». Tutto a posto? «Se è gente che si comporta bene...». Una sera don Raffaele e la sua giunta erano riuniti per valutare nuove licenze edilizie. Arrivarono i i Cava, sparatoria fuori e dentro il palazzo comunale,. don Raffaele che si nasconde in soffitta e scappa per i tetti. Sulla facciata del Municipio, ancora oggi, i segni della pallottole ricordano. Quando a Quindici governava la Nuova Camorra Organizzata pure don Mimi Ameba, il parroco, pagava il pizzo: «I soldi che vengono raccolti con la questua finiscono al "Comitato festa". Io sono il presidente, ma non ho mai visto una tira. Gestiscono tutto loro...». Il sindaco boss, latitante o detenuto, aveva un suo particolarissimo assessore all'accoglienza. Il cronista appena arrivato in paese, «gentilmente, prego», veniva preso e accompagnato davanti al Municipio. Fuori dal «Bar Moka», su una sedia impagliata, c'era Totonno Graziano detto «Chioccino», due arresti per camorra. «Benvenuto a Quindici. Per la prima volta nell'84 Pertini sciolse il consiglio comunale «Non è degno di essere un paese!»

Persone citate: Cutolo, Fiore Graziano, Mimi Ameba, Ottaviano Siniscalchi, Pertini, Raffaele Pasquale, Sandro Pertini, Umberto Santaniello

Luoghi citati: Alto Adige, Avellino, Bar Moka, Bolzano, Italia, Milano, Vipiteno