«La mia spia in Valicano era tedesca»

«La mia spia in Valicano era tedesca» «Tutta invenzione la storia del capo delle guardie svizzere al soldo della Ddr» «La mia spia in Valicano era tedesca» Parla Wolf, ex capo della Stasi BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Markus Wolf rivela alla «Stampa»: «La mia talpa in Vaticano non era uno svizzero, era un tedesco». Mentre per la terza volta in tre giorni la Santa Sede smentisce seccamente la collaborazione con i servizi segreti dell'ex Germania Orientale del colonnello Alois Estermann («Tutte sciocchezze - ripete il portavoce Joaquin Navarro Valls -, non è nemmeno da prendere in considerazione l'ipotesi che Estermann possa essere stato una spia, non è la prima volta che si scrivono o dicono incongruenze su un uomo onesto»), al telefono dalla sua casa nella regione di Berlino il leggendario capo dei servizi segreti tedesco-orientali chiede, a sua volta, di chiudere la vicenda innescata due giorni dal «Berliner Kurier». Non è vero allora che il colonnello Estermann ha lavorato per la Stasi? «Considero tutta questa storia un'invenzione». Non è possibile, come sostengono invece il «Berliner Kurier» e il settimanale polacco «Superexpress», che l'ex capo delle Guardie svizzere abbia fatto comunque la spia in favore della Germania comunista? Magari a sua insaputa? «Vuol dire: se potrebbe essere stato reclutato da qualcun altro senza che ne venissi a conoscenza? Mi sembra un'eventualità davvero molto improbabile. Una storia molto improbabile». Perché? «Perché credo proprio che l'avrei saputo, se fosse successo. Invece non ne ho mai saputo niente». Lei tuttavia non era responsabile dell'Itali;): qualcun altro avrebbe potuto agire confondendo un po' le ripartizioni territoriah fra Italia e Vaticano. «Non ero responsabile direttamente per l'Italia, è vero: ma ero competente per tutte le decisioni che erano ritenute importanti. E questa lo sarebbe stata di certo, com'è facile rendersi conto». Lei aveva una talpa in Vaticano? «Certamente». Era uno svizzero, un italiano, un tedesco? «Era un tedesco». Di che cosa si occupava? «Era un ricercatore, lavorava in una accademia scientifica in Vaticano». Quale? «Non ricordo più esattamente il nome di questa istituzione, in questo momento». Fino a quando ha lavorato per lei, quell'uomo? «Ha lavorato per me finché io sono rimasto in servizio, nell'86». In seguito ha ancora avuto sue notizie? «Mai». Potrebbe aver continuato comunque a far la spia in Vaticano, anche dopo il suo distacco dal servizio? «Era già molto vecchio, quando io me ne andai. Aveva un'ottantina d'anni già allora». Ha lavorato bene, per lei, quell'uomo? «Ha lavorato molto bene». Mi fa un esempio? «No. Perché non posso farlo, perché non voglio parlare di queste cose, e perché ho degli ospiti di là che mi aspettano». Lei dice che il caso Estermann è tutta una invenzione: ma perché inventarsi una storia del genere? «Perché i giornali e le televisioni hanno bisogno di qualcosa di nuovo e di clamoroso ogni giorno. Il nome di Estermann era sulla bocca di tutti, in tutti i mass media del mondo. E quan- do un nome è al centro dell'attenzione generale, c'è sempre qualcuno a cui viene in mente l'idea di sfruttarlo per fare sensazione». Ma c'era comunque un nome in codice «Werder» nella Stasi, come hanno confermato al «Berliner Kurier» tre ufficiali di controllo della polizia segreta. Una vostra spia ha davvero usato quel nome, dunque. Chi era? «Questo non lo so. E' possibile, certo, che qualcuno abbia usato quel nome. Ma non posso ricordare i nomi in codice di tutti gli agenti e di tutti gli informatori della Stasi». Emanuele Novazio «Ha lavorato per me fino all'86 ed era già allora anziano: aveva circa 80 anni» «L'uomo che ci passava informazioni dallo Stato pontifìcio era un ricercatore» A sinistra: Wolf, l'ex capo della Stasi, il servizio segreto della Germania, dell'est. Accanto: Alois Estermann, comandante delle guardie svizzere

Persone citate: Alois Estermann, Emanuele Novazio, Estermann, Joaquin Navarro Valls, Markus Wolf

Luoghi citati: Berlino, Ddr, Germania, Germania Orientale, Italia