«Dicono un mucchio di bugie» di Pierangelo Sapegno

«Dicono un mucchio di bugie» ILCASO «Dicono un mucchio di bugie» «Mi trattano bene, ma datemi le sigarette» DAL NOSTRO INVIATO Quando è entrato a Marassi, agli inizi non l'ha riconosciuto nessuno, il Walter. Poi s'è fatto la trafila e mentre lo portavano al primo piano, due divise blu ai fianchi, una dietro e quello davanti con le chiavi grandi come mitra che sbattevano sulle cosce, qualcuno s'è accorto di lui. Donato Bilancia. Il giocatore. Lo chiamano Walter. L'hanno sempre chiamato così, da quando entrava e usciva da qui dentro, per piccole cose, rapinette, gioco d'azzardo. Dev'essere un nome da giocatore, Walter. Una vecchia guardia l'ha incrociato sul corridoio, e mentre passava l'ha salutato: «TJhei, ci sei cascato?». Bilancia non ha detto una parola. Vuoi che non lo sapesse quello lì perché lui era finito dentro? Walter non ha mai parlato. Mai sorriso. Mai visto nessuno. Mai chiesto di sua mamma, o di suo papà. Mai implorato niente, mai detto di essere innocente. Mai chiesto scusa alle vittime o ai parenti delle vittime. Ha detto che stanno tirando fuori «un mucchio di balle». Se è proprio lui il serial killer della Liguria lo vedremo. Questa partita è appena cominciata. L'hanno messo nella sua cella. C'è un televisore sopra un mobiletto. C'è una guardia fuori seduta dietro al tavohno, che ogni tanto si alza per andarlo a guardare. Lui sta steso sulla branda guardando la tv. E' adesso che dice: «Stanno raccontando un sacco di palle». E non si sa bene a chi si riferisce, se ai giornalisti, agli mquirenti, ai testimoni. Walter è un giocatore. Sta attento a quello che fa. Ieri, quando mancavano pochi minuti alle 18, è passato a trovarlo il senatore Antonio Tommasini, di Forza Italia. E' andato allo spioncino e allora lui si è alzato dal letto. Guardava la tv, in bianco e nero. Telemontecarlo, «A muso duro», con Charles Bronson. Te pareva. «Buongiorno, sono un parlamentare», gli ha detto Tommasini. Come sta? «Sto bene, mangio, dormo, sono tranquillo». Parlava in una nuvola di fumo, bruciando la sigaretta. E' trattato bene? «Sì. Non ho nessun motivo di lamnetarmi. Solo che non mi danno le sigarette» Non è vero. Sta fumando. E poi non le ha lì sul tavolo le sigarette? «Ah sì, quelle. Ma solo perché ho insistito molto. Gli dica di darmele senza storie». Il senatore dice che l'ha trovato «lucido, coerente, sicuro». Che non gli è sembrato affatto «agitato». Dopo il confronto con il viado, qualcuno aveva parlato di grande tensione e raccontato che lui avrebbe persino tentato il suicidio. Non è vero. Donato Bilancia sta nella sua cella d'isolamento, quattro turni di vigilanza, l'ora d'aria da solo in un cortiletto. Le sigarette da tenere fra le labbra, come i giocatori di poker. Il corridoio con il pavimento di graniglia. Tre porte che si aprono sui rumori lenti di Marassi, gli echi che salgono dai piani, i chiavistelli grandi come un braccio che girano nelle toppe. La sua porta è quella di mezzo. La cella è piccola, appena due metri per tre, con la televisione contro al muro girata verso il letto. La bran¬ da, un armadietto, il tavolino con il pacchetto di sigarette. Nessun libro, neanche un giornale. Di là da un tramezzo, i servizi e la doccia. Va via il senatore e lui torna sul letto, come prima. Non cambia canale, anche se il film è finito. La stessa tuta grigio chiaro delle foto, e sotto, una camicia scura, il colletto che spunta sopra la cerniera. Anche le guardie ripetono che «è tutto normale, per ora non succede niente». Lui dice solo che «i giornali fanno in fretta a scrivere e parlare». Ma anche questo può non voler dire niente. Ha parlato con la sua voce cavernosa. Tommasini ha detto che sembra più alto di quello che si immaginava e che quando gli parlava, Donato Bilancia aveva dovuto ab¬ bassarsi sullo spioncino. Per salutare, ha accennato un sorriso. Questa è un'altra partita. Un suo compagno di gioco raccontava: «Walter entrava quando la posta cominciava ad alzarsi. L'ho visto perdere 30 milioni senza problemi. Un sorriso, e la sera dopo tornava». Un criminologo, Francesco Bruno, dice che se è lui l'assassino, «forse 0 gioco più forte della sua vita era uccidere». Una guardia gli ha detto: cos'è che ti manca di più? Il gioco? Chissà che faccia avrà fatto, Walter. «Vuoi scommettere?», ha risposto. Che cosa? «Vuoi scommettere che fra un po' ci facciamo di nuovo qualche partita insieme?». Pierangelo Sapegno Sopra Donato Bilancia mentre viene portato in carcere. A sinistra la pistola del serial killer mostrata dal maggiore Filippo Ricciarelli comandante del nucleo operativo dei carabinieri Sotto Bilancia in una foto del 1977

Persone citate: Antonio Tommasini, Charles Bronson, Donato Bilancia, Filippo Ricciarelli, Francesco Bruno, Tommasini

Luoghi citati: Liguria