II Cavaliere e l'Ingegnere così lontani, così vicini
II Cavaliere e l'Ingegnere così lontani, così vicini UNA SFIDA LUNGA 2® ANNI II Cavaliere e l'Ingegnere così lontani, così vicini CMILANO ARLO De Benedetti e Silvio Berlusconi si detestano (e neanche cordialmente) da una ventina d'anni. Entrambi abituati a pensarsi vittoriosi, hanno condiviso l'idea (o il sogno) di diventare i capitalisti guida dell'Italia svincolata dalle grandi famiglie. Entrambi nascono come outsider. Il primo respira l'aria della media borghesia piemontese. E' ebreo di nascita, laico di formazione, colto, moderatamente sinistrorso, a metà strada, nel corso degli anni, tra Ugo La Malfa e De Mita. Detestato da Craxi e da Cossiga - nei rispettivi anni d'oro - coccolato dai sindacati, si è messo per tempo tra le frasche dell'Ulivo. Il secondo viene da una minuta famiglia milanese. Anticomunista di formazione, oratorio, scuole salesiane, preponderante attitudine ai danè fatti all'inizio con il classico mattone. Sebbbene oggi si richiami a don Sturzo e a De Gasperi, tutta la sua strada procede sottotraccia a Craxi e ai suoi luccicanti Anni Ottanta. Sparito il suo mentore, nel '94, lo ha sostituito con sé medesimo e un partito che a differenza di quello socialista ha vinto le elezioni. La vita visibile dei due è opposta. Riservato il primo, esuberante il secondo. De Benedetti è metodico fino alla maniacalità. Salvo impegni non va mai a dormire dopo le 22,30. Berlusconi, che pure dorme pochissimo, lavora fino a notte fonda, sveglia e convoca collaboratori. Se De Benedetti arriva 3 minuti prima agli appuntamenti, Berlusconi può comparire anche due ore dopo. De Benedetti gira con il solo autista. Berlusconi (ben prima della politica) si accompagna a un esercito di gorilla. Uno ha una vecchia villa davanti al blu della Costa Smeralda. L'altro ne ha comprate sette. Uno è freddo con i collaboratori. L'altro caldissimo. Uno è essenziale nelle chiacchiere. L'altro dilaga in aneddoti e barzellette. Uno veste preferibilmente gessati. L'altro, la tuta. Nella tempesta di Mani pulite De Benedetti, senza scagliarsi mai contro i giudici, finì per sei ore a Regina Coeli. Disse: «Mi assumo le responsabilità mie e dei miei collaboratori». Berlusconi (dal primo momento) gridò al complotto, scaricò il possibile sul fratello Paolo e l'impossibile sulle toghe rosse e per il resto: «Giuro sulla testa dei miei figli». Per due volte le loro strade si sono incrociate davvero: la battaglia per la Sme (anno 1985) e per la Mondadori (anni 1989-'91). Ir entrambi i casi De Benedetti ne uscì sconfitto e Berlusconi incassò la posta in gioco. Nella vicenda Sme si trattava di vanificare l'acquisizione che De Benedetti stava ultimando del colosso alimentare Iri. L'allora premier Craxi - in extremis - gli contrappose una cordata guidata dal suo amico Silvio, dopo avergli lanciato strali attraverso Giuliano Amato. La «cordata fantasma» sbrigò il suo mandato in una manciata di settimane: rilanciò l'offerta, si mise di traverso, intasò giornali e tribunali. Risultato: De Benedetti si ritirò e la Sme rimase all'Ili. A missione compiuta (naturalmente) la cordata fantasma evaporò. La seconda volta - battaglia campale per la conquista della Mondadori - c'erano in ballo non solo la politica, l'informazione, il potere, ma pure la grana: più di mille miliardi. Durò una settantina di settimane con pittoreschi capovolgimenti di fronte che appassionarono l'establishment economico, arricchirono battaglioni di avvocati, e (infine) incuriosirono la magistratura. Fu alla fine di quella guerra che i due nemici decisero (per la prima volta) di incontrarsi. Una colazione non di pace, ma di possibile tregua. L'invito lo fece De Benedetti, casa di via Ciovasso, Milano, ore 13. Berlusconi arrivò, i due lasciarono le rispettive truppe fuori dal salottino e senza testimoni si accomodarono davanti ai tovaglioli ancora chiusi. Cosa si dissero? L'essenziale, parrebbe, visto che solo 15 minuti più tardi la porta si riaprì, Berlusconi filò via arrossato, lasciando De Benedetti di umore nerissùno e i tovaglioli definitivamente chiusi. Essendo del tutto incompatibili in novantotto dettagli, De Benedetti e Berlusconi si assomigliano in almeno due. Nella tenacia, prima di tutto. Declinabile in: ostinazione, amor proprio, energia, immensa capacità di lavoro, carisma. Perciò il vapore che li tiene sotto pressione sfiata alla potenza giusta per fare girare la macchina - collaboratori, soldi, investimenti e truppa - sempre alla massima velocità, così come gli ordina, ogni mattina, lo smisurato specchio delle rispettive brame. Il secondo dettaglio è l'esito del primo: entrambi sono partiti da quasi zero e hanno creato imperi. Di cultura ingegneristica, nonché finanziaria, De Benedetti ha scalato decine di aziende, le ha fuse, le ha perse e riconquistate: Olivetti, Valeo, Buitoni, Yves Saint Laurent, fino alla disastrosa avventura della conquista della Société du Belgique («Sarò il padrone di un terzo del Belgio», disse incautamente) che finì per ridimensionare la sua espansione europea. Di cultura schiettamente imprenditoriale, Berlusconi ha creato pro¬ dotti del tutto innovativi e ci ha marciato dentro. Partito come mattonare, anziché limitarsi a costruire palazzi e a venderli, ha costruito e venduto un modo di abitare. Anziché limitarsi ad accendere piccole tv locali - in era di monopolio Rai ha costruito la tv commerciale moltiplicando per mille un mercato che valeva spiccioli. Fino alla disastrosa avventura della tv europea (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e Polonia) che finì per legarlo indissolubilmente alla politica italiana. Pino Corrias Qui sopra l'Ingegner Carlo De Benedetti In alto il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi
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