La prima sconfitta di Blair di Fabio Galvano

La prima sconfitta di Blair Ma il sì ha vinto il referendum: tra diciotto mesi i londinesi torneranno alle urne per scegliere il sindaco La prima sconfitta di Blair Flessione laburista alle elezioni comunali LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' stata la prima battuta d'arresto per Tony Blair. Dopo la giornata elettorale di giovedì, come alle feste dei bambini dove tutti portano a casa almeno un regalo, anche lui ha di che sorridere: per la vittoria del sì al referendum in cui si chiedeva ai londinesi se volessero in futuro un sindaco da eleggere a suffragio diretto. Ma su circa 4 mila seggi che erano in palio nelle elezioni aniministrative, in un totale di 166 consigli comunali, il New Labour ne ha persi un centinaio e, rispetto al trionfo alle politiche di un anno fa, ha visto la sua percentuale del voto scendere dal 43,5 al 38 per cento. Va subito detto che in genere, alle amministrative, il partito al potere registra perdite ben più robuste; e bene lo sanno i conservatori, che nel 1994 subirono una débàcle capace poi di esercitare un effetto volano nei tre successivi anni di crisi del partito. Perdite contenute, quindi, per il blairismo; eppure fastidiose. Canta comunque vittoria, sottolineando la maggioranza (72 per cento dei voti espressi) con cui i londinesi hanno detto sì al sindaco e ignorando che il vero vincitore del referendum è stato il partito dell'apatia, dal momento che soltanto il 34 per cento degli elettori ha votato. Canta vittoria dicendo che quel risultato darà «una grande spinta alla capitale» e assicurando che «una volta visti i benefici numerose altre città inglesi vorranno seguire quell'esempio». Canta vittoria persino per i risultati nei consigli comunali, sorvolando sul fatto che in due di essi il Labour ha perso la maggioranza e osservando invece che «questi sono eccellenti risultati per un governo in carica, uno dei migliori». Anche dal grande astensionismo trae motivi di bilancio positivo: «Significa che avevamo ragione a voler modernizzare le amministrazioni locali, per ridistribuire le responsabilità e fornire meglio i servizi essenziali». Salvo poi ammettere, a proposito dei seggi persi, che «c'è una lezione da imparare»; e che, in alcune regioni tradizionalmente laboriste, «ci è stato dato un messaggio di cui dovremo tenere conto». Anche i conservatori cantano vittoria. Perché se è vero che dal 33,7 per cento delle politiche sono scesi al 32 per cento, di fatto hanno conquistato quasi 250 seggi e si sono assicurati la maggioranza in due consigli per loro cruciali: Runnymede e Tunbridge Wells. «Abbiamo ricominciato a vincere e stiamo tornando sulla scena», ha commentato giubilante il presidente del partito, Lord Parkinson. Gli ha fatto eco l'ex presidente, Norman Fowler: «Stiamo recuperando passo dopo passo. Tutti i segnali ci dicono che la gen¬ te torna con i Tories». Persino Paddy Ashdown, il leader dei liberali che sono forse usciti come i maggiori sconfitti dal voto di giovedì, canta vittoria. «Abbiamo conquistato Liverpool», esulta; ma tace di avere perso, nella cintura londinese, quella roccaforte che era stata a lungo Kingston e, alla fine della conta, un centinaio di seggi (e otto maggioranze). Certo, il risultato più importante resta il graffio a Blair: non più invincibile, nonostante i sondaggi; non più invulnerabile, come si è anche visto a livello diplomatico dopo le polemiche per la sua mediazione di Bruxelles per la Banca Centrale. E ora alle prese - referendum irlandese a parte anche con l'iter legislativo per dare un sindaco a Londra, terza rivoluzione costituzionale dopo la devolution per la Scozia e il Galles. Ci vorranno circa 18 mesi prima che i londinesi tornino alle urne per eleggere il loro sindaco. E già ieri, sull'onda del referendum vinto dall'astensione e in seconda battuta dal sì, si risvegliavano le scaramucce fra i maggiori contendenti: Ken «il rosso» Livingstone, grande favorito secondo un sondaggio della Bbc ma osteggiato da Blair che avrebbe in animo di arginarlo con l'ex attrice Glenda Jackson; Lord Archer, fra i conservatori, a cui i londinesi preferiscono però l'ex governatore di Hong Kong, Chris Patten. Più, come incomodo indipendente, Richard Branson. Ma il boss della Virgin, il più gettonato di tutti, è l'unico che per ora tace. Fabio Galvano Il premier scende dal 43,5 al 38% «E' un messaggio degli elettori»

Luoghi citati: Bruxelles, Galles, Hong Kong, Liverpool, Londra, Scozia