Un premier tra spot e realtà

Un premier tra spot e realtà Un premier tra spot e realtà L'opposizione inglese: molte parole, pochi fatti LONDRA DAL NOSTRO INVIATO La IMMENSO, piatto co™ perchio sarà appoggiato lì, sulla larga ansa del Tamigi di fronte a Canary Warf. E non per caso o per banale convenienza. Il posto, infatti, si chiama Greenwich ed è proprio quello che dà il nome al Pnmo Meridiano: una collocazione ideale per un'esperienza millenaristica. Il Millennium Dome, la cupola del millennio, prima ancora di essere terminata, è già da tutti considerata il monumento-simbolo del blairismo, nonostante che a lanciare l'idea, alcuni anni fa, sia stato il conservatore Michael Haseltine. Ma i blairisti se ne sono appropriati con rapace prontezza, così come il loro leader si impadronì della memoria e dell'icona di Lady Diana. Il Dome è stato pensato come il monumento alla Gran Bretagna del Terzo Millennio, «l'emblema di un Paese che, mentre viene ancora percepito come un pittoresco cocktail di bombette e castelli, è invece proiettato a tutta velocità verso il futuro. Questa è la filosofia di Peter Mandelson, il Mazzarino di Blair, l'uomo che più intriga in questo momento gli osservatori della politica e i salotti della capitale, U lucido visionario che dirige il progetto Rebranding Britain, rietichettare la Gran Bretagna, di cui l'edificazione del Dome sarà il biglietto da visita. 320 metri di diametro per un chilometro di circonferenza, il Dome, il cui disegno è stato affidato all'architetto Richard Rogers (già legato al progetto del Centre Pompidou), sarà grande come due stadi di Wembley e dovrà contenere tutte le ultime conquiste dello spirito e della tecnica, enorme Expo del genere umano prossimo venturo. Finito, sarà costato quasi 2500 miliardi di lire, che non saranno certamente ripagati dai 12 milioni di visitatori attesi entro l'anno 2000. Intanto, però, il problema è cosa metterci dentro. C'è una vaga assonanza tra l'impresa del Dome e l'Azione Parallela, coordinata dal conte Leinsdorf per celebrare il doppio anniversario dell'Impero e dell'Imperatore austriaci neh" Uomo senza qualità di Robert Musil: «dell'Azione Parallela tutti parlavano senza che alcuno sapesse esattamente cosa fosse». Più in generale, questa è la perplessità che avvolge il blairismo: immagine o realtà, fatti o parole, sostanza o accidente? Nel sottoscala di un palazzo moderno non lontano dalla City lavorano, in un silenzioso turbinio di code di cavallo, orecchini e computer, una quindicina di ragazzi dell'età media di 25 anni. Sono la squadra di Demos, un think-tank che produce parecchie delle idee sulle quali stanno lavorando i blairisti. Mark Léonard, 23 anni, è un'allegra mitraglia di proposte ed è anche l'inventore di Rebranding Britain, che ha poi trovato in Mandelson il suo massimo sacerdote. «La Gran Bretagna - sostiene - è percepita come un Paese vecchio, depresso, ingessato, produttore di manufatti scadenti, non soltanto all'estero, ma perfino dal 50% dei suoi abitanti. La realtà, però, è profondamente diversa e sta cambiando ancora più velocemente. Basta guardare al successo delle nostre industrie più creative, come la musica, il design, l'architettura e il cinema, combinati con una solida crescita economica. Stiamo vivendo una nuova primavera». Come tutti i giovani, Mark è un entusiasta e il suo entusiasmo lo ha spinto a coniare, per l'operazione Rebranding Britain, lo slogan Codi Brìtannia, Britannia alla moda, che è diventato subito il facile bersaglio di coloro che considerano il blairismo un vuoto spot pubblicitario. Tanto che perfino Blair e Mandelson hanno dovuto prendere le distanze dalla «trovata giornalistica» Codi Britannia, pur protestandosi fe¬ deli allo spirito dell'operazione. In realtà lo slogan ha funzionato, perché ha attirato l'attenzione sulla filosofìa blairiana della nuova identità nazionale. In questa filosofia c'è mi elemento di irriverenza, di «avventuristico paradosso», come dice Lord David Putnam, che è piuttosto nuovo nel costumi politico inglese. Non a caso Codi Britannia era il titolo di una canzone del '68 del gruppo Bonzo Doggy Dooda (letteralmente «la popò del cane del bonzo»), scelto da Demos in parodistica contrapposizione all'aggressivo nazionalismo del'inno imperiale Rule Britannia, eseguito in tutti i congressi dei conservatori. Racconta Philip Stephens, noto commentatore del Financial Times, di aver conversato al telefono con Blair subito dopo il suo trionfo elettorale di un anno fa: «Lui continuava a parlare di New Labour, new questo, new quell'altro, e io mi sono lasciato scappare che queste potevano anche essere etichette vuote. Blair mi ha interrotto e con tono molto serio mi ha detto: "Mi dispiace, Philip, non hai capito proprio niente: non si possono mai cambiare le cose se prima non si cambia linguaggio e atteggiamento"». Questo è uri punto fondamentale del credo blairiano. Nell'ufficio di Peter Mandelson, a Whitehall 72, c'è un'atmosfera vagamente New Age. L'ampio salotto d'attesa, attraversato continuamente da giovani con l'orecchino e da donne con l'espressione intensa di chi partecipa a una missione, è una composizione di bianco e verdino, con quadri astratti alle pareti. Mandelson, alto, sottile e vagamente somigliante a Anthony Francio- sa, appare come un uomo freddo e fermamente deciso a non sciupare un solo secondo della sua vita. Ma Lady Carla Powell, un'italiana che ha sposato un diplomatico britannico, estremamente ben introdotta nella Londra che conta, assicura che Mandelson, quando arriva a una cena o un party, spesso in compagnia dell'amico attore Stephen Fry (l'ultimo Oscar Wilde cinematografico, nonché il protagonista di Peter's Friends), scherza, canta e fa ridere tutti. Mandelson è l'uomo a cui chiedere che cosa sia davvero questo New Labour. «I valori di fondo del partito spiega - sono sempre gh stessi: equità e giustizia sociale. Nuovo è il modo di applicarli in una situazione completamente nuova. La vecchia sinistra era intervento statale nell'economia più un processo decisionale neo-corporativo. Questo non è il modo in cui può funzionare l'economia, che ha bisogno di competitività e dinamismo, e richiede un mercato flessibile. Noi riconosciamo che le imprese hanno bisogno di libertà». «Ma, mentre i conservatori sono esclusivamente laisser faire-laissez passer - continua nella visione del New Labour, il governo conserva un ruolo centrale, rivolto a garantire educazione, addestramento professionale, un mercato corretto e libertà manageriale». E' la versione blairiana della «terza via», un concetto sul quale gh uomini del New Labour insistono moltissimo, nonostante si tratti di una formula con una storia non proprio fortunata. «Terza via» era il «socialismo di mercato» di Michail Gorbaciov, oppure quello spazio mai bene individuato tra comunismo e socialdemocrazia di cui parlava Enrico Berlinguer. La formula, «terza via», è stata rispolverata a sorpresa da Bill Clinton nel suo ultimo Discorso sullo Stato dell'Unione, con un significato ovviamente nuovo anche se sostanzialmente non spiegato. Del resto, il nome stesso, «terza via», suggerisce l'impressione di un concetto che, più che avere un'identità propria, la rivendica in negativo rispetto ad altri due. «Se uno ha due figli - commenta il laborista old fashion Peter Jay - chiamati Maria e Giovanni e gliene nasce un altro, non lo chiama certo Terzofiglio». Ma, a parte il fatto che una volta, almeno in Italia, qualcuno chiamava i figli Primo, o Quinto, oppure Settimio, i blairisti sono attaccatissimi alla loro «terza via». E questa, secondo il direttore della London School of Economics Anthony Giddens, che ci crede molto, è un modo di «conciliare mercato e tradizioni», oppure, in altri termini, «un punto di mediazione tra il modello liberista americano e le tradizioni europee di stato sociale». L'analisi parte dalla constatazione di una crisi profonda del modello liberista di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, insorta dopo la sua schiacciante vittoria su ogni forma di statalismo sociahsteggiante. «In fondo - spiega Giddens - l'economia di mercato tende a sovvertire se stessa e a entrare in contraddizione con i suoi stessi valori. In altre parole, il liberismo puro è troppo rivoluzionario. Per esempio, un mercato del lavoro estremamente flessibile finisce per distruggere la famiglia, come accade in America. La Thatcher si è avvolta nell'Union Jack per riconquistare le Falkland e poi ha privatizzato la British Airways. E così la bandiera patriottica riportata su quelle isole lontane è scomparsa dalle code dei nostri aerei. Conseguenze non volute del liberismo». Quando il liberismo si sposa ah'individualismo, si esce dalla sfera conservatrice e si entra in quella del libertarismo. E così la destra si spacca, come è accaduto negli Usa tra il liberista Newt Gingrich e il protezionista Pat Buchanan. I blairisti citano come esempio illuminante (e orrifico) 10 slogan della Microsoft di Bill Gates: Obsolete yourself, rendi te stesso obsoleto. «Occorre trovare 11 punto in cui l'individualismo deve essere fermato - sostiene Giddens -. Questo vale anche per il mercato. Se nessuno lo regola, si formano i monopoli e così il mercato cessa di essere aperto e competitivo». La conquista del «centro» da parte del New Labour parte pro¬ prio da questa idea, solo apparentemente paradossale, che «il liberismo puro è troppo rivoluzionario». E si declina attraverso l'impegno inviolabile assunto con gh elettori a «non aumentare di una lira la spesa pubblica», a «sconfiggere il crimine», «a promuovere sviluppo e occupazione» e «a migliorare il sistema educativo», come riassume Lord Putnam. In più, sotto l'etichetta «riforma costituzionale», sta progredendo una riflessione sulle forme della democrazia. Nessuno può considerare un caso che, in un anno, Blair abbia già indetto quattro referendum, due sulla devoluzione in Scozia e Galles, uno sull'accordo di pace hi Irlanda e uno sull'istituzione di un governo per l'area della «grande Londra». Si annuncia un quinto referendum sull'adesione all'Europa, anche se nella prossima legislatura, e - questa è una sorpresa - un altro, più vicino, sulla legge elettorale. I blairisti, infatti, stanno seriamente pensando di cambiare la legge uninominale attuale per renderla più flessibile e potenziare la rappresentanza parlamentare di partiti intermedi come quello dei social-liberali alla Roy Jenkins, che sono loro alleati naturali. «Non crediamo nel proporzionalismo puro, ma voghamo cambiare - dice Mandelson, offrendoci una notizia -. Esamineremo attentamente i risultati della commissione Jenkins e indiremo un referendum sulla legge elettorale già in questa legislatura». In totale, una raffica di referendum (almeno sei, per ora) che offre l'idea di come Blair pensi di correggere la democrazia rappresentativa con iniezioni di democrazia diretta. Circola a Londra questa storiella: ci sono due uomini in macchina, Gerhard Schroeder e Tony Blair. Guida il tedesco che, arrivato a un crocevia, si blocca e chiede al capo dei laboristi britannici: «E adesso dove vado?». «Semplice - risponde Blair.- Metti la freccia a sinistra e gira a destra». E' la classica caricatura del blairismo come thatcherismo riscaldato, come make-up cosmetico di un liberismo che non ha più nulla della sinistra storica. Ma la questione sembra essere più complicata e ci vorrà probabilmente un po' di tempo, dedicato a un'osservazione attenta, per capire se il blairismo è solo una furba operazione di immagine o un nuovo fenomeno politico. Paolo Passarini (3-Fine Le altre puntate sono state pubblicate I'1 e il 6 maggio) La critica dell'old labour: Tony è un autista che mette la freccia a sinistra e poi gira a destra Il credo del primo ministro: non si cambiano le cose se prima non si cambia il linguaggio è diversa la tattica, ma i valori sono gli stessi INCHIESTA 3. Nella . tirati Bretagna del , NEW j LABOUR 0 •! 1 ili ' f ' ■ ::i':>|'-r>] I I Peter Mandelson è il massimo sacerdote del blairismo: l'uomo che sta tentando di rietichettare la Gran Bretagna Il Millennium Dome, la cupola del millennio sulla larga ansa del Tamigi, prima ancora di essere terminata, è considerata da tutti il monumento-simbolo del blairismo