LONGOBARDI I primi italiani

LONGOBARDI I primi italiani LONGOBARDI I primi italiani PER celebrare i suoi quarant'anni di vita, da sabato 9 maggio sino al 31 maggio, il Fogolàr Furiali di Torino organizza nella sede di corso Francia 275 mia mostra sui Longobardi per documentare l'importanza di questa presenza in Italia. La rassegna è ricca di riproduzioni dei più importanti reperti storici: gioielli, steli, templi (nella foto, un particolare dell'altare di Ratchis), battisteri, corredi funerari e altre testimonianze. Numerose le conferenze, in sede: mercoledì 13 maggio, alle 21, «Eredità longobarda nella toponomastica e nella lingua friulane»; venerdì 15, alle 21, «I Longobardi e il Cristianesimo»; venerdì 22 maggio, alle 21, «Il Friuli e i Longobardi»; mercoledì 27 maggio, alle 21 «I ritrovamenti arcbeologici longobardi in Piemonte»; venerdì 29 maggio, alle 21, «Le Chiuse longobarde della Valsusa» e mercoledì 3 giugno, alle 21, «H longobardo Paolo Diacono. L'orario della mostra: mar.-sab. 16-19, dom. 9-19, lunedì chiuso. Tel. 011/772.30.21. BENCHÉ' sia durata due secoli, dall'arrivo dei guerrieri di Alboino nel 570 alla disfatta di Desiderio per mano di Carlo Magno nel 773, l'età longobarda non ha lasciato alcuna traccia visibile nel tessuto urbano della Torino odierna. Eppure avremmo torto a credere che l'assenza di testimonianze architettoniche indichi una completa decadenza della città a causa della dominazione barbarica. Contrariamente a quel che si credeva una volta, oggi sappiamo che i Germani non erano poi così atterriti dalle città romane, benché senza dubbio faticassero a padroneggiarne la complessità e a garantirne il funzionamento; anzi, i capi barbari colsero sempre al volo le potenzialità dei centri urbani come sede del potere politico, oltre che religioso. Torino non fa eccezione, giacché fin dal primo momento vi si insediò un duca longobardo, il cui palazzo con ogni probabilità occupava il medesimo sito dell'attuale Palazzo di Città; nel Basso Medioevo e ancora ih età moderna la chiesa di San Pietro «de curte ducis», demolita nel 1728, ricordava col suo nome la presenza della corte ducale. Nel quadro complessivo del regno longobardo, il ducato di Torino aveva un ruolo tutt'altro che secondario. Incaricato di proteggere i confini occidentali d'Italia contro i poderosi vicini, i Franchi, il duca era responsabile fra l'altro del sistema di fortificazioni eretto alle Chiuse di San Michele, che diede così cattiva prova all'arrivo di Carlo Magno, ma che prima d'allora era considerato vitale per la sicurezza del regno. Forte di questa responsabilità, il duca di Torino era una figura politica di primo piano, tanto che, su quattro duchi a noi noti, ben tre divennero re dei Longobardi, lasciando Torino per la capitale Pavia. (Il quarto, Garibaldo, ci provò anche lui, ma non fece in tempo, perché fu assassinato il giorno di Pasqua del 662 nella cattedrale di S. Giovanni Battista). Come mai, allora, i Longobardi a Torino non hanno lasciato tracce? Forse la domanda è posta male: quelle tracce, infatti, ci sono, solo che noi non le vediamo. Giacciono sotto l'asfalto, sepolte nel sottosuolo, e solo ogni tanto uno scavo archeologico fortunato le riporta alla luce. Allora si scopre che per più di mille anni una donna longobarda è rimasta sepolta nella sua tomba in zona Lingotto, con tutti i suoi gioielli, fibule d'argento, catena d'oro e orecchini d'ametista; che un guerriero longobardo è sepolto a Sassi, e un altro nei pressi di via Nizza. Sono tutte, non a caso, zone periferiche; giacché i morti si seppellivano fuori città; ma addirittura nel tessuto viario torinese esiste forse ancor oggi una traccia della presenza longobarda. Si tratta di via Quattro Marzo, che col suo taglio obliquo costituisce l'anomalia più vistosa nel tracciato viario ortogonale del centro storico; e che, secondo un'ipotesi attendibile, venne aperta in quella direzione proprio per collegare la corte del duca longobardo con la cattedrale. Alessandro Barbero LONGOBARDI I primi italiani

Persone citate: Alessandro Barbero, Garibaldo, Giovanni Battista, Paolo Diacono