Abel Ferrara, regista maledetto

Abel Ferrara, regista maledetto Abel Ferrara, regista maledetto PER me Gesù è un uomo attraverso la cui esperienza noi tutti dovremmo vivere (...). Non sono in grado di starmene qui seduto a dirle che credo nella Sacra Scrittura. Penso alla vita eterna, se esiste o no... Ci provo, sono alla ricerca; ma come ho già detto è importante cercare per tempo. Non voglio fare la fine di quei cristiani in punto di morte. Non voglio trovarmi in mezzo a una strada con una pallottola in corpo e pregare che Dio mi salvi come accade a molti. Vorrei affrontare la questione prima della fine». Chi conosce superficialmente il cinema di Abel Ferrara, di cui il Massimo ospita una personale dal 14 al 22 maggio, sarà sicuramente stupito nell'apprendere che queste dichiarazioni di fede intima e straziante (tratte dal libro di Silvio Danese «Abel Ferrara, l'anarchico e il cattolico», edizioni Le Mani) appartengono proprio al regista di «11 cattivo tenente» e di «The Addiction». Il cinema di Abel Ferrara è infatti noto ai più per la cruda violenza di molte situazioni, per l'esibizione di tossicodipendenze convinte e disperate (e non ammiccanti e costruite a tavolino come accade nel sopravvalutato «Trainspotting»), per immagini che osano quello che mai nessuno aveva osato in precedenza. Dopo aver iniziato con film tipicamente di genere, Ferrara ha man mano dimostrato di essere un autore e ha iniziato a lavorare con attori di grande importanza riuscendo a ottenere da loro parti scomode rispetto all'immagine che gli stessi si erano costruiti con i mass media: solo un autore riconosciuto avrebbe potuto spingere Madonna ad accettare il ruolo in «Occhi di serpente» e Claudia Schiffer a girare vacuamente con un vestitino da Standa in «Blackout». Il suo rapporto con gli attori è in effetti totale e totalizzante, perché i personaggi di Ferrara (e del suo sceneggiatore preferito, Nicholas St. John) sono personaggi estremi, irriducibilmente votati alla nevrosi, alla paranoia. E, al tempo stesso, sono personaggi che esprimono insospettate ma esplicite tensioni morali. Harvey Keitel, poliziotto corrotto, drogato e maniaco in «Il cattivo tenente», soffre di visioni mistiche che ogni tanto fanno capolino, inquietanti e totalizzanti, nel suo cervello mi- nato dagli abusi. £ la vampira in abiti moderni di «The addiction» sa ritrovare una propria identità grazie a un atto di fede inusuale ma molto sentito. I simboli religiosi fanno continuamente capolino nel cinema di Ferrara; ma, a differenza di molti registi contemporanei, non hanno un significato volgarmente provocatorio e dissacratorio. Un regista che non ama le interviste e tantomeno i libri a lui dedicati. Ma che è magnetico, capace di attrarre a sé gli attori più difficih e i più richiesti, particolarmente attento a quelli italiani. Nel suo terzo film, «Paura su Manhattan», ha offerto a Rossano Brazzi uno degli ultimi ruoli della sua carriera: e quel Don Carmine era così diverso dalle abituali parti di latin lover per cui Brazzi ebbe una lunga carriera americana. E adesso sta lavorando con la migliore delle nuove attrici italiane, Asia Argento: il suo fascino intenso e irregolare sembra fatto apposta per convivere con altri due attori dalle stesse caratteristiche, Christopher Walken e Willem Dafoe, in «New Rose Hotel». Stefano Della Casa Abel Ferrara, regista maledetto Il regista Abel Ferrara è al centro della personale che s'inaugura giovedì 14 al Massimo Due

Luoghi citati: Ferrara, Manhattan