SENECA: CHE GUAI IL MATRIMONIO di Anacleto Verrecchia

SENECA: CHE GUAI IL MATRIMONIO SENECA: CHE GUAI IL MATRIMONIO CONTRO IL MATRIMONIO Seneca a cura di M. Lentano Palomar pp. 125 L 13.000 L modo migliore di saggiare la sostanza dei libri sarebbe forse quello di metterli in infusione e poi distillarli. Si può essere certi che dalla stragrande maggioranza, specialmente se voluminosi, non colerebbe una sola goccia di sostanza utile. Ad essi si addice perfettamente il proverbio che dice: «Si sente il rumore del mulino, ma non si vede la farina». Viceversa ci sono dei libretti, pochi, che contengono più sostanza di un dado e possono insaporire la minestra per un esercito di lettori. E' il caso di questo opuscolo di Seneca contro il matrimonio, ora per la prima volta tradotto m italiano. L'originale è andato perso, ma lo si è potuto ricostruire in base alle ampie citazioni che ne fa San Gerolamo, acerrimo nemico del matrimonio e propugnatore dell'ideale ascetico, nel suo Adversus Iovinianum. Chi era questo Gioviniano? Un monaco che voleva avere, per così dire, il porco e i sei ducati: guadagnarsi il Paradiso senza rinunciare ai piaceri della camicia o dell'alcova. Secondo lui bastava la schizzatala d'acqua santa sulla fronte, ossia il battesimo, per sfuggire alle grinfie del diavolo e assicurarsi il regno dei cieli. Non c'era assolutamente bisogno di fare tutte quelle pratiche ascetiche, nutrendosi magari di ramarri e di cavallette. I peccati, compresi quelli dell'emisfero australe! E' sufficiente il pentimento, perché il Padreterno è buono e perdona. Lo dicono anche nelle valli piemontesi: «Se Nostro Signore non perdonasse i peccati delle brachette, potrebbe riempirsi il Paradiso di foghe secche». E' una vera disgrazia che non ci sia pervenuta l'opera di Gioviniano: i nostri giudici avrebbero potuto usarla come vademecum etico per il perdonismo nazionale così di moda. Ma io preferisco la compagnia di San Gerolamo, il quale era certamente violento e fazioso, però aveva carattere e non somigliava per nulla ai tanti risuolatori di coscienze che oggi imperversano in ogni dove. Quale contrasto tra quel tremendo Padre della Chiesa e i chierici di oggi, azzimati e profumati come gli adulteri! Sembrano più confezionati da un sarto che trasfigurati dall'ascesi. Naturalmente San Gerolamo saltò agli occhi di Gioviniano e lo stritolò con l'opuscolo suddetto. E per dimostrare che anche i pagani erano contro il matrimonio, forse una contrazione di martyrologium, inserì nel suo scritto ampi brani di quello che Seneca aveva detto sullo stesso argomento. Insomma, come dice il bravissimo Mario Lentano, egli attinse «alla ricca tradizione pagana che aveva descritto le mo- lestie della condizione matrimoniale». E Seneca attacca: «Se le (alla moglie) affidi la gestione di tutta la casa, diventerai il suo schiavo; se invece riservi qualcosa per te, penserà che non hai fiducia in lei, comincerà a odiarti e a litigare e - se non provvederai per tempo - metterà mano ai veleni». Pare che le antiche romane non andassero troppo per il sottile nell'awelenare i mariti, perché, già a partire dal IV secolo a. C, si ha notizia di vari processi, spesso con vere e proprie batterie di imputate, a carico di donne che avevano scelto una via così spiccia per liberarsi del consorte. Le più inclini a questa pratica deliziosa erano le adultere, ammesso che nell'antica Roma ci fossero anche delle donne non adultere. A leggere certi autori, per esempio Giovenale, si direbbe di no. Il matrimonio è soprattutto sconsigliabile per l'uomo di studio, di pensiero, che basta a se stesso e non ha bisogno di compagnia: «Quanto infine alla solitudine, si tratta di un rischio che il saggio non corre mai: gli fanno compagnia i sapienti del presente e del passato, mentre la sua mente si muove libera in ogni direzione. Ciò che non può raggiungere fisicamente lo ab¬ braccia con il pensiero, e se non ci sono esseri umani con lui, parla con Dio (loquitur cum Deo); insomma non sarà mai meno solo di quando sembra essere solo». Per un uomo siffatto la presenza di una moglie, con i suoi capricci e le sue lamentele, deve suonare come una stecca intellettuale. Del resto è risaputo che il maschio e la femmina suonano quasi sempre su registri diversi. Anche sposarsi per avere dei figli, dice lo stoico Seneca, è da sciocchi, perché non sappiamo mai chi ci mettiamo in casa: «Eredi migliori e più sicuri si potranno trovare fra i parenti e gli amici, perché questi sei tu ad averli scelti dopo matura riflessione, mentre i figli sei costretto ad accettarli come sono: anzi, a dirla tutta, l'eredità più sicura consiste nel godersi, finché si è in vita, il denaro accumulato con tanta fatica, piuttosto che lasciarlo a eredi dei quali non si sa che uso ne faranno». Tema dominante di questi frammenti sono la sfrenata libidine delle donne romane e l'abdicazione dell'uomo al suo ruolo. Con una immagine sarcastica e feroce Seneca dice che era ormai l'uomo a nubere, cioè a coprirsi il viso con velo nu¬ ziale. E' un'immagine che fa il paio con quella, ancora più feroce e sarcastica, che troviamo nelle Lettere aLucilio (95.21). Qui siamo addirittura a un rovesciamento dei ruoli sessuali, perché sono le femmine a penetrare i maschi e non viceversa: viros ineunt. Citiamo: «Quanto a dissolutezze erotiche, non la cedono certo ai maschi. Dovrebbero essere soggette per natura, invece (possano gli Dei sterminarne la razza!) hanno inventato un così perverso genere d'impudicizia che viros ineunt». Allora, sposarsi o non sposarsi? La risposta a Schopenhauer, che ha molti tratti in comune con Seneca: «Sposarsi significa fare il possibile per venirsi a nausea reciprocamente». Non vi piace? Allora leggete quest'altra: «Chi si sposa giovane, più tardi si trascina dietro una vecchia; a chi si sposa tardi, toccano prima le malattie veneree e poi le corna». Ma soprattutto non si dimentichi che nessuno mai è riuscito a mettere in versi il matrimonio. E il lettore non me ne voglia, perché l'opuscolo di Seneca ebbe l'approvazione e la benedizione di un grande santo. Anacleto Verrecchia Una moglie prima o poi «comincerà a odiarti e a litigare e se non provvederai per tempo metterà mano ai veleni» CONTRO IL MATRIMONIO Seneca a cura di M. Lentano Palomar pp. 125 L 13.000

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