ONORE & VILTA' ALLA MAGIARA di Bruno Ventavoli
ONORE & VILTA' ALLA MAGIARA ONORE & VILTA' ALLA MAGIARA «Braci» di Sàndor Màrai LE BRACI Sàndor Màrai Adelphi pp. 181 25.000 ENRIK è ricco, forte, crede nella potenza dell'onore. Ed è presun tuoso. Konrad è povero, malmostoso, sensibile al linguaggio im preciso dell'arte, ferito dalla po verta. Ed è in fondo un vigliacco Si sono incontrati in una di quelle scuole militari che hanno reso po tente l'Austria-Ungheria, fornen do ufficiali devoti all'esercito ( storie tormentate alla letteratura. I due sono diventati amici attraverso la disciplina, le notti in camerata, le uscite nel gran mondo viennese. Poi è arrivata la vita, con i suoi disinganni e la sua violenza; la solidarietà s'è raffreddata, aprendo varchi al tradimento, all'odio, alla sete di vendetta. Complice una donna bella, rimasta selvaggia nell'animo e gelosa della sua indipendenza interiore; sposa dell'uno, amante segreta dell'altro. Le braci dell'ungherese Sàndor Màrai (scritto nel '42, ora da Adelphi nella maliosa traduzione di Marinella D'Alessandro) s'affida solo in apparenza all'arato e usurato tema del triangolo amoroso. Un altro romanzo di Màrai Divorzio a Buda venne tradotto da Baldini £V Castoldi l '38 ll t ll h nel '38, nella stessa collana che ospitava idilli all'isola Margherita, furtivi adulteri, piccanti naufragi coniugali, commedie leggere budapestine. In realtà l'opera di Màrai era assai refrattaria ai telefoni bianchi ungheresi che conquistavano il mondo attraverso cinema e romanzo. Preferiva naufragare in un pessimismo quasi sereno nella sua radicalità, raccontando quanto sia arduo valutare le pieghe dell'animo umano, e quanto sia impossibile stabilire verità a partire da moventi, gesti, azioni. Il romanzo di Màrai racconta due amici. Che, come duellanti conradiani, hanno divaricato le loro esistenze agli antipodi del mondo. Henrik si è sigillato in un castello con la fedele balia aspettando un perché. Konrad è fuggito ai tropici, dissipando l'esistenza tra foreste, coolies indolenti e sediziosi. Sono passati 43 anni, il mondo di ieri è crollato tra guerre, rivoluzioni, restaurazioni. E i due destini possono di nuovo incrociarsi per il volgere d'una sola notte, con l'arduo compito di ristabilire cos'è successo, di comprendere la fiammata dell'antico amore adulterino, di denudare le eventuali colpe del marito tradito. Ma questo thriller dell'animo non fornisce risposte. Si consuma al pari d'una candela (come nel titolo originale del romanzo) in un rabbioso e disperato monologo. Henrik dopo aver incalzato l'ex sodale, sopraffatto dalle proprie parole e dal tempo che scolorisce ogni sentimento, rinuncia quasi ad ascoltare la verità. Così come desiste dal leggere per la prima volta il diario segreto della moglie, unico passepartout oggettivo per i tizzoni interiori della donna, gettandolo nell'autodafé del caminetto. Perché? Perché ha intuito che ogni passione mostra cruda e spontanea la sua verità. Dà senso alla vita, brucia in eterno corpo e cuore, divampa indipendente dalla persona amata, ma soprattutto è refrattaria alla gabbia delle parole, non si lascia addomesticare dalla ragione. Màrai, fratello del regista cinematografico Geza von Radvànyi, padrone di un'esistenza inquieta, nacque a Kassa nel '900 (oggi Kosi- ce, in Slovacchia). Si formò nell'impero multiculturale degli Asburgo, e fu uno dei tanti ingegni a sentirsi spiritualmente mutilato dalla prima guerra mondiale. Quando tutto si frantumò in una congerie di Stati inorgogliti da violenti nazionalismi, e la sua Ungheria fu ridotta a un terzo del territorio da un ingiusto trattato di pace (Kassa passò alla Cecoslovacchia), Màrai era a Budapest per studiare legge. Figlio naturale della borghesia, si trovò orfano della sua classe sociale, esiliata dal mondo prima dalla rivoluzione bolscevica, poi dal fascismo, poi dalla guerra e dal regime comunista. Màrai lasciò l'Ungheria di Horthy nel '19, per girare l'Europa. Tornò in patria pochi anni dopo, pubblicò decine di romanzi e migliaia di articoli. Mentre molti colleghi migrarono intuendo nuove catastrofi, lui rimase nella propria stanza budapestina fino al '48, finché i comunisti presero il potere. Ritornò nel mondo, a Posilhpo (scrisse anche un libro dedicato al sangue di San Gennaro), a New York, a Salerno, a Londra, in Canada, in America. Continuò a scrivere, in ungherese, nella sua lingua marginale. Rifiutandosi di conquistare fama posticcia attraverso la sventura dell'esilio o della dissidenza politica (come fecero molti altri mediocri autori dell'Est ai tempi del mondo diviso in blocchi), sapendo di non poter contare nemmeno sul suo pubblico domestico (i riconoscimenti sono arrivati solo postumi, adesso). Nell'89, alla vigilia della svolta democratica nei Paesi dell'Est, si sparò un colpo. Fedele all'idea che si va sempre incontro al proprio destino, che aspettare una verità è più importante del possederla. Come nota Marinella D'Alessandro nella postfazione, impugnò la pistola del suicidio 41 anni dopo l'inizio dell'esilio, esattamente quanto Henrik, il protagonista delle Braci, aveva atteso la spiegazione dell'adulterio che gli aveva incendiato la vita. Bruno Ventavoli LE BRACI Sàndor Màrai Adelphi pp. 181 25.000
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