«TRAMATE, TRAMATE MA IL SALONE VINCERÀ'»

«TRAMATE, TRAMATE MA IL SALONE VINCERÀ'» PERSONAGGIO «TRAMATE, TRAMATE MA IL SALONE VINCERÀ'» Guido Accornero si difende e passa al contrattacco TORINO arrivata dopo Pasqua la vera settimana di Passione per Guido Acconero, padre fondatore del Salone del libro: costretto a dimettersi da amministratore delegato, deciso a non mollare la sua creatura. Mancano poco più di due settimane all'apertura, 1000 editori il 21 maggio al Lingotto, dovremmo esser qui a parlare di libri e convegni ed invece eccoci aggrovigliati in polemiche amministrative e finanziarie, liti strapaesane e duelli rusticani, sgarbi quotidiani e sfregi da stranamore. «Bufera sul Salone», «Bilancio in rosso, futuro in nero», «Salone in crisi di identità», hanno titolato i giornali. All'origine, accuse di cui si è fatto fromboliere un politico subalpino di Alleanza nazionale: deficit per un miliardo, nepotismo, ulivismo. L'imputato Accornero gira con una borsa zeppa di dossier, come in un legai thriller di Grisham. Cosa ha da dire a sua difesa? «Dovrei risalire al primo Salone della Musica. An denunciò presunte cuscriminazioni, un mio "affronto" al consigliere musicale dell'on Fini, presentò interpellanze in Par lamento. E non ha più smesso». Ma il buco di bilancio? «C'è: documentato, trasparente. Perché abbiamo investito. L'anno scorso al Salone del Libro destinammo circa 400 milioni per strutture che ora ritroviamo già pronte: metà per ospitare il Paese straniero, la Francia, e metà per il Whorkshop professionale, u Caffè degli editori. Al Salone della Musica abbiamo sfondato di circa 500 milioni le previsioni, prudenti, per la pubblicità e per l'organizzazione dei concerti. Per far decollare la manifestazione. Ricordo che al primo Salone del Libro spendemmo per il lancio pubblicitario un miliardo e mezzo. E ci trascinammo un deficit di 700 milioni». Dunque non c'è stata una «sua» cattiva gestione? «Ho sempre deliberato e firmato insieme al consiglio e al suo presidente. Insieme si è deciso come far fronte al continuo aumento delle spese, ai costi di gestione, alle richieste di migliori iniziative sollecitate dagli editori. E, in proporzione, non si può dire che i contributi pubbbci siano cresciuti». Quanto al nepotismo, all'aver favorito interessi di famiglia... «Confesso che uno dei miei figli, biologo, bravissimo coi computer e appassionato pianista, mi ha dato ottime consulenze, regolarmente registrate, che ci hanno anche fatto risparmiare quattrini (ad esempio per realizzare il catalogo degli espositori). Per di più si è innamorato di una ragazza che lavora con noi al Salone. E allora?». Le si contesta un gioco di fusioni finanziarie, tra lei e suo figlio, quando ha ceduto il marchio del Salone alla Fondazione. «Ma che gioco e gioco! Operazioni normali, alla luce del sole. Com'è normale che io volessi essere pagato da chi voleva comprare una mia proprietà». Resta l'accusa di ulivismo. «Senta, non ho mai militato in par¬ titi politici. Da giovane, nel '48 ho affisso manifesti per i liberali. Poi mi sono sempre considerato un repubblicano. Nel Salone, non ho mai scelto un collaboratore né deciso un'iniziativa per ragioni ideologiche. Ho escluso in più occasioni chi voleva fare del Salone una ribalta politica, nera o rossa che fosse. Ho sempre avuto una sola bussola, la professionalità, la qualità delle idee. Fanno fede i nomi dei consulenti, da Adalberto Chiesa a Alessandro Baricco, da Beniamino Placido a Franco Cardini e agli altri membri dell'attuale comitato culturale, Einaudi e Scheiwiller, Colombo e la Marami, Berselli, Calabro». Avrebbe dovuto esserci anche Costanzo... «Appunto. Perché è un maestro della comunicazione, non per il bilancino della politica. Mi dispiace si sia dimesso per i suoi troppi impegni». Davvero nessun retroscena... «Nel modo più assoluto. Il suo nome l'aveva fatto Bea Marin e mi aveva convinto». Ecco, Bea Marin: doveva essere la nuova direttrice del Salone, è stata declassata a coordinatrice, adesso ha già annunciato che dopo maggio se ne andrà. «Già, ho letto. Vedremo quel che deciderà il Consiglio nei prossimi giorni, potrebbe finire anche prima 'sta storia». Brutta storia: non c'entrano le manovre politiche, qui siamo al palese dissidio interno, alla frattura professionale. Com'è potuto succedere? «Bea lavorava con noi già da alcuni anni. Quando Beniamino lasciò, ci sembrava la più indicata per questa fase di transizione, per aiutarci a conciliare le due anime del Salone, il mercato e la cultura. E poi, essendo lei una milanese, in ottimi rapporti proprio con quegli editori che da sempre ci invidiano il Salone e vorrebbero portarlo via da Torino, poteva fare da ponte, superare masochistiche rivalità. E invece...». Ora è lei che denuncia trame? «Lasciamo perdere. Non alimento sospetti. Mi limito a dire che è stata una delusione. Forse si credeva di diventare il successore unico di Placido, l'elemento clou del Salone. Cercava un'affermazione personale. Si è rivelata un disastro organizzativo. Avrei dovuto accorgermene prima». D'altra parte, il suo organizzatore di fiducia, Paolo Verri, l'aveva lasciata per l'Aie e di lì non ha risparmiato critiche al Salone. «Lui svolge, e bene, il suo ruolo. Ce l'han portato via proprio per cercare di organizzare un Salone tutto professionale a Milano. Comunque l'Aie non è l'editoria italiana, colossi come Mondadori, Longanesi, Giunti la ignorano». I suoi rapporti con gli editori non sono dei migliori. «Falso. Mi sono limitato a difendere il Salone di fronte a richieste inaccettabili». Ad esempio? «Ridurre la durata a quattro giorni. Già: per poi stigmatizzare il calo di visitatori e ripetere che è ora di andare a Milano. E insieme la pretesa, assurda, di ridurre i costi del 25%. Con in più la richiesta di aggiungere il loro nome in ditta...». Alcuni editori, Baldini & Castoldi, Laterza, hanno lamentato una sua sordità alle loro esigenze pratiche, vitali. «Dalai me l'ha giurata da quando gli impedii di vendere il libro di Ligabue all'Auditorium. Mi rimproveravano tutti che le due aree del Salone non comunicavano, che chi andava ai convegni poi non girava a comprare libri negli stand. Gli altri mi avrebbero scarnificato, meglio scontentarne uno. Laterza d'altro canto ha dichiarato che il libro vuole silenzio. Ma non tutti i libri sono uguali: vista la concorrenza degli altri media, un certo fracasso è necessario e salutare». Torna la querelle dialettica tra le due anime del Salone, la fiera commerciale e il laboratorio culturale. Non sembra che i due nuovi comitati siano riusciti a trovare una sintesi. Ricambierà formula, tornerà al consigliere unico? «No. Bisognerà ridurre il numero dei consulenti, inserire persone più giovani, suddividere bene i compiti. Ma la formula è giusta, è la nostra specifica identità: promuovere la lettura come risorsa sociale. Certo ci vorrebbe più coerenza da parte di tutti. Quegli editori che si preoccupano solo di vendere, dovrebbero essere i primi a non snobbare l'attrattiva della kermesse, a portare numerosi i loro autori e magari ad evitare che quasi in contemporanea al Salone si celebrino Feste del libro con supersconti». Insomma, da imputato a vittima? «Mi domando solo se davvero qualcuno crede che basti far fuori Accornero per risolvere i problemi del Salone». Luciano Genta L'ex amministratore delegato: «Ho sbagliato persona, dando fiducia a Bea Mark, ina la formula è giusta» «Ho speso per itwestire, facendo scelte culturali, mai partitiche; mi sono scontrato con gli editori per difendere Torino» Bea Marini UNGE FELTRINELLI: «SONO CELOSA NON CONTRARIA» CARO Tuttolibri, non sono mai stata contro il Salone del Libro di Torino, anzi, sono stata uno dei primi sostenitori entusiasti di questa importante iniziativa, e ho convinto tanti amici editori stranieri, come Klaus Wagenbach, Christian Bourgois, Jorge De Herralde ecc., a venirci spesso. Non contro, dunque, ma naturalmente «gelosa», perché Milano non è mai stata capace di creare una simile istituzione. Se il Salone del libro di Torino dovesse morire sarebbe per me un vero dolore personale. Spero veramente che trovi una concreta formula nuova. Inge Feltrinelli li

Luoghi citati: Francia, Milano, Torino