GUIDO CONTI: LE MIE STORIE PADANE STRIZZANO L'OCCHIO A ZAVATTINI di Bruno Quaranta

GUIDO CONTI: LE MIE STORIE PADANE STRIZZANO L'OCCHIO A ZAVATTINI GUIDO CONTI: LE MIE STORIE PADANE STRIZZANO L'OCCHIO A ZAVATTINI IL COCCODRILLO SULL'ALTARE Guido Conti Guanda pp. 202 L. 26.000 PARMA ARLIAMO tanto di me. Parliamo tanto di lui. Ecco come si può e si deve accogliere l'esordio (o quasi: prove sparse non mancano) di Guido Conti: alla maniera del suo «maggiore», di Za, Cesare Zavattini, Luzzara e dintorni, biciclette e vasti, bizzarri, intrepidi pensieri. Il coccodrillo sull'altare, l'antologia di racconti padani appena varata, è la scommessa di Luigi Brioschi, direttore editoriale di Guanda, lesto a cogliere ciò che altri non hanno saputo apprezzare. Casa Einaudi, per esempio: «Facevo il carabiniere a Torino, raggiunsi con le mie storie via Biancamano. Giulio Einaudi abbozzò: "E' forse venuto ad arrestare Piero Gelli?". Vidi Gelli, gli lasciai il dattiloscritto, lo passò non so a chi, scattò il semaforo rosso». Trentatreenne, tesi di laurea su Camillo Sbarbaro discussa con Guido Gughelmi, un volto ampio, rusticano, generoso, Conti s'interroga: «Se vuoi imparare a suonare il violino un professore lo trovi. Ma se vuoi imparare a narrare? Arbasino, ancora di recente, lamentava la sohtudine che lo stringe, scomparsi gli amici, i sodali, le guide. La nostra generazione chi può rimpiangere? Dove sono i Maestri?». Una sorta di «suggeritore», a dire il vero, Guido Conti lo riconosce: Pier Vittorio Tondelli, che lo ospitò in «Under 25», terzo atto. «Ci "incontrammo" quando stava tornando alle radici, U vino, l'uccisione del maiale, le zolle. Se lui modellava la gioventù Anni Ottanta, io suscitavo u passato che tanto lo affascinava o ri-affiaschiava». Figura rara, Guido Conti, nelle Lettere d'oggi: «Cerco le fonti della narrazione dentro la mia terra. Distinguendomi dai molti che ignorano o rigettano la Tradizione, votandosi al vuoto. Senza memoria, senza carta d'identità, senza mappa, mentre occorrerebbe coltivare l'intuizione geografica di Dionisotti». Zavattini, si è evocato. Conti è uscito dalle biblioteche indigene con centosessantotto pezzi giornalistici di Za, dal 1921 al 1931, spesso nascosti in questo o quel numero unico, una miniera finora inesplorata. Verranno pubblicati nel '99, da Guanda, con u contributo di una banca - c'è un piccolo Mattioli -, la stessa che dovrebbe sorreggere la rivista «Il Raccoglitore», nel ricordo dell'omonimo foglio ideato da Mario Colombi Guidotti, direttore, va da sé, l'autore giovane. A Cesare Zavattini è dedicato il racconto di guerra «Morte sul Po», feroce, torturato, reciso, armonico, di un'armonia che affonda nelle viscere: il «passo» dell'intera galleria. Ulteriori dediche, ancorché nascoste, taciute, non difettano: «Componendo "Il nano e la spilungona" ho pensato a Loria. Il titolo è suo, l'ho scovato nell'indice di un libro immaginato e mai nato. Un modo di visitare e innervare il sogno di uno scrittore». L'ombra di Silvio D'Arzo si allunga nel «Prete» («Cosa sapeva la gente della sua solitudine, delle sue letture, delle sue preghiere»), pagine non avare, insieme, di echi felliniani. Giovannino Guareschi soffia un po' ovunque: «Sì, è un ramo del mio albero genealogico. Anche se l'inventore di "Mondo piccolo" - straordinaria invenzione, la capacità di decifrare nel privato catino l'universo mondo - era solito sbagliare i finali, come osservò Zavattini. Perché voleva suggellarli con una morale». E invece? «E invece un racconto è come un elastico, va teso, teso e ancora teso, sin quando sta per strapparsi: allora lo si conclude». (La morale, se mai, Guido Conti la sparge prima, come nel «Rosario»: il padre che dà una lezione cruda ai figli schifiltosi, facendo cuocere due uova nella padella sporca di gallinella, la merda di gallina, quindi ripulendo il tegame con il pane). Conti, che pure è ancorato a Hemingway (i bracconieri di «Cinghiali», i cacciatori disperati del perfetto «Toro nella pianura»), attinge copiosamente nello scaffale emuiano-romagnolo : «Il realismo alla Cavani, e dì Giuseppe Raimondi e di Silvio D'Arzo e di un certo Tondelli. E l'anarchia linguistica, i bombaroli del linguaggio: come il Tondelli di Altri libertini, il Celati della Trilogia, il Delfini di R fanalino della Battimonda)). No, non è la Parma placata che si culla in Proust, in Stendhal, in Balzac, la città di Guido Conti. Nel caffè «Orientale», già «Marchesi», siede felicemente, rammentando una lontana ora locale: «Si sarebbe dovuta svolgere una manifestazione marinettiana, le forze dell'ordine la bloccarono, i futuristi si ritrovarono qui, i sentimenti amplificati, le idee accese». Futurista, neo-futurista, Guido Conti lo è di sicuro. Perché ama le sfide, il rischio, gli esercizi arditi che troppi coetanei schivano: «Se non ci si ritaglia addosso un progetto, che ci impegni per quattro, cinque, sei lustri, possiamo dirci intellettuali? Io vorrei ripercorrere il nostro secolo sfogliando le vite arenatesi in un ospizio». Ecco chi dimenticavamo: Riccardo Bacchetti, H mulino del Po, il deposito immenso di fatiche che è, il cimento fra vita e letteratura che nessuno sapeva più osare. Bruno Quaranta Guido Conti, parmigiano trentatreenne, pubblica da Guanda la raccolta di racconti «Il coccodrillo sull'altare» (foto Giovannetti) COCCODRILLO SULL'ALTARE Guido Conti Guanda pp. 202 L. 26.000

Luoghi citati: Loria, Parma, Torino