E se Israele avesse l'atomica? di Mirella Appiotti

E se Israele avesse l'atomica? Il premio Calvino per l'inedito a uh thriller dell'ambientalista Paola Biocca E se Israele avesse l'atomica? Avventure fra politica, morale e sentimento A TORINO NCORA una volta Spagnol ci ha preso. Solo ieri il mago della nostra editoria dichiarava: «Non è vero che i nuovi narratori italiani non sanno costruire forti romanzi». Ecco una conferma. Dalla vincitrice dell'I 1° Premio Calvino assegnato ieri (dalla giuria, ogni anno diversa, composta da Clara Sereni, Enrico Deaglio, Silvio Perrella, Gianni Turchetta, Maria Nadotti) a Paola Biocca, quarantenne fiorentino-romana, di formazione scientifica e di convinto impegno ambientalista per il suo Deliberata ambiguità, spy story centrata sull'indagine che una ipotetica associazione mondiale per il disarmo conduce in Israele alla ricerca di una verità molto difficile sulla forza nucleare in possesso della nazione di Rabin e Netanyahu, impasto avventuroso tra politica, morale e sentimento. Ma di conferme, su terreno diverso, ce n'è un'altra: il Prix Calvino au Festival du Premier Roman, alla sua prima edizione dopo il gemellaggio Torino-Chambéry, al torinese non ancora trentenne Dario Buzzolan per Dall'altra parte degli occhi: scelto dai francesi tra i 10 finalisti del Calvino italiano, per la «densità e professionalità della scrittura, algida, sintatticamente dura, a grado zero del sentimento» con cui racconta la vita d'un uomo tra il 1966 e il 2026: infanzia nel New Jersey e tra i grandi del jazz, maturità nella Torino dei Mondiali del '90 e morte «in una ballardiana scarpata di superstrada in compagnia di un autostoppista marocchino» alla ricerca di un'identità oggi sempre più difficile. Una segnalazione che è quasi premio è poi toccata ad altri tre esordienti: due autrici che scandagliano l'infanzia, Marica Larocchi con La mangiatrice di voci, abile impasto di lingua e dialetti per raccontare le difficoltà di una bambina nella Trieste del dopoguerra; Antonella Cilento, napoletana, che in Ora d'aria ci porta tra le vite recluse, dall'infanzia alla maturità, in un orfanotrofio militare di Pozzuoli; mentre i 13 racconti del milanese Matteo Maglani II segno meno davanti uniscono l'eleganza e l'omogeneità dello stile a una forte tensione metafisica. Un'annata doc (468 manoscritti) per il Calvino che, secondo la Nadotti («premiando la Biocca ha fatto senz'altro una scelta originale. Forse coraggiosa, come coraggioso è questo libro, così innovativo nel panorama italiano e capace di maneggiare abilmente una materia caldissima». D'accordo Deaglio che legge «una forte competenza di quello che viene trattato in un romanzo di ossatura classica con un piccolo colpo di genio nella figura della donna ebrea», mentre a Clara Sereni piace anche che questa storia «alla Graham Greene» sia stata scritta da una donna. Ma quello che forse più conta è per Gianni Turchetta e per Silvio Perrella, due critici non facili alle lodi, il quadro complessivo che dal Calvino '98 esce (come conferma Delia Frigessi, anima del Premio) e cioè «una capacità di raccontare e di costruire un impianto narrativo articolato che non si ritrova soltanto nei due libri premiati. E' certo, sappiamo raccontare meglio, assistiamo al maturare di una civiltà narrativa che si è lentamente riformata dopo il "buco" degli Anni 60-70 e la fine delle avanguardie». Perché questa «civiltà» metta solide radici il Calvino ha compiuto quest'anno un esperimento singolare affidato agli alunni di la media della scuola «Don Milani» di Vigonza (Padova) che hanno scritto una serie di raccomuni con disegni ispirati alle Città invisibili di Calvino. Sono stati presentati ieri in fascicoletto (di fronte alla scolaresca in «gita»). Serve forse più questo che troppi premi letterari. Mirella Appiotti

Luoghi citati: Israele, New Jersey, Padova, Pozzuoli, Torino, Trieste, Vigonza