Suicidio di un vescovo di Fabio Galvano

Suicidio di un vescovo Voleva salvare un cristiano condannato a morte per offese a Maometto Suicidio di un vescovo Per protesta contro il Pakistan LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Un vescovo cattolico si è ucciso ieri in Pakistan per protesta contro la condanna a morte, pronunciata dieci giorni fa da un tribunale del Punjab, di un cattolico accusato di blasfemia nei confronti di Maometto. Monsignor John Joseph, che sarebbe dovuto arrivare oggi a Roma per partecipare al Sinodo speciale per l'Asia e che era noto per il suo ruolo attivo nelle battaglie per i diritti civili, si è sparato un colpo ' di pistola alla testa nel tribunale di Sahival, circa 700 km a Sud della capitale Islamabad: lo stesso in cui il 27 aprile era stata pronunciata la condanna a morte per Ayub Massih, colpevole di avere pubblicamente difeso lo scrittore Salman Rushdie nel corso di un dibattito in cui, secondo il prelato, persino alla religione si era ricorso per dirimere una banale lite su un terreno. Subito dopo quel verdetto il vescovo aveva minacciato una «sorprendente» protesta se il governo non avesse annullato la «ridicola» sentenza. Mercoledì Joseph, 66 anni, aveva raggiunto la città del Punjab per prendere parte a una veglia di preghiera per Ayub Massih. Poi aveva guidato una processione fino al tribunale. Aveva chiesto al parroco locale di accompagnarlo all'interno dell'edificio e si era quindi appartato in un corridoio. Pochi attimi dopo il colpo di pistola. «E' estremamente triste - ha detto ieri un portavoce della Chiesa cattolica pakistana, che conta circa 2 milioni di fedeli su una popolazione di 135 milioni - che la sua decisione ci abbia tolto il migliore del movimento per i di ritti umani in Pakistan, ma il suo messaggio è chiarissimo». A Roma è stato il presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, monsignor Trinidad, a dare la notizia, quando il cardinale coreano Kim ha interrotto i lavori. La notizia, riferiscono le cronache vaticane, ha lasciato tutti senza parole. Poi i prelati hanno intonato, in inglese, un Requiem per l'uomo che proprio oggi avrebbe dovuto prendere la parola con un intervento su «Violenza e fondamentalismo». «Non dobbiamo chiamarlo suicidio - ha commentato l'arcivescovo di Lahore, Emmanuel Yousuf Mani - perché il vescovo Joseph ha sacrificato la sua vita battendosi contro l'ingiustizia». Joseph era dal 1981 vescovo di Faisalabad, dove i suoi resti sono già stati portati. Aveva partecipato a due scioperi della fame: nel 1992, contro l'indicazione della religione sulle carte d'identità perché, a suo avviso, ciò avrebbe facilitato la discriminazione; e nel 1994 in seguito all'assassinio, da parte di estremisti islamici, di un cristiano accusato di blasfemia. La legge che ha portato alla condanna di Massih risale ai tempi della dittatura militare di Mohammed Zia ulHaq. Altri tre cristiani erano stati condannati a morte per blasfemia, fra il 1992 e il 1993, ma erano riusciti a fuggire all'estero. In altri casi la condanna era stata capovolta in appello. Di fatto nessuno è mai stato giustiziato per blasfemia: da tempo gruppi cristiani e alcuni governi occidentali premono sul primo ministro pakistano Nawaz Sharif affinché modifichi la legge. Massih resta, per ora, in carcere. Durante il suo processo la polizia aveva arrestato numerose persone armate che, si era detto, intendevano ucciderlo in tribunale. In una lettera pubbli- cata ieri dal quotidiano «Dawn», una sorta di testamento spirituale, il vescovo Joseph invita cristiani e musulmani a battersi insieme per l'abolizione deUa legge sulla blasfemia: «Dobbiamo agire con forza e unità d'intento, cristiani e musulmani, non solo per fare sospendere quella condanna a morte ma anche per la revoca della legge: senza preoccuparci dei sacrifici che dovremo offrire». Ma il governo, per ora, tace. Fabio Galvano I fedeli rendono omaggio alla salma del vescovo John Joseph suicidatosi per protesta per la condanna a morte di un cattolico

Persone citate: Ayub, Emmanuel Yousuf, John Joseph, Maometto Suicidio, Mohammed Zia, Nawaz Sharif, Salman Rushdie, Trinidad

Luoghi citati: Asia, Islamabad, Londra, Pakistan, Roma