Il pasticcio mediorientale di Hillary di Andrea Di Robilant
Il pasticcio mediorientale di Hillary L'esternazione provoca polemiche alla vigilia del vertice di Washington tra Israele e Anp Il pasticcio mediorientale di Hillary «Sì a uno Stato palestinese», il Presidente si dissocia WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Hillary Clinton «estema» sulla Palestina e mette in imbarazzo il Presidente proprio mentre l'amministrazione è impegnata in uno sforzo in extremis per sbloccare lo stallo nel processo di pace con un vertice a Washington la settimana prossima. Il «caso» è scoppiato dopo che la First Lady, rispondendo via satellite alle domande di alcuni ragazzi in un campeggio internazionale in Svizzera, si è sbilanciata e ha detto: «Alla lunga è nell'interesse di tutto il Medio Oriente che la Palestina diventi uno Stato». All'apparenza un giudizio banale - la nascita di uno Stato palestinese viene considerata da tutti come la naturale conclusione del processo di pace - ma che nel clima incandescente di questi giorni ha provocato un'improvvisa fiammata. L'uso della parola Palestina, poi, produce sempre nervosismo negli Stati Uniti, specie quando viene pronunciata alla Casa Bianca. In effetti, le parole di Hillary Clinton rappresentano un passo avanti rispetto alla posizione ufficiale degli Stati Uniti (lo status futuro dell'Entità palestinese dovrà essere deciso da israeliani e palestinesi). E l'uscita della First Lady ha costretto la Casa Bianca a correre ai ripari. Prima è intervenuta la portavoce di Hillary, Marcia Berry, per spiegare che quelle espresse ai ragazzi in Svizzera erano «opinioni personali». A ruota è sceso in campo Mike McCurry, portavoce del Presidente: «Le parole della First Lady non riflettono la posizione dell'amministrazione. La signora Clinton stava semplicemente rispondendo alle preoccupazioni genuine di quei ragazzi. Ed esprimeva una posizione personale». L'inviato americano per il Medio Oriente Dennis Ross si è recato ieri in Israele su richiesta di Netanyahu per spianare la strada al vertice di Washington. L'amministrazione insiste che prima del summit il governo israeliano dovrà accettare la proposta americana, che prevede il ritiro dal 13 per cento della Cisgiordania. Netanyahu, pressato dalla destra del Likud, insiste che una percentuale così alta minerebbe la sicurezza di Israele. E accusa l'amministrazione di voler dettare condizioni intollerabili e di essersi schierata nettamente dalla parte dei palestinesi. La disputa tra Tarnininistrazione e il governo di Netanyahu ha offerto un buon pretesto a Newt Gingrich, capo dei repubblicani alla Camera, per sferrare un attacco durissimo alla politica di Clinton nella speranza di pescare voti tra gli elettori ebraici in vista delle elezioni congressuali di novembre - i repubblicani rischiano di perdere la maggioranza. «Al punto in cui siamo l'anuninistrazione Clinton e Arafat sono schierati insieme contro Israele», ha dichiarato Gingrich ad un'apposita conferenza stampa. «L'amministrazione Clinton augura buon compleanno a Israele, poi ricatta il Paese per conto di Arafat». Ma non è solo l'opposizione repubblicana a criticare l'amministrazione per essersi messa, passo dopo passo, «dalla parte» di Arafat e «contro» Netanyahu. Il New York Times, particolarmente sensibile agli umori della Casa Bianca nei confronti di Israele, sottolinea che l'amministrazione ha ormai perso quel suo ruolo di «agente facilitatore» del processo di pace che aveva all'inizio «per diventare invece un negoziatore a pieno titolo, che siede dall'altra parte del tavolo di Israele». Andrea di Robilant Gingrich, capogruppo repubblicano alla Camera: «Il governo Clinton è schierato con Arafat contro lo Stato ebraico» Hillary Clinton con Sofia Loren e Flavia Prodi durante la cena ufficiale alla Casa Bianca per la visita del presidente del Consiglio
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