«Sette morti in casa mia»

«Sette morti in casa mia» LA STORIA IL PALASPORT PER OBITORIO «Sette morti in casa mia» «Che vivo a fare, ormai sono solo» LSARNO A casa dei morti è una palazzina bassa e tozza in via Cannellone, nella parte antica del paese. Fino a martedì era il palasport dove giocava il «Basket Sarno», ora sul parquet sono allineate le quarantasei bare in cui sono stati composti i corpi estratti dal fango venuto giù dalla montagna. Qui, da due giorni, si consuma il rito terribile del riconoscimento delle vittime. I familiari in attesa oltre i cancelli vengono fatti entrare alla spicciolata ed escono dopo pochi minuti, sorretti dai poliziotti, singhiozzando e gridando per un dolore straziante, insopportabile. Non regge lo spettacolo nemmeno il vecchio Vincenzo, da 25 anni becchino di Sarno. «Credevo di aver visto tutto, non mi ha colpito più di tanto neanche la scena del fango che ha invaso il cimitero e scoperchiato alcune tombe, ma questo è troppo», dice mentre si stropiccia gli occhi arrossati. Michele ha un compito ingrato, deve pulire i corpi e adagiarli nelle bare allineate sul parquet. Qui, fra due ah di agenti, sfila l'u- manità dolente dei vivi a cui tocca pronunciare un sì o un no. Ha dovuto dire sette volte sì Franco Crisaiolo, un muratore di 43 anni. Il fango gli ha rubato la moglie Lucia, le figlie Francesca e Stefania di tre anni e due mesi, la madre Lucia, una cognata, Maria, con i due figli Giovanni e Francesco discuoio. E ora, dopo il riconoscimento, se ne sta davanti al cancello, afflosciato su una sedia come un sacco vuoto, incapace di sentire le parole di conforto di un amico che lo abbraccia. Racconta con un filo di voce la sua storia e impreca contro «la morte bastarda che doveva prendere anche me». Dice che quel maledetto martedì, nel pomeriggio, la montagna aveva cominciato a sputare la melma sul quartiere Episcopio, dove abitava con la famiglia.. «Ero preoccupato, il fango cominciava a invadere la strada, ho chiesto a un poliziotto di darmi un consiglio, ma quello ha risposto: regolati da solo. Così ho deciso di portare Lucia, le bambine, mia madre e mia cognata con i figli a casa di un amico, U dottore Catalano». Raffaele Catalano, un medico in pensione, e la moglie Anna Cristiani, abitavano in un appartamento lontano dal quartiere Episcopio. «Ero convinto che lì sarebbero stati al sicuro - racconta Franco discuoio -. Ero tranquillo quando li ho salutati. Volevo tornare a casa per prendere le mie cose e portare via quel po' di soldi che conservavo in un cassetto, quando ho visto il fiume di fango scendere lungo il viale Margherita. Sono rimasto impantanato, non potevo nemmeno uscire dalla macchina». Quando è riuscito a mettersi in salvo, Franco ha avuto un solo pensiero. Raggiungere i suoi. «Ho camminato nel fango, ad un certo punto mi sono accorto che la casa dei Catalano non esisteva più: sparita, trascinata via dal fiume in piena». Sono morti tutti, anche il dottore e sua moglie. E Franco ha dovuto fissare per l'ultima volta quei volti per poi chinare il capo e dire «sì» ad un poliziotto che con un tratto di penna ha cancellato i nomi dall'elenco delle vittime. «La casa dove avevo portato i miei è crollata, mentre la mia è rimasta in piedi: se solo non avessi avuto la maledetta idea di portare la mia famiglia dai Catalano...», mormora Franco. Accucciato davanti al cancello del palasport, tra la folla dolente, un cane sembra in attesa del suo padrone. Ha un collare rosso, è un bastardino con il pelo marrone e lo sguardo che implora una carezza. Ha una ferita sul muso ancora sporco di fango. «Si chiama Pappone, era il cane dei Catalano - spiega un anico di Franco discuoio -. Se ne sta lì, tutto solo, da mercoledì mattina, come se sapesse che i suoi padroni sono stati portati nella palazzina». Una ragazza si avvicina a un agente in divisa. Ha lo sguardo preoccupato di chi si aspetta una notizia terribile. «Mi scusi, cerco mio cognato, si chiama Antonio Pe luso, non riesco a trovarlo». Il poliziotto dà un'occhiata al foglio che regge tra le mani, poi china 3 capo e mormora guardandosi le scarpe: «Mi dispiace, signorina, mi dispiace davvero. Suo cognato è qui». Fulvio IVÌilone Nel mare di fango che ha travolto i centri attorno a Sarno spuntano ambujanze e vetture

Persone citate: Anna Cristiani, Antonio Pe, Catalano, Franco Crisaiolo, Fulvio Ivìilone, Pappone, Raffaele Catalano

Luoghi citati: Sarno