L'orgoglio e la solitudine di Pippo di Oreste Del Buono
L'orgoglio e la solitudine di Pippo LA LETTERA Di O.d.B. L'orgoglio e la solitudine di Pippo Gentmo Sig. Del Buono, vorrei esprimere la mia opinione sul fatto che la cronaca registra il 27 aprile sulla tragica fine di Pippo di Lecce, che giustamente il prof. Crepet definisce «uomo logorato da un rapporto quotidiano con handicap e morte». Il giornalista Milone descrive la storia di un ragazzo buono che, pare alla fine di quelle venti ore trascorse in quella casa dove viveva l'ultimo dramma, ha portato a termine il suo progetto a causa del troppo clamore provocato dal baraccone invadente della tv e dei giornalisti. Ebbene, io intravedo qualcosa di più grave... Franca Demarchi, Torino LEI ha ragione. Quanto è accaduto è una cosa orribile che non si potrà dimenticare facilmente. Lei mi scrive, gentile Signora Demarchi: «Io intravedo qualcosa di ben più grave del fatto che i mass-media abbiano superato i limiti del buon senso immischiandosi troppo in quello che era il momento più terribile della vita di Pippo di Lecce. Intravedo una assenza assurda e incomprensibile delle istituzioni (prima del fatto stesso, non dopo!!) poiché è chiaro che c'era in lui una profonda sofferenza, dato che la sorella stava male. Oltre a questo dolore che lui "carattere buono e sensibile" sentiva in modo tanto intenso, si doveva portare dietro il pesante fardello di mantenerla perché costantemente ricoverata e bisognosa di cure. Tutto questo non gli permetteva più di vivere né psicologicamente né so- L'orge la soldi Pi oglio tudine ppo cialmente né fisicamente. Proviamo a immaginare come diventa la vita quando la depressione si impossessa della tua anima, del tuo corpo e non intravedi più soluzioni. Lui aveva l'orgoglio di non chiedere nulla a nessuno (però, non è certo che non abbia mai fatto ricorso ai servizi sociali o all'amministrazione per chiedere aiuto) e non ce l'ha fatta. L'arcivescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi, dovrebbe sapere che di depressione non si guarisce con le preghiere, ma, spesse volte, estirpando le cause si attenua il malessere che ti porti dentro da solo e piano piano si riesce a rivedere la luce e si può guarire o almeno convivere con essa. Esprimo non un'opinione professionale ma quella di una persona che vive i problemi propri e quelli di altre persone, poiché opera in una associazione che si occupa di insufficienti mentali. Tornando al fatto di cronaca, vorrei sapere, se possibile, perché una persona che si porta appresso tutta la vita il dolore di avere un fratello od un figlio disabile o psichicamente malato, debba addossarsi anche l'onere del mantenimento in caso di ricovero in istituto. Come si fa a lasciare fuori dalla porta di casa i malcapitati che incappano in certe tragedie?...». Oreste del Buono
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