«Nessuno credeva in noi, ce l'abbiamo fatta» di Renato Rizzo

«Nessuno credeva in noi, ce l'abbiamo fatta» Il Presidente a Stoccolma critica lo scontro Kohl-Chirac per la Bce: cosa direbbero De Gasperi, Schumann e Adenauer? «Nessuno credeva in noi, ce l'abbiamo fatta» Scalfaro: i nazionalismi non aiutano l'Europa a nascere STOCCOLMA DAL NOSTRO INVIATO I Grandi ci guardano. E non sembrano davvero contenti. Oscar Luigi Scalfaro evoca i padri nobili di questa Europa chiamandoli a giudicare i loro epigoni che si azzannano per una poltrona. «Che cosa avrebbero mai pensato De Gasperi e Adenauer, Monnet e Schumann» di questi politici così preoccupati di non vedere scalfito il proprio carisma in patria e così poco attenti a preservare da guasti genetici la nascita della nuova moneta? Nella lontana stagione dei sogni di unione si diceva: «Per l'Europa l'importante non è tanto sapere dove andare, quanto andare», ma queste risse per occupare il vertice della Banca Centrale equivalgono, nel giudizio del Capo dello Stato, ad un inopinato modo di segnare il passo. Quando, al contrario, dovremmo renderci conto che «c'è ancora molta strada da compiere». Il Presidente apre la seconda giornata della sua visita di Stato in Sve- zia lanciando dalla tribuna del Parlamento questa filippica che suona come condanna morale del faticoso accordo franco-tedesco raggiunto a Bruxelles. Discorso duro che sa, però, piegarsi alle ragioni della realpolitik e riconoscere che «anche se sarebbe ingiusto far finta di nulla», a episodi ormai avvenuti, apparirebbe incongruo «stracciarsi le vesti». L'importante è rendersi conto che «il domani è già oggi» e che «occorre impedire che sentimenti anche comprensibili di prestigio personale o nazionale possano emergere» a disseminare di trappole il cammino. Certo se è questo il mattino dell'Unione, se questo è il «termometro» che ne misura l'intensità di «spirito comunitario», non c'è da stare eccessivamente allegri. La staffetta annunciata tra Duisenberg e Trichet, sembra voler dire Scalfaro, non è ideale viatico per un buon viaggio. Anche perché è diffìcile affermare che «una persona considerata all'altezza di assolvere un certo compito» debba essere giudicata non in base alle capacità, ma «alla nazionalità». Il Presidente si sforza, comunque, di superare questa selva di «purtroppo». Di più. Invita a non fermarsi all'Europa della moneta e a scrutare, sull'orizzonte delle belle speranze, «l'Europa della politica e della gente». Parlando, nel pomeriggio, agli italiani di qui, motiverà il proprio relativo ottimismo legandolo all'impegno che ha dimostrato il nostro Paese: «Penso al '92, a tutta la strada in salita che abbiamo compiuto in questi sei anni. E penso che pressoché nessuno, tra gli alleati, era disposto a scommettere che ce l'avremmo fatta. Invece, no: eccoci tra i primi». Incombe, oggi, una nuova sfida, una sorta di nuova Maastricht: il lavoro. Il Presidente lo indica come primo traguardo per un Parlamento che voglia davvero assolvere il compito di difendere «le fasce più deboli». Si rivolge all'Assemblea svedese, ma le considerazioni sono ovviamente estese, se non esclusivamente dirette, agli eletti di Montecitorio e di Palazzo Madama. Aggiunge: «Ai parlamentari si chiede soprattutto fedeltà agli impegni presi, trasparenza, capacità di fare in modo che gli interessi dello Stato prevalgano sempre su quelli dei singoli o delle parti». Un concetto che, poco più tardi, precisa ai giornalisti: «E' dovere del Capo dello Stato non dico essere severo, ma rispettare sino in fondo lo norme e lo spirito delle norme», dice riferendosi alla legge sul finanziamento dei partiti che alcune settimane fa s'è rifiutato di controfirmare e che le Camere, in questi giorni, gli hanno rispedito modificata: «Attualmente l'ufficio giuridico del Quirinale, diretto dal professor Sechi, la sta riesaminando». Domandiamo: Presidente, qualcuno obbietta che una legge, pur senza copertura, dev'essere controfirmata «perché determinerà vantaggi»: «Non è giusto - è la risposta -. Quanti danni sono stati fatti, nel passato, in questo modo». E ora, se permettete, parliamo di donne: il Presidente guarda alla Svezia dove la presenza fernminile nelle istituzioni e nel governo è altissima e fa un paragone con l'Italia in cui, al contrario, viaggia su percentuali assai basse. Di chi è la colpa? A giudizio del Quirinale non è tutta da ascrivere agli uomini che, pure, «hanno le loro responsabilità». Spesso, infatti, è Eva a mettersi contro Eva: «Il mondo femminile non è sempre benevolo nei confronti di una donna che si inserisce in responsabilità politiche». Senza dimenticare, poi, un atteggiamento diffuso per cui «una donna può occuparsi solo di certi argomenti e non mirare ad incarichi di maggiore e più generale responsabilità». Citazione d'obbligo: Rosa Russo Jervolino per la quale, ai tempi dell'incarico di governo a Giuliano Amato, Scalfaro aveva suggerito il dicastero della Difesa: «Ricordo bene come fui guardato... proprio come se non si fosse trattato di mettere al posto giusto una persona con il cervello adatto a ricoprire quell'incarico». Renato Rizzo Il presidente Scalfaro con la regina Silvia di Svezia; nella foto accanto a destra, il re Carlo Gustavo