Biagi: questo mondo, che malumore di Enzo BiagiOsvaldo Guerrieri
Biagi: questo mondo, che malumore Esce «Ma che tempi», nuova raccolta di storie, ritratti e impressioni Biagi: questo mondo, che malumore La Loren, Lady Di, Prodi e il diario della memoria II A che tempi leggiamo sulla copertina del nuovo libro di Enzo Biagi (Rai-Eri Rizzob). E' la frase sconfortata che ascoltiamo sempre più spesso. E' rintercalare acido di chi sa collocare il bene, e forse la febeità, soltanto nel passato. Quando lo senti sibilare, è quasi sicuro che trovi accanto a te uno scettico, un deluso, un tradito. Magari un moralista. Difficile credere che qualcuno, in vena di allegria, venga fuori con questa esclamazione. Ma è così anche con Biagi? Questa raccolta di pagine rapide e persino fulminee, questo centone di ritratti, di impressioni, di memorie, portano l'impronta degb ultimissimi anni, anzi ne sono una specie di diario affettuoso, irritato o sarcastico. Ma fino a che punto è un'opera al nero? «Di positivo c'è che, in fondo, io appartengo a una generazione che ha visto il tramonto di tre ideologie», dice Biagi. Allude alla fine del fascismo, del nazismo, del comunismo. Tuttavia l'elenco delle cose non solo accettabili, ma in qualche caso grandiose, non pare breve. Prova ad elencarle. Dice che l'Europa era famosa perché era il posto di tante guerre, oggi è un continente unito. Una volta la vita media di un uomo era di 40-45 anni, «e io sono la prova che il dato è stato smentito». «Ho visto abbattere il Muro di Berlino e ho visto la gente portar via i mattoncini». «Se mi guardo attorno, devo constatare che nel mondo non ci sono mai stati tanti scienziati quanti ne abbiamo oggi». «Abbiamo avuto modo di vedere in diretta Ruby ammazzare Lee Oswald: un prodigio della tv». Il libro è diviso in tre sezioni. La prima è Persone e ricordi. La seconda e la terza sono dedicate a Rai, Mediaset e media: di tutto, di più e al Circo Italia 81. Tutto ciò va a comporre «il grande romanzo che si scrive ogni giorno» e nel quale «ognuno di noi può mettere una parola». Soltanto una parola? Non è un po' riduttivo? «Ogni vita ! è talmente preziosa... In ogni vita c'è la scintilla dell'eternità, che può essere un figlio, una ragazza intravista in treno, la meraviglia di ogni mattina. E di questa preziosità tutti sono testimoni. Tutti guardano, non tutti sanno vedere». Che sia un'assuefazione alle cose, o una malinconica mancanza di curiosità? «Chi, pur guardandola, sa vedere la televisione? Il giornale è anche un margine bianco che tutti possono riempire. Nelle cose del mondo c'è sempre un che di autobiografico. "I care", dicevano una volta i giovani americani. "Mi riguarda". Ma pochi oggi riescono a dire "mi riguarda", fanno le cose meccanicamente. Io, i peccatori espresso, b detesto, non hanno personalità». E gb altri peccatori, quelli che nel peccato mettono coscienza e passione? «Questi altri hanno più possibilità di ricevere misericordia». Però non c'è di che rallegrarsi. «Il nostro tempo è segnato da poca speranza e da poca ideologia. E la cosa ci spegne un po'. Oggi si possono ordinare vo¬ dka e Coca-Cola insieme». Lei ama definirsi «uno speciahsta in niente». Lo scrive anche nella prefazione di Ma che tempi. E' una civetteria? «Abbiamo vissuto il tempo dei pobtologi, abbiamo i sociologi, i filosofi, i tuttologi. Io sono solo un cronista. Ma Guareschi diceva: un articolo su Rasputin si legge sempre, è come una romanza. Io sono un testimone del mio tempo e posseggo solo la memoria». Questo libro sembra seguire la dinamica e la grammatica deba memoria: procede per frammenti, per lampi. «E' cosb. Nei suoi flash, la memoria Ulumina un'infinità di persone e di avvenimenti. Primo Levi incontrato in un ufficio della Einaudi, Sofia Loren, Fellini, Mastroianni, Rock Hudson e Jean Marais che avevano ormai perso la grazia della giovinezza, «ma avevano acquistato in recitazione». E poi Berlusconi, Prodi, Scalfaro, Bossi, D'Alema con i comprimari del teatrino pobtico. E ancora i vizi del nostro Paese, l'ingresso in Europa dopo aver vinto le comprensibib perplessità: «Come si può prendere sul serio un Paese che al Nord chiama "uccello" quebo che per il Sud è un "pesce"?». Le riflessioni su Lady Di e sul suo melanconico destino. Biagi non si scandabzza, non s'indigna. Osserva sempbcemente che «il mondo ha sempre avuto bisogno di favole» e che «neba storia di questa infehee ragazza, tutti hanno venduto la loro parte». Lo immalinconisce soltanto il pensiero dei figb: «Il padre può avere un'altra mogbe, e magari l'aveva già, loro non possono più avere un'altra madre». Ma il ricordo più toccante, quebo che non vorrebbe mai dimenticare? «Un bambino dell'orfanotofrofio di Sarajevo: era piccolissimo, mi allungava le braccia, mi chiedeva di prenderlo e di portarlo via. Se mia figlia non avesse già adottato due bambini... L'ho lasciato lì. Spero abbia avuto un buon destino». Osvaldo Guerrieri «Metto la mia parola nel gran romanzo che si scrive ogni giorno» «Poca speranza, poca ideologia: e allora ci spegniamo un po '»
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