piovene zangrandi in guerra col passato di Guido Piovene

piovene zangrandi in guerra col passato Affrontarono in modo opposto i giovanili compromessi con il fascismo: due libri ne ripropongono il tormentato percorso piovene zangrandi in guerra col passato 771E edulcorare il proprio L < passato imbarazzante, % nobilitarlo, ridisegnarlo il sulla base di solide e inathJLÌ taccabili giustificazioni, oppure rifiutare la carta dell'autoindulgenza, reimmergersi con voluttà autocritica nel se stesso di ieri, promuovere un autoesame spietato e senza melensaggini nostalgiche. Se insomma adottare il modello di Ruggero Zangrandi, dell'intellettuale che ha descritto il «lungo viaggio attraverso il fascismo» di una generazione animata da generose passioni e perciò destinata a vivere, dopo la più cocente delle disillusioni, la stagione del riscatto e della redenzione attraverso il contatto magico-politico con i più fieri avversari dell'«errore» fascista, vale a dire i comunisti. Oppure seguire il modello scelto da Guido Piovene, rifiutare quell'autocritica stentata e assolutoria che consiste in una sequenza infinita di «rimorsi a ripetizione», «confessioni strascicate», «distacchi incompleti»: insomma il «passato rimasto in gola» che Piovene deplorava nel suo La coda di paglia, il libro-testimonianza con cui l'autore delle Stelle fredde decise di fare i conti con se stesso e con il proprio passato di intellettuale «compromesso» con il fascismo. Mentre la scena politica è dominata dai fantasmi del passato con cui, allo scadere del Novecento, sono costretti a fare i con ti gli eredi dei due totalitarismi del secolo, una scelta editoriale (molto più di una fortunata coincidenza) permette di suggerire un confronto ravvicinato tra Zangrandi e Piovene e di riaffrontare un nodo cruciale e doloroso per un'Italia che ha sempre esitato a fare fino in fondo i conti con se stessa: il nodo dell'adesione massiccia al fascismo, al culto del suo Duce e agli imperativi del suo regime. Baldini & Castoldi ripropone infatti in questi giorni, nella collana «Storie della storia d'Italia» diretta da Oreste del Buono, La coda di paglia di Piovene. E la stessa casa editti ce, sempre nella collana di Del Buono, manderà domani in libreria una versione aggiornata e ampliata della biografia di Zan grandi (con il nuovo titolo Fuori dal coro) scritta e pubblicata quattro anni fa da Aldo Grandi per l'editore Abramo. Una febee congiunzione edito riale (ulteriormente insaporita dalla decisione di Mursia di ripubblicare in questi giorni La tradotta del Brennero di Zan grandi) che testimonia di un eli ma politico-culturale in cui i rapporto difficile e irrisolto con il passato viene ad assumere un importanza decisiva in un Paese che si sta interrogando sulle origini più profonde della propria identità e sui modi con cui sono state affrontate (e rimosse) le grandi tragedie del secolo. Ma si tratta di una simultaneità che allude, forse involontariamente ma con una sensibilità particolare alle connessioni nascoste che formano la trama invisibile della nostra memoria collettiva, ad altre, significative coincidenze. E' da notare il fatto, per esempio, che sia La coda di paglia sia l'edizione corretta e in parte riscritta dello zangrandiano Lungo viaggio attraverso il fascismo nanno uno stesso anno di pubblicazione: il 1962. Il «caso Piccardi» Coincidenza certamente curiosa ma che viene resa ancor più interessante dal fatto che soltanto un anno prima, nel 1961, era uscita la Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Renzo De Febee, premessa per la conflagrazione di quel «caso Piccardi» che avrebbe portato, dopo la rivelazione defebeiana delle compromissioni di Leopoldo Piccardi con il fascismo, alla scissione del partito radicale e del gruppo che si era stretto attorno al Mondo di Mario Pannunzio. Nel giro di pochi mesi, insomma, sono usciti in Italia i tre libri che hanno riaperto ferite che sembravano guarite o dimenticate, reinnescando uno psicodramma destinato a esacerbarsi malgrado la maggiore distanza temporale con gb eventi fatti oggetto di discussioni, scandali e denunce. E' lo stesso Piovene a chiedersi, nella premessa della sua «confessione», come mai «la mia persona sia degna, all'improvviso, di così reiterate, scrupolose verifiche» attraverso un forsennato rovistare archivi e giornab a oltre quindici anni di distanza dalla fine del fascismo: «Posso stupirmi che questa specie di processo alla mia attività di allora sia stato organizzato adesso, non all'uscita dal fascismo e dalla Resistenza, di fronte ai morti e alle macerie quando il fascismo e la sua opera erano oggetto di abominio di tutti». Lo stesso stupore che attanaglia Zangrandi allorché, a quattordici anni dalla prima edizione del Lungo viaggio, scopre che nel frattempo nessuna passione si è decantata e raffreddata tanto da incontrare, come viene messo in luce nella biografia di Grandi, lo stesso muro di censure, sospetti, diffidenze e ostibtà che Zangrandi aveva incontrato nel 1948, con la prima versione einaudiana del suo libro. Subito dopo la guerra era stato il gruppo dirigente del pei ad ahmentare un atteggiamento di omertà nei confronti di un libro che sottolineava l'entità del consenso giovanile nei confronti del regime fascista, portatore di un messaggio «rivoluzionario» e «antiborghese» destinato a solle¬ ticare l'entusiasmo di un giovane Zangrandi che tra l'altro era compagno di scuola di Vittorio Mussolini e frequentatore di Villa Tbrlonia, residenza romana del Duce. Quella volta era stato Palmiro Togbatti a «salvare» Zangrandi con una recensione favorevole del suo libro apparsa su Rinascita. Ciò che non impedì la scomparsa del libro daba circolazione e l'ostinato rifiuto dell'editore Einaudi di riproporre un libro che non sarebbe stato riproposto senza l'intervento dell'«eretico» editore FeltrineUi. E non impedì nemmeno, come appunto viene documentato nella biografia zangrandiana scritta da Grandi, il riprodursi del medesimo gelo che aveva accolto la prima edizione del libro e di un secondo, energico intervento di Palmiro Togbatti a favore di Zangrandi. La storia delle «coincidenze» editoriali dice dunque che nell'Itaba dei primissimi Anni Sessan¬ ta l'iper-reattività sui temi del fascismo e della memoria del passato era ancora vivissima, gli animi erano tutt'altro che pacificati e le passioni tutt'altro che estinte. Anzi, un evento pobtico aveva provveduto a riattizzarle e a riportarle a una temperatura incandescente: i fatti del luglio '60, i moti di piazza contro il governo Tambroni appoggiato dal movimento sociale che doveva celebrare a Genova il suo congresso. Quella data rappresenta una data spartiacque nella coscienza collettiva e nell'immaginazione politica giacché segna la rinascita di un «paradigma antifascista» che negli anni precedenti appariva sbiadito e depotenziato e insieme la «riespulsione» del neo-fascismo dai confini che delimitano il campo della legittimazione democratica. Il passato che non passa E' questo il terreno che Piovene sente brontolare, come presagio di un nuovo terremoto che avrebbe traumaticamente riaperto il capitolo del «passato che non passa» e riconsegnato le memorie individuab e coUettive al centro della scena. Ed è su questo terreno che si spalanca la divergenza d'approccio e di atteggiamento nei confronti del passato di Zangrandi e di Piovene. Zangrandi raccontava infatti una vicenda di illusione e delusioni, di entusiasmi e di repentine cor- rezioni di rotta. Ma raccontava una storia di giovani che sì s'erano sbagliati ma s'erano sbagbati pur sempre con generosità e ardore non disprezzabib. Giovani che avevano creduto: male, ma avevano creduto. Che si erano lasciati ingannare da chi prometteva la giovinezza dei popob e la fine del mondo vecchio e decrepito. Giovani che poco a poco avrebbero riconosciuto l'errore e avrebbero indirizzato altrove entusiasmi e slanci utopici. Altrove: ovvero verso chi, come i comunisti neUo schieramento antagonista a quello del fascismo, sembrava incarnare le stesse ragioni dell'entusiasmo così generosamente profuso in gioventù. La storia raccontata da Piovene appare invece impastata di materiali tutt'affatto diversi. Piovene si scaglia contro la «favola» del «finto candore» e della «mozione della buona fede». Altro che favola: «Non accetterò mai di far passare come un periodo di fede delusa quello che, fuorché negli stupidi (magari stupidi entusiasti fino alla fine), fu un periodo di umiliazioni, autoinganni, patteggiamenti, pensieri oscuri, confusi ma sempre depressi, tentativi di sdoppiamento, divisioni della propria vita in una parte falsa e una parte vera, cercando di assolversi della falsa con quella piccola parte che restava vera». Guido Piovene, nato nel 1907 (otto anni prima di Zangrandi, e forse si tratta di un divario d'età decisivo), racconta un'esperienza di «menzogna consapevole» e di tortuosa «diplomazia interiore» che appare lontanissima da quella fatta di entusiamo e ardore di chi aveva compiuto e raccontato il suo «lungo viaggio attraverso il fascismo». E tuttavia l'elemento di dolore, di vergogna, di veemenza accusatoria contro il Piovene che s'era piegato al punto di recensire favorevolmente un libello antisemita di Telesio Interlandi, quella lunga «coda di paglia» porta lo scrittore, nei primi Anni Sessanta, a rifiutare un atteggiamento di durezza antagonistica nei confronti di quei comunisti che avevano accolto, sia pur tra mille ostacoli, il «transfuga» Zangrandi. Come a voler chiudere i conti con il Piovene di «prima» attraverso il riconoscimento dei protagonisti di primo piano della lotta antifascista. Come a voler saldare, attraverso la simpatia per il partito scelto anche da Zangrandi, un'ultima «coincidenza» tra due ex fascisti in guerra con il proprio passato. Pierluigi Battista Nella testimonianza «La coda di paglia» il primo accusa è si autoaccusa senza pietà Lo scrittore: altro che fede delusa, sono stati tempi di autoinganni, pensieri oscuri e confusi ma sempre depressi odo opposto i giovanili compromessi con il fascismo: due libri ne ripropongono il tormengiovinemondo vani chriconosindirizzslanci Qui a fianco Ruggero Zangrandi, nella foto a sinistra Guido Piovene

Luoghi citati: Genova, Italia