In notturna la Camp David di Blair di Fabio Galvano

In notturna la Camp David di Blair Londra: i leader di Israele e Anp discutono un compromesso, restituzione dell' 11% dei Territori In notturna la Camp David di Blair Continuano oggi i colloqui Netanyàbu-Arafat-Mbright LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Poteva essere la fine di ogni speranza. Invece dal vertice per il Medio Oriente a «tavoli separati», caparbiamente voluto da Tony Blair, potrebbe emergere il germe di un nuovo dialogo fra Israele e i palestinesi. «Missione impossibile», era stata definita alla vigilia quella del premier britannico e del segretario di Stato americano Madeleine Albrìght alle prese con Benyamin Netanyahu e Yasser Arafat; ma con il passare delle ore, in una raffica di incontri bilaterali che ha dato a quest'iniziativa diplomatica il sapore della maratona in una Londra assolata e semideserta per la giornata festiva (il Primo Maggio qui si celebra il primo lunedì del mese), si è gradualmente fatta luce - semplicemente perché non c'era stata rottura l'ipotesi che qualcosa si stesse muovendo. «Non c'è ancora alcun progresso reale», ha detto Arafat, apparso fisicamente fragile, alla conclusione del suo incontro con la Albright, mentre questa riprendeva la gimkana nelle vie di Londra per un secondo incontro con Netanyahu. Ma in contemporanea lei lo smentiva: «Sono un pochino più ottimista». Salvo farsi a sua volta smentire qualche ora dopo. E quando anche Tony Blair è rientrato in gioco, con tre telefonate ai tre protagonisti del vertice, si è capito che la girandola negoziale era stata tenuta in vita, che i colloqui sarebbero proseguiti oggi. Ci sarà anche un incontro - il primo dopo sette mesi - fra Arafat e Netanyahu, con la Albright arbitro e non messaggera? Per tutta la giornata ottimismo e pessimismo si sono misurati con il bilancino, fra silenzi e mezze parole. Ed erano i silenzi, dopo i «no» della vigilia, ad accendere le speranze. Perché le parole continuavano a riflettere un conflitto di cifre: il 13 per cento dei territori della Cisgiordania che Israele, stando alla mediazione americana, dovrebbe restituire ai palestinesi; il 9 per cento che Gerusalemme è disposta a cedere, negando di infrangere gli accordi di Oslo; l'I 1 per cento - una sorta di compromesso nel compromes- so - che Netanyahu accetterebbe se anche Arafat convergesse. Non sono differenze marginali. Ogni punto percentuale rappresenta 55 chilometri quadrati, un'area come quella di Tel Aviv. Ma accanto a quelle cifre, inevitabilmente, c'erano anche altre pedine negoziali in quello che re Hussein di Giordania ha definito «il momento della verità». Pedine come il blocco degli insediamenti, l'apertura dell'aeroporto palestinese nella striscia di Gaza, la costruzione di una zona industriale fra Israele e Gaza. La giornata è cominciata con un breakfast di lavoro, a Do- wning Street, fra Blair e Netanyahu: mi incontro che un portavoce ha definito «amichevole, utile e costruttivo», in cui il premier britannico ha invitato l'ospite israeliano a un atto di «coraggio e buona fede» per rimettere sui binari il moribondo processo di pace. Blair, è stato detto, ritiene che l'ipotesi americana di compromesso sia realistica. Ma Netanyahu ha subito gettato acqua sul fuocherello della speranza: «Abbiamo già fatto un passo in più, anzi siamo andati oltre. Ora tocca ai palestinesi fare lo stesso». Un riferimento all'ipotesi dell'I 1 per cento, che per Arafat rappresenta «l'intransigenza» di Gerusalemme. Mentre Netanyahu si avviava verso il Grosvenor House, l'hotel su Park Lane dove avrebbe visto la Albright e dove un gruppo di dimostranti palestinesi lo attendeva cantando «La jihad è in arrivo» e sventolando cartelli ancora più cupi («Morte a Israele»), toccava ad Arafat l'appuntamento di Downing Street. «Mi impegno ad accettare il compromesso americano anche se i nostri diritti vanno ben oltre», ha detto il presidente dell'Autorità palesti¬ nese al termine dell'incontro: «Se Netanyahu è seriamente interessato alla pace, questo è il giorno per carpirla»; anche perché in caso d'insuccesso «sarà sua la responsabilità del caos che verrà». Doveva durare due ore e mezzo il colloquio del premier israeliano con l'inviato di Clinton. E' andato avanti, anche a colazione, per quasi il doppio. Ed è stato il primo segnale che al fronte dei no si era sostituita un'aperta discussione. «Non credo che possa tutto accadere subito, ma spero che ci sia un'unanime volontà di fare progressi», ha ammesso Netanyahu, mentre la Albright riprendeva la sua gimkana verso il Churchill per l'incontro - due ore - con Arafat. Era già scoccata la nona ora negoziale - le 17,30 quando il primo round è finito. E via con il secondo: la Albright di nuovo al Grosvenor House, da Netanyahu; e Arafat nel suo hotel (il Claridges), in attesa che fosse nuovamente il suo turno nel vertice nato morto e improvvisamente duro a morire. Fabio Galvano Possibile anche un incontro a tu per tu (non era previsto) tra i due statisti il primo dopo 7 mesi di stallo negoziale i Ì "1 * ★★★★★ *********** $TATI mm ***** Washington insiste per la restituzione * * * * * * de! 13% dei Territori occupati, e il pieno rispetto degli accordi ****.* di Osio e dell'accordo * * * * *.* di Hebron, ivi compreso il bando di ogni passo unilaterale come la proclamazione di uno Stato palestinese senza negoziati e la costruzione di nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania il gabinetto di Netanyahu ha approvato un compromesso che prevede la restituzione del 9 per cento dei Teff iteri occupati. Lo stato maggiore israeliano ha valutato che il primo ministro potrebbe concedere l'11%. In cambio Netanyahu chiede i Arafat nuove misure contro gii estremisti islamici II POSIZIONI A CONFRONTO onda festa ogno della pace i AUTORITÀ PALESTINESE Arafat chiede la garanzia per la restituzione del 13% dei Territori e la terza tronche del ritiro dell'esercito israeliano, il rilascio dei prigionieri palestinesi, l'apertura di un aeroporto a Gaza e di strade tra Gaza eia Cisgiordania, un nuovo porto palestinese e una nuova àrea industriale i suoi problemi. Che sono la diretta conseguenza di un problema immenso: chiamato Israele. La Storia non è mai imparziale: Israele celebra il suo Giubileo, il popolo di Palestina subisce il 50° anniversario di al Naqba, il disastro del 1948, la catastrofe che apre un lunghissimo esilio. Ma sul Giubileo, celb dli ilii d l riUnLo l'u Qui sopra l'incontro tra Blair e Yasser Arafat Sotto la contestazione a Netanyahu «Salvate Oslo», «Due popoli due Stati» dicono i cartelli L'incontro tra Tony Blair e Benyamin Netanyahu