Fotografi a caccia dell'anima italiana di Rocco Moliterni

Fotografi a caccia dell'anima italiana la memoria. Volti, paesaggi, sentimenti: 50 anni di immagini in mostra a Torino Fotografi a caccia dell'anima italiana Da Berengo Gardin a Roiter CTORINO LI indiani d'America, dice una leg I genda, non amano farsi fotografare: sono convinti che il fotografo, con l'obiettivo, rubi loro anche l'anima. Non hanno tutti i torti: a visitare le dieci mostre che la Fiaf (la Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche) ha organizzato per festeggiare i suoi cinquant'anni di attività, inaugurate ieri alla Reggia di Venaria, si ha l'impressione di ritrovare davvero l'«anima» del nostro Paese. E se nove mostre, dedicate ad altrettanti maestri, offrono la possibilità di rivedere fotografie in qualche modo classiche (il Paolo VI tra le ombre del Vaticano di Merisio, il Carlo Levi di Paolo Monti, la rivolta d'Ungheria di Mario De Blasi, il Brasile di Roiter o ancora gli anziani «orribili» della serie «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi» di Giacomelli), le sorprese più emozionanti vengono dall'antologica «50 anni di fotografia amatoriale italiana», che scandisce decennio dopo decennio l'evolversi del costume e dei modi di vivere (e di fotografare) dal '48 ad oggi. «I periodi - spiega Giorgio Tani, che ha curato il catalogo - si compenetrano, forse non c'è fra l'uno e l'altro un preciso stacco epocale e l'antologia sembra proseguire in una visione estetica formalmente unitaria. 1 temi sono tanti, dal paesaggio pittorico al reportage drammatico, e si mescolano tra loro come i nomi degli autori, come le loro idee, i loro siili, i loro documenti, i loro messaggi». Ci si può quindi divertire a seguire propri percorsi o tracce: il mondo del lavoro passa ad esempio dalla mondariso, le cui gambe, in una fotografia di Carlo Peirotti del a destra « 1965, nulla hanno da invidiare a quelle di Silvana Mangano in Riso Amaro, all'operaio di Gente di cava di Enzo Cei, che sembra un domatore di un circo felliniano con i suoi cerchi di filo diamantato. Ma il lavoro in Italia ha voluto dire negli Anni 60 soprattutto emigrazione, così non mancano le valigie di cartone e le stazioni {Emigranti di Mario Ingrosso del '65). Dello stesso tema è più inquietante e affascinante l'interpretazione che dà Gianni Berengo Gardin in Chiasso, con il suo emigrante che sembra un fuggitivo, con la sigaretta in bocca e l'occhio spiritato. Il compiacimento per una vita di lavoro, si può leggere invece nel Commendator Manfredini, realizzata da Vanni Calanca nel 1992: lo sguardo, la scrivania, i diplomi alle pareti, lo spigato grigio, dicono molto di più di tanti saggi o indagini sociologiche. Nei primi decenni sembra prevalere l'esigenza di una documentazione sociale, così ci sono le immagini di paesi e di angoli di città, di periferie che nascono o mondi che muoiono. Come non rimanere incantati davanti àQ! Omaggio alle famiglie della Basilicata di Rinaldo Della Vite, con le facce di una quasi surreale famiglia contadina o al Casinò di Giovanni Bartoli, con il tavolo da gioco in una stalla, il fiasco di vino e la lampada a petrolio o a Solitudine, di Goffredo Petruzzi, con il contadino a dorso di ciuco che risale una sorta di canyon e potrebbe essere la Sicilia come una valle della Lucania? La domanda se siano i fotografi a ispirarsi al cinema o se sia il cinema a raccogliere «il sentimento del tempo» e quindi anche le immagini del fotografi viene spontanea guardando il felliniano Sotto le bianche ali, con i bagnanti intravisti dietro un cappello da suora oppure Senza titolo di Gianni Seghetti, in cui si respira aria da film di Antonioni tra ombre femminili, letti sfatti, finestre che mostrano gru di palazzi in costruzione. Come sembra di sentire il ritornello d'un celebre motivo degregoriano «Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore», davanti a La barriera di Daniele Amo¬ ni (del 1986) o a La rete ben difesa, con un ragazzino che difende una porta dalla rete a brandelli. Il cibo è un'ossessione per gli italiani, così ci sono ristoranti e caffè e fotografi che cercano di rifare le nature morte o i bodegones come li chiamano in Spagna, basti citare Piatti di casa mia di Mario Stellatelli (ma tutto un mondo legato al cibo, al Sud e al lavoro c'è nel celeberrimo Portatore di pane di Nino Migliori). Molti sono poi i paesaggi, i matrimoni ed i nudi. Paradossalmente a convincere di meno sono le foto «di ricerca», tranne rari casi come il rubinetto che sputa palline di piombo in Acqua di città di Beniamino Antonello. Qui fa capolino l'ironia, un elemento importante dell'«anima» italiana che affiora anche altrove: la palma in questo campo va a Berengo Gardin per il Riposo di una modella. Le dieci mostre rimarranno a Venaria fino al 17 maggio, poi andranno in Puglia e inizieranho un tour in varie regioni. Rocco Moliterni Sopra «Il commendator Manfredini» di Vanni Calanca del 1992, a destra «Omaggio alle famiglie della Basilicata» di Rinaldo Della Vite, realizzato nel 1964