Un boss: il mio occhio a Nico

Un boss: il mio occhio a Nico IL CASO LA SCOMMESSA m UN MEDICO Dall'Austria notizie poco confortanti per il bambino accecato dalla maria: la retina non è recuperabile Un boss: il mio occhio a Nico Offerta dal carcere, ma il trapianto è impossibile FSALISBURGO ORSE questa sul futuro è una scommessa folle, ma Gerald Stiegler, oculista di fama recente e ampia pure in Italia, vorrebbe convincere che lui non si rassegnerà, che non getterà la spugna. Anche se a voce bassa, quasi impercettibile, ammette che per Nico Querulo, neppure 5 anni, ferito da un proiettile di mafia il 7 aprile a Catania, le speranze di riacquistare la vista sono «meno dell'uno per cento». Insomma, per far uscire il piccolo dal buio occorrerebbe un miracolo. Per questo si avverte nelle parole il gusto amaro della sconfitta. Per oltre tre ore, l'altro giorno il medico ha frugato, cercato, indagato, esaminato e alla fine ha avuto la conferma di un timore che non era soltanto suo: il proiettile ha prodotto uno sconquasso cui nessuno pare in grado di rimediare. La retina è staccata, «quasi completamente». Fuori discussione un trapianto. ((Fosse possibile, gli avrei fatto io per prima, questo dono», sospira sua madre, Grazia Castiglia. In ogni modo, dalla sua cella Giuseppe Garozzo, detto «Pippo 'u Maritatù», ha fatto sapere che «se ci fosse bisogno, io sono disponibile». Non è un affare da poco affermare di voler donare un occhio, anche se è una cosa impossibile: forse vuol dire che la mafia in qualche modo prova disagio, per questo ferimento. Forse. Del resto, Garozzo non è un qualsiasi uomo del disonore, lui è uno che contava e magari ancora conta a dispetto della detenzione, in regime di 41 bis, di carcere duro. Lo definiscono un boss, anzi, il capo di una frangia tra le più feroci dei Cursoti, banditi non solo da strada attivi a Milano, a Torino, soprattutto a Catania. Qualcuno ha calcolato che fra il 1991 e oggi, negli scontri per il potere, siano morti almeno in 500 e dicono che in questa guerra infinita la prima pietra l'avrebbe scagliata proprio lui, Garozzo. In galera era finito alla fine degli Ottanta, ma nell'autunno del 1990, scaduti i termini di carcerazione preventiva, aveva naturalmente preso il largo. Lo avevano riacciuffato un anno dopo, in Germania e alcuni processi, a Torino, lo avevano visto protagonista. Ecco, è lui, il boss, che si dice sconvolto per il dramma di Nico. Ha scritto al giornale La Sicilia di Catania: «Il giorno del ferimento guardando la tv, mi sono sentito colpito da questo fatto e ho inviato un fax al sindaco Bianco, offrendomi come donatore di un occhio, se serviva. Ma non ho ricevuto risposta né negativa né positiva. Ho inviato un altro fax con lo stesso risultato. Mi auguro che non sia un fatto di pregiudizi perché mi trovo detenuto e sono pregiudicato». Un'offerta inutile, in ogni modo, e Piergiorgio Pantano dice che se anche «è autentica e dettata dal senso di pietà», per coerenza il boss «dovrebbe restituire alla società il proprio patrimonio nascosto». Neppure Pantano è una comparsa nella grande tragedia della mafia: ha avuto tre fratelli assassinati, per un certo periodo lui stesso è stato messo sotto protezione. Così ripete, il boss ceda il patrimonio a ((tutti quelli che piangono morti ammazzati e sono ridotti alla fame, che vivono il dolore di una famiglia distrutta, hanno un futuro incerto: a tutti quei "Nico" non conosciuti dei quartieri di Catania». Il suo quinto compleanno, fra pochi giorni, il piccolo lo vivrà nel buio. Gli sono arrivati doni, un enorme Topo Gigio parlante, un anatroccolo di peluche, una cassetta delle Spice Girls, le sue favorite, e un'altra con le canzoni incise dagli alunni dell'elementare di San Vito Chientino. E lui, il 15 maggio, ascolterà i rumori, il respiro, la voce di sua madre e forse neppure tenterà di capire perché ancora non riesce a vedere i colori e perché quando gli dicono: «Stai tranquillo, ora guarisci» il tono è più incerto. Dice la madre: «Mi sostiene soltanto la speranza che il mio bambino torni a vedere, almeno uh po'». Ma nessuno pare in grado di aiutare il piccolo anche se, avverte il medico, rimane queir (alno per cento» scarso. Certo, non è facile per il dottor Stiegler spiegare le ragioni di una sconfìtta. Lui garantisce di averle provate tutte, ma ora dice anche che quando hanno portato il piccolo nella sua clinica di lusso, a Vigaun, era maledettamente tardi. Lui ci ha provato lo stesso, e ora parla di «un'investigazione in stato di narcosi durata circa tre ore». E ha usato una pupilla artificiale, per l'investigazione. Sembra il racconto di una tortura ma forse lo è solo di un esame indispensabile. Così spiega che la pressione dell'occhio sinistro è rimasta «molto bassa»: «Ho fatto un'inie¬ zione di gas liquido nell'occhio per estendere la retina. E' molto cicatrizzata e questo è un problema. C'è un quasi completo distacco e quando la retina è rotta, è rotta». Chissà, in futuro sarà possibile inserire i microchips, hanno fatto degli esperimenti negli animali, sembra che siano andati bene, del resto la chirurgia fa passi da gigante. Sia come sia i risultati degli esami sul piccolo appaiono sconfortanti ed è così difficile, a questo punto, credere che dietro l'angolo ci sia qualcosa di diverso da una disfatta. Anche se il dottor Stiegler aggiunge che non è ancora il momento per alzare bandiera bianca. «La prossima settimana farò una nuova investigazione sotto narcosi». Poi seguirà un altro intervento, per sistemare i guasti provocati dal proiettile alla scatola cranica. Ce li racconteranno, anche questi nuovi interventi, con dovizia di particolari, ma a questo punto non rimane che sperare che i conti siano sbagliati, che quell'uno scarso per cento sia figlio di un pessimismo dovuto alla stanchezza, che il piccolo non sia diventato soltanto un caso da studiare. Coraggio, Nico. Vincenzo Tessandori L'oculista che lo cura: le chances che il piccolo torni a vedere sono inferiori all'uno per cento ma io non getterò la spugna A sinistra Nico in ospedale a Salisburgo assieme alla mamma A destra Giuseppe Garozzo, detto «Pippo 'u Maritatu» che dice di voler offrire un occhio per il bambino